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martedì, settembre 29, 2015

Dell'energia

Se già non lo si sapeva per via intuitiva e quindi, diciamo, filosofica, anche la scienza è giunta alla conclusione che tutto è energia. Il problema grande è come controllare, produrre, incanalare, gestire questa energia, posto che riusciamo anche a definirla, a riconoscerla. In genere noi conosciamo piuttosto bene l'energia fisica, perché è quella che più facilmente riusciamo a riconoscere e gestire; in questo senso il fatto che anche la voce sia prodotta e governata attraverso energie fisiche, diciamo pure muscolari, è piuttosto normale e scontato. Vedo, recentemente, che anche altre scuole di canto stanno spostando la loro attenzione da tutta la ormai classica (e fallimentare) azione basata su movimenti anatomici, verso incalanamenti energetici, anche di natura psicologica, mentale o persino esoterica. Come sappiamo la linea di confine tra studi, assimilazione di discipline con risultati condivisibili e, almeno in parte, riconosiuti e riconoscibili e il mondo della fuffa è alquanto sottile. Non per niente, per molto tempo anche in questo blog ho preferito sottrarmi ad accuse di fumoserie filosofiche parlando di vocalità in termini pressoché scientifici e tecnici, passando solo in secondo tempo, e con cautela, a introdurre argomenti di natura gnoseologica. Naturalmente non sono mancati e non mancano coloro che si allontanano da questi argomenti, o addirittura fanno selezione tra ciò che gli sta bene e ciò che non accettano, non rendendosi però conto che tale operazione non porta a niente perché in una scuola di questo tipo si deve accettare la poetica nel suo insieme, e solo in questo caso tutto concorre a un certo tipo di risultati di cui possiamo assumerci pienamente la responsabilità.
Veniamo però al tema energia. Per quanto rozza e incosciente possa essere una tecnica di canto, non v'è dubbio che qualunque tipo di azione fisico-muscolare alla fine non può che concludersi con una pressione sul fiato polmonare, che a sua volta si ripercuoterà sulla laringe, c.v. e altre parti dell'apparato respiratorio, parzialmente coincidente con quello vocale. Questo, naturalmente, nel bene e nel male. Come ho avuto modo di esporre in decine di post, la pressione respiratoria MECCANICA in uscita, produce effetti negativi, in quanto non si limita a garantire una maggiore intensità vocale, ma produce effetti indesiderati negativi, anche molto, con difetti notevoli, talvolta patologici, lontani da criteri artistici di rilievo. Che questa attività produca ANCHE un certo spessore vocale, è vero, ma questo non può essere un dato di rilievo per chi vuole ambire a cantare, perlomeno, bene! Ricordo, quando ero bambino, che mio padre, appassionato di boxe, mi fece assistere in tv a un incontro dove un boxer di colore, mi pare si chiamasse Sugar, piuttosto smilzo e longilineo, incontrava un avversario di ben altra stazza e dimensione. Ebbene, il primo fin dall'inizio dimostrò una eleganza, una agilità e una precisione, del tutto assente nell'altro che, contrariamente a quanto avrei potuto immaginare, contribuì a mandare al tappeto il secondo. Similmente avvenne quando apparvero nei nostri cinema i primi film di Bruce Lee. Un giovanotto tutt'altro che muscoloso (perlomeno come si intende generalmente) e possente, in grado di dominare avversari apparentemente molto più forti e massicci. Ho fatto ricorso a esempi di tipo dichiaratamente fisico per dire che l'argomento non è ristretto a campi artistici, ma è possibile ricondurre la poetica anche ad attività esplicitamente fisiche. Del resto la questione a mio parere è chiara: si tratta di un rapporto relazionale tra l'ambito fisico-materiale e quello mentale e immateriale.
Il fiato sta sempre al centro di tutto, lui riceve dosi di energia e la dispensa in base a criteri di orientamento solo in parte governabili volontariamente. Gli sportivi si allenano; spesso credono solo di allenare i muscoli o la resistenza, ma in realtà non fanno che sviluppare un orientamento energetico del fiato, che si disporrà verso quelle parti anatomiche maggiormente utilizzate. Può sembrare strano pensare che il fiato alimenti il lavoro delle gambe o delle braccia, ma è proprio così. Ma questo diventa o può diventare un problema per il cantante, perché il nostro sistema di funzionamento fisico-muscolare, contempla azioni, per l'appunto, di tipo fisico, che nel caso della produzione vocale, servono in modo assai contenuto. Pensiamo a uno scultore o un pianista che sviluppa muscoli da lottatore! Cosa se ne farebbe? Anzi, sarebbero d'impaccio nel momento che il lavoro diventa di fino. Dunque, non questo! Dobbiamo quindi pensare a un tipo di energia diversa, non prettamente fisica, o meglio, non meccanica. La differenza la possiamo indicare come esterna/interna. Mi rendo conto che non è facile descrivere e quindi leggere quanto sto per scrivere, ma ci provo, e magari proverò anche in seguito in altro modo, sperando di trovare espressioni comunicabili a più lettori. Se pensiamo a un pallone pieno d'aria, io posso esercitare una pressione su di esso premendo in un punto. L'aria aumenta la propria pressione internamente al pallone ed esplicherà una forza in una zona del pallone opposta a quella su cui ho premuto. Questa è in genere anche l'azione vocale consueta; in qualche modo si produce una forza sull'aria polmonare nel basso (diaframma), e l'aria rivolgerà la maggiore pressione in alto, quindi sulla laringe. L'ipotesi di alcune scuole di pensare basso o di premere verso il basso, non cambia il risultato, perché anche in questo caso l'azione svilupperà una reazione del diaframma che si eserciterà comunque verso l'alto. Anche l'ipotesi di premere sull'aria in modo più ampio, quindi anche col torace, porterà al medesimo risultato, se non peggiore. L'idea di premere, quindi, è da considerarsi complessivamente non idonea a un risultato di qualità. Una energia esterna al pallone produrrà sempre effetti fisici almeno in parte negativi, cioè non potranno dar luogo a suoni in purezza, perché sarà sempre coinvolta la laringe nella sua globalità, con forza, e non specificamente le corde vocali con gradualità estreme (da pianissimo a fortissimo, tanto per rendere l'idea). Se ci si trovasse all'interno del pallone, al centro, e si potesse esercitare una piccola pressione in ogni direzione, come un secondo palloncino che si gonfia, l'aria ne subirebbe una leggera pressione diffusa che si eserciterebbe in ogni direzione, quindi non un aumento particolarmente significativo, ma sufficiente e anzi specificamente dosato a produrre suoni di migliore qualità rispetto quelli spontanei. Il nostro organismo può fare questo, il nostro corpo è dotato di un funzionamento meraviglioso che permette il raggiungimento di questo obiettivo ambiziosissimo. I nostri polmoni non sono sacchi vuoti, o palloni, ma organismi formati da una membrana esterna, elastica, e una struttura interna assai complessa variamente ramificata con al centro gli alveoli! In primo luogo noi abbiamo la membrana polmonare che può essere investita da una energia esterna piuttosto diffusa (e quindi è necessario, nel corso della disciplina, giungere alla quasi eliminazione della componente diaframmatica), di questo però parlerò in seguito per non appensantire ulteriormente il già lungo post, ma ciascun elemento interno, se caricato con una certa energia dall'aria contenuta (soprattutto attraverso l'elasticità della membrana esterna che dopo l'inspirazione tenderà a riprendere la dimensione iniziale), può a sua volta ripercuotersi sul contenuto complessivo di aria e donare quindi una microcarica pressoria che non eserciterà più quindi una forte, puntiforme, meccanica e deleteria azione fisica verso la laringe, ma una modesta e diffusa energia che EVITERA' L'INSORGERE DELLA FUNZIONE VALVOLARE LARINGEA e consentirà di far funzionare in modo realmente dinamico e musicale le c.v. come fossero corde di un violino o meglio... di un'arpa eolia!
Naturalmente questo obiettivo non si raggiunge semplicemente volendolo fare, ma attraverso quella disciplina che dovrà moderare, mitigare le forze meccaniche, volontarie e involontarie, permettendo così la possibilità di gestire al meglio quell'arte respiratoria finalizzata a una vocalità artistica che ha nei principi esposti il fulcro della sua virtù.

mercoledì, settembre 23, 2015

"Cercar che giova?..."

Una frase che pronunciava spesso il m° Antonietti e che ho poi ritrovato tal quale tra quelle del m° Celibidache è "chi cerca NON trova". Ammetto che detta così non suona tanto bene e suscita l'immediata controdomanda "inchezenzo? scusi" (alla Verdone). Lasciamo stare le battute e veniamo al motivo di questo post, che riguarda il campo femminile e l'annosa (e seria) questione della gamma centro grave; oggigiorno è rarissimo ascoltare soprani o mezzi cantare decentemente proprio in quel settore, che risulta il più martoriato. Per la verità è sempre stato un punto delicato nell'educazione della voce femminile, infatti anche nelle registrazioni di voci antiche purtroppo non di rado sentiamo un approccio non esemplare, quando non addirittura infelice. Potremmo partire da un concetto erroneo, mal capito, mal interpretato: il registro di petto (nelle donne). Leggendo e ascoltando interviste o trattatelli, si ha l'immediata visione di una doppia analisi di questo registro; da un lato ci sono coloro che hanno compreso che il cosiddetto registro di petto è una normale modalità di vibrazione delle corde vocali, differente, almeno inizialmente, da quella che si utilizza nel registro centro acuto (falsetto-testa), per altri invece riguarda la percezione interna riferentesi alle parti anatomiche, da cui i nomi (petto/testa). Per coloro che l'intendono nel secondo modo ci sarebbe un dato negativo, cioè la voce non si arricchisce delle risonanze "alte", degli armonici e risonanze/consonanze "di testa", ed è quindi da scongiurare. Per chi l'intende nel primo modo, il problema è quello di "fondere" o "passare" dall'uno all'altro; ma anche tra i primi le cose non è detto che vadano sempre bene, perché un conto è dire, un conto è fare. Secondo alcuni trattatisti come la Mayan (si veda il post di agosto), basterebbe pensare il suono "alto in maschera" per risolvere ogni problema di passaggio. Di questo parlerò tra poco, ed è appunto il tema del post. Alcune cantanti, come la Simionato o la Barbieri, che lo dichiararono in interviste, "non si canta di petto", e loro stesse non avrebbero mai cantato di petto, contraddicendo in modo plateale la realtà che ognuno può facilmente recepire dalle loro registrazioni. Dunque ci troviamo, per l'appunto, in quel secondo caso, dove non si ha l'esatta coscienza che le corde vibrano in modalità di petto, ma la cantante è comunque convinta di tenere il suono "alto in maschera" e quindi "di testa" anche nelle note basse. Se il risultato fosse quello della Simionato, tutto sommato potremmo anche starci, se è quello della Barbieri decisamente meno; anche quello della Gencer, che invece aveva un'idea molto più corretta della situazione, non ci farebbe tanto piacere, visto che il petto lo usava ma non poi troppo correttamente, visto cha alla fine aveva la voce a pezzi. Però oggi cosa sta succedendo? Che, nonostante tutti i libri, i convegni, i DVD, internet e quant'altro (o forse proprio a causa di questa Babele) le donne (ma direi meglio: gli e in particolare LE insegnanti di canto) stanno indirizzando le giovani cantanti in una direzione a dir poco disdicevole, cioè a mantenere il falsetto anche nel settore centro grave. Questo, a loro giudizio, eliminerebbe il problema del passaggio! Il che è ovviamente vero, trattandosi di un unico registro, ma totalmente fuori da qualunque logica sensata. Se un violinista volesse scendere sotto il re3 senza usare la corda di sol (la quarta), non potrebbe farlo, a meno di allentare la tensione della terza ruotando il pirolo. Una follia! Che cosa succede dunque nella voce? che scendendo sotto il do3 il falsetto va a morire, non ha più efficacia, essendo una gamma propria della corda di petto, allora ecco che le povere cantanti "cercano". I risultati sono di due tipi: o un grottesco ingolamento oppure l'invenzione di un nuovo "meraviglioso" registro (e qui il repertorio neologistico di Celletti sarebbe molto  appropriato). Siccome noi sappiamo che la "corda unica" esiste, cioè la possibilità che le due modalità di vibrazione coesistano, cosa impedisce che ciò avvenga naturalmente? Ben lo sappiamo: il fiato. Solo un'evoluzione respiratoria adeguata a una emissione artistica esemplare può generare l'annullamento delle differenze tra le due modalità di vibrazione, quindi i casi sono due: o si raggiunge questa condizione, il che richiede un tempo e un esercizio adeguati (cioè molto lunghi e impegnativi, soprattutto ben guidati da chi sa), oppure si può tentare (solo in alcuni casi riesce) una sorta di scorciatoia (ovviamente difettosa), e cioè il cosiddetto suono indietro. Cercando di mantenere il registro di falsetto anche nei suoni centro gravi, l'impoverimento respiratorio porta gradualmente il suono indietro, cioè a non suonare più nella parte anteriore, o meglio fuori, ma sempre più interiormente. Questo stato può consentire una sorta di fusione dei registri, a pena di una voce da ventriloquo, ma che purtroppo ascolto sempre più spesso, specie nelle giovani, perché oltre a evitare scalini, produce quella voce intesa come "impostata" che tanto obbrobrio produce in chi ha come obiettivo una voce VERA! Ecco perché il m° Antonietti, come ognuno che conosce meglio il mondo della vocalità artistica, si guarda bene dal seguire scorciatoie, ma occupa una prima parte del tempo educativo a far ben sviluppare e perfezionare la giusta emissione nel petto E nel falsetto, non cercando anzitempo fusioni improbabili, ma facendo in modo di stimolare l'esigenza respiratoria che nei tempi opportuni permetta l'avvicinamento e quindi l'annullamento delle differenze tra registri.

sabato, settembre 19, 2015

L'attacco (che non c'è)

Il termine "attacco" è universalmente utilizzato nel mondo del canto per indicare il momento in cui si emette un primo suono. Come spesso accade, nel nome si nascondono anche virtù e difetti. In questo caso direi fondamentalmente difetti! Se c'è una cosa negativa nell'emissione vocale è che la voce resti "attaccata" a qualcosa; quindi più che "attacco" sarebbe meglio definire "stacco" il momento in cui la voce si libera. Anche così, però, ne avremmo conseguenze negative, perché attacco e stacco fanno entrambe riferimento a un punto o una zona da cui si diparte la voce mediante una qualche azione fisica. E qui veniamo a parlare dunque di alcuni consigli per cui l'attacco del suono o della voce (che per i più è la stessa cosa) debba avvenire in un punto più o meno preciso. Quelli "precisi" indicano: le corde vocali o glottide, in mezzo agli occhi, sulla fronte, ecc.; quelli imprecisi: "in alto", in maschera, ecc. Tutto parte sempre dal modo di pensare del cervello fisico, il quale, non concependo l'immaterialità, non può che indurci a "attaccare" anche la vocale a qualcosa di fisico, laddove, invece, la vocale NON può e NON deve avere alcun punto di attacco fisico, non essendo come le consonanti, che, al contrario, hanno sempre e comunque un punto di attacco, tant'è vero che sono molto precisamente definite dalla fonologia. In questo stesso senso è errato anche definirle anteriori e posteriori. La sensazione del suono vocale anteriore o posteriore è dovuta alla diversa disposizione delle parti mobili e dei punti dove il flusso sonoro tende a solleticare i centri nervosi. La I, ad esempio, viene definita anteriore in quanto la lingua alzandosi notevolmente lascia scorrere un filo di suono tra essa e il palato e quindi il suono compie una frizione in quella zona che ci dà la sensazione di suonare davanti; la realtà però non può essere frazionata, dunque la I, come tutte le vocali, non suona I solo per la disposizione anteriore, ma grazie a tutta la situazione oro-faringea nel suo complesso, che non può essere parzializzata, pena la perdita di importanti caratteristiche. Dunque non di attacco si deve parlare, nel caso di inizio su una vocale, ma di "formazione" o nascita. Anche il suono non è bene considerarlo "attaccato". Esso nasce dall'eccitazione delle corde vocali ad opera del fiato. Indubbiamente ci può essere un attacco, duro, violento, forte, e in alcuni casi può essere necessario per motivi musicali, testuali, caratteriali, ma in generale, anche per evitare danni, il suono deve nascere morbidamente, fluidamente. Il suono è il secondo anello della catena, dopo il lavoro compiuto dal fiato, il quale, in base alla conformazione oro-faringea disposta dalla mente, che governerà tutto il processo, produrrà SENZA ALCUNA AZIONE MECCANICA LIBERATORIA, la vocale voluta. Meccanica liberatoria significa il passaggio da una azione di chiusura, più o meno rapida, anche istantanea, a una di apertura, come succede con le consonanti. La vocale si trova (SI DEVE TROVARE) in una condizione di totale libertà fin dall'inizio... direi... ANCHE PRIMA dell'inizio. Cioè non ci deve essere un inizio, ma un momento in cui il suono vocale si forma quasi magicamente, senza "clic", senza contatti. E' una forma di espressione libera che è necessario provare e ripetere, perché è un simbolo chiave del canto artistico. Naturalmente quando escludo l'attacco e ogni forma di nascita meccanica, e invoco l'opposto, non posso che riferirmi a una nascita esterna alla bocca, escludendo nel modo più assoluto e totale ogni forma di spinta, di schiacciamento, di pressione. La purissima vocale nata come materializzazione del pensiero, o come flusso mentale operante.

domenica, settembre 13, 2015

Le relazioni virtuose

Per qualcuno è abbastanza chiaro che la laringe ha plurimi modi di funzionamento, però alcuni di essi sottostimano o minimizzano questa caratteristica, alcuni addirittura ironizzano come se fosse una sciocchezza. Molti non lo sanno affatto. Eppure è un dato più che fondamentale, ma saperlo non basta.
Riesco a elencare quattro diversi modi di funzionamento, di cui tre istintivi. Il primo, forse il prioritario, è il sistema di spartizione ma anche di difesa dell'apparato respiratorio rispetto a quello gastrico (deglutizione); tramite il sollevamento della laringe e la proiezione dell'epiglottide, si chiude il condotto respiratorio. La minima immissione di sostanze liquide o solide causerebbe danni gravissimi. Il secondo è respiratorio: la laringe in quanto "valvola" dei polmoni controlla la pressione e la velocità respiratoria. Il terzo è di tipo meccanico; la laringe si chiude, provocando un'apnea, quindi un blocco respiratorio, per questioni di postura del busto oppure per situazioni respiratorie particolari (sott'acqua, ad es.). Il quarto sistema riguarda il suo funzionamento artistico, quindi la laringe "strumento musicale". Naturalmente, ci vuol poco a capirlo, questa funzione è da considerarsi accessoria, cioè in subordine alle altre tre, in quanto le altre sono VITALI, mentre questa non lo è in nessun modo. Possiamo poi sintetizzare il funzionamento laringeo in due sistemi: a tubo aperto o a tubo chiuso. Durante gli atti respiratori regolari, il tubo è aperto, negli altri casi è chiuso. Durante la deglutizione la respirazione non è chiamata in causa, lo è, invece, negli altri. In queste tre situazioni (apnea, postura, voce) solo e unicamente la respirazione è causa dei suoi movimenti. In base a questa priorità, il nostro sistema di funzionamento come fa a discernere tra una chiusura meccanica e una relazione elastica, musicale, tra fiato e laringe? Non può perché non ne ha coscientemente la misura. Discrimina, però, nell'ambito del parlato, perché esso è indispensabile, seppur non prioritario, nella vita di relazione umana, vale a dire che è compreso nel DNA. Il parlato è una pratica spontanea, limitata nell'estensione e nell'intensità. Con quelle stesse caratteristiche è possibile intonare, quindi cantare, con qualità ovviamente modeste rispetto un risultato artistico. Tutta la questione sta qui! Se un soggetto mira a estendere e intensificare la voce, metterà il fiato in una condizione di stress che si ripercuoterà sulla prestazione vocale stessa, perché le reazioni messe in moto impediranno il mantenimento di quella situazione tranquilla e spontanea del parlato. Come si sa - scritto più volte - noi abbiamo anche la possibilità di gridare; anch'essa è una risorsa funzionale, legata a stati di necessità, pericolo, imposizione, ecc. Le caratteristiche del grido da un lato ci servono perché è grazie a questo che noi possediamo un registro acuto (le frequenze acute sono molto più penetranti e viaggiano più lontano), ma per contro hanno caratteristiche qualitative pessime; inoltre, al contrario del parlato, non è previsto un uso continuativo e prolungato, per cui gridare a lungo porta all'insorgenza di patologie. Quando intensifichiamo la voce senza una coscienza di ciò che questo comporta, la respirazione va in confusione perché non capisce più in quale situazione si trovi, tra sostegno del busto, apnea o vocalità. Il classico risultato è che il "tappo" si chiude, cioè diventa molto difficile emettere suoni di buona qualità, in quanto la pressione respiratoria è inadeguata. Ecco, quindi, che la strada maestra è e deve sempre essere il parlato semplice che si estende oltre la ristretta fascia della spontaneità; operando in questa direzione, si stimola uno sviluppo respiratorio dedicato a questa attività, che il funzionamento corporeo non ostacola, perché è comunque compreso nel DNA. Però anche questo non basta, in quanto l'ampliamento della gamma induce anche un aumento pressorio, che è nuovamente causa di reazione. Per questo è necessario sviluppare e migliorare la qualità del fiato già partendo dal nostro parlato spontaneo. Questa azione fondamentale produrrà uno sviluppo respiratorio del tutto particolare e fondamentale, che non è di tipo pressorio ma di tipo qualitativo (anche se in qualche modo coinvolge anche la componente pressoria), cioè il fiato modifica le proprie caratteristiche rispetto al semplice funzionamento vitale (respirazione spontanea), apprendendo ad ALIMENTARE con caratteristiche evolute un tipo di parlato, e conseguentemente cantato, di qualità superiore. Pertanto l'azione didattica può svolgersi gradualmente sulle due (o più) componenti: qualificazione della parola e ampliamento estensivo. Questo è il fondamento dello studio, che consentirà l'instaurarsi di un rapporto chiaro e univoco tra fiato e laringe di tipo musicale, del tutto diverso e coscientemente specifico per un canto artistico. Di più! La respirazione, che a questo punto potremo definire artistica, avrà la possibilità di modellare e quindi modificare, nel corso della fonazione, alcune componenti laringee, specificatamente le corde vocali, al punto di bypassare ogni legame di tipo valvolare (salvo, ovviamente che nel corso di questa attività non subentri qualche causa che ne richiami l'intervento) e ne liberi in modo meraviglioso tutte le potenziali caratteristiche musicali ìnsite. Quando questa arte sarà appresa, non ci saranno "impostazioni" da mettere in atto, non ci sarà da fare nulla, se non VOLERE. La voce acquisirà senza alcuno sforzo intensità, estensione, morbidezza, dinamica, rapidità, colori, al punto che la stessa voce parlata risulterà più costantemente sonora, anche se occorre tener conto che una voce più sonora richiede comunque più energia, quindi non è bene chiedere alla propria voce un uso costantemente di maggior impegno, perché questo può effettivamente stancare e produrre effetti poco simpatici, anche se si può escludere qualunque danno. In conclusione possiamo dire che chi parla in continuazione di respirazione per il canto, che suggerisca tecniche, più o meno forzose e/o impegnative o che suggerisca di non fare niente, se non cose "naturali", si discosta dai fondamenti indispensabili da considerare quando si vuol raggiungere un reale risultato artistico. Intervenire sulla respirazione senza aver coscienza di ciò che questo comporta significa metterla in uno stato reattivo che impedirà ogni e qualsiasi libertà, per cui il canto sarà SEMPRE E COMUNQUE difettoso. Non fare nulla (a parte un respiro profondo), non metterà il fiato in stato di allerta, ma non consentirà comunque l'instaurarsi di una nuova e indispensabile qualificazione respiratoria, se non per caso e comunque sempre in misura limitata.