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venerdì, agosto 28, 2020

Oltre il fiato

 Si fa un gran parlare di canto sul fiato, e anche in questa scuola non si scherza! Peraltro ho sempre specificato alcuni aspetti che possono anche confondere. Adesso cercherò di riprendere e specificare meglio cosa si intende e forse anche correggere qualche idea in proposito, soprattutto per evitare di indurre in errori. In fondo anche negli aspetti propedeutici e informativi bisogna... TOGLIERE!, semplificare.

Il fiato per questa scuola è l'alimentazione di suoni puri. Il fiato fisiologico non possiede in natura le caratteristiche per poter assumere questa condizione, e anche qualora le possedesse, molto eccezionalmente, è destinato a perderle se non sottoposto a una disciplina che porti a coscienza il  processo evolutivo che sta alla base di questa condizione. 

Il fiato, in quanto flusso aereo, quando tutto è corretto raggiunge le corde vocali, dopodiché cessa la sua funzione, in quanto fiato, perché totalmente trasformato in suono. A questo punto molte persone lo trattano come un oggetto fisico, che si può modificare, muovere a piacimento, ecc. La qual cosa non è vera e non è corretto perseguirla. In questo senso noi suggeriamo di continuare a trattarlo come fosse ancora fiato. Questo contribuirà a mantenere quella fluidità, continuità, leggerezza che una vera e importante voce deve possedere.

Siccome molte persone fanno molta fatica a staccarsi dall'idea fisica, muscolare dell'emissione vocale, specie se hanno frequentato scuole che hanno rafforzato questa modalità, si insiste sul "soffiare", alitare, sospirare, ecc. Questo sicuramente aiuta e porta gradualmente a una vocalità sempre più aerea e meno fisica. Per contro può verificarsi che si inserisca nella vocalizzazione un po' di fiato insonoro, il che inizialmente può aiutare, pur considerando che è un errore, ma che non dovrebbe proseguire. Interessante e più importante può essere (esercizio che potremmo già definire virtuosistico) il trasformare un alito, un sospiro, completamente in suono vocalico, cioè eliminando ogni residuo aereo, senza alcuno scalino. Ciò che definisco un "condensare" il fiato in voce. 

Questi input fanno parte del processo didattico, ma come tutto ciò che esula dall'esempio, cioè che ricorre a parole e immagini, è fondamentalmente erroneo e induce in errore. Questo sempre perché parole e immagini sono filtrate dalla nostra mente razionale e ricondotte quindi a procedimenti compatibili con il suo funzionamento, che è ovviamente diverso e distante dal sistema creativo-metafisico da cui dipende la nostra sfera artistica, cui dobbiamo attingere se vogliamo puntare a un risultato di questo tipo. Infatti un approccio particolarmente incentrato sull'idea del fiato, rischia, come si diceva, intanto di mantenere una parte sempre attiva di fiato mescolato al suono, il che oltre che erroneo può anche portare a problemi, in secondo luogo può allontanare o creare erronee percezioni della pronuncia.

E' sempre indispensabile sottolineare che la pronuncia vera e priva di difetti è davanti, esterna, lontana dal corpo. Se la pronuncia è "inquinata" dalla presenza di fiato insonoro, darà luogo a un'altro tipo di pronuncia, che può lontanamente assomigliare alla vera pronuncia, ma naturalmente non lo è e può allontanare dalla conquista del vero. La pronuncia, quindi la voce vera e perfettamente alimentata, è STACCATA non solo dal corpo, ma persino dal fiato. Il fiato, infatti, pur essendo la parte più immateriale del corpo, è ancora qualcosa di fisico, che soprattutto la mente razionale vuole governare a modo suo, cioè facendo riferimento alla parte muscolo-scheletrica, non sapendo e non avendo riferimenti su qualcosa di immateriale. Quindi noi dobbiamo, a quel punto, passare a un livello ancora superiore, cioè OLTRE IL FIATO.

Più avanti del fiato, cioè dove regna il mondo dell'impalpabile e ingovernabile fisicamente, c'è il mondo della PAROLA, della vera e libera pronuncia vocale artistica musicale. In questo senso noi possiamo parlare veramente di una vocalità e di una sintesi musica-parola. E' chiaro ed evidente che oltre il fiato c'è la libertà, non essendoci più alcun veicolo fisico di supporto. Noi possiamo "volare" grazie alla parola, cioè l'elemento che la natura ci ha fornito per poterci elevare spiritualmente. E' vero che la parola necessita di suono, il suono di fiato e il fiato di un complesso muscolare di base, ma questi li possiamo considerare degli "stadi" che progressivamente si staccano e si perdono, ovvero che noi uno alla volta superiamo e lasciamo nel corpo, per librarci nel volo libero. 

Questo comporta, durante il processo di acquisizione, che ogni stadio tendiamo a trainarlo in quello successivo. Non vogliamo lasciare il corpo per passare a qualcosa di più rarefatto, come in un processo di sublimazione. Quindi dal grande corpo al fiato è già un procedimento "doloroso"; staccarci dal fisico è per la nostra mente qualcosa di sbagliato, persino impossibile, quindi ci induce a rimanerci attaccati come a qualcosa cui non vogliamo e non possiamo rinunciare. Questo è uno dei fondamentali problemi dell'approccio a un vero canto artistico! Ma anche passare a un canto più etereo, più leggero e raffinato, non è sufficiente per raggiungere l'arte vocale. 

Quindi noi possiamo individuare tre stadi: 1) lo stadio respiratorio, 2) lo stadio sonoro, 3) lo stadio verbale. Il fiato NON DEVE spingere, premere o essere trainato, ma deve mantenere la propria sede senza alcuna particolare dinamica, quindi le varie tecniche respiratorie dovranno essere abbandonate, perché non ci deve essere coinvolgimento diretto. Il fiato deve essere fatto evolvere ad alimentazione di suoni puri mediante l'opportuna disciplina, ma deve rimanere calmo come un lago, privo di pressioni in qualsivoglia direzioni. Quindi in relazione con il suono, essendone generatore, ma non arrivando a disturbarlo. 

Il suono a sua volta è una vibrazione anonima, cioè non possiamo definirla ancora voce, perlomeno non nel senso vocale artistico. Anch'esso deve rimanere calmo e fermo nel suo luogo di origine, cioè lo spazio oro-faringeo; non deve essere premuto dal fiato, e non deve essere trainato dal suono vocale-parola. E' solo un materiale sonoro cui il terzo stadio attinge per procurarsi il materiale da elaborare. Ogni spinta o movimento è da considerarsi un errore. Il suono preleva fiato per potersi generare e dona suono per poter generare parola cantata.

Il terzo stadio, il più lontano da conquistare, veramente solo frutto di una processo disciplinare gnoseologico, è il mondo della parola perfetta, della libertà più assoluta (ovviamente compatibilmente col fatto che siamo esseri fisici, quindi non possiamo arrivare a una condizione disumanizzante, trascendente questo stato, per cui ci arriviamo per stadi successivi). Se conquistiamo e consolidiamo il mondo della parola elevata a canto, noi ci troveremo a cantare con assoluta libertà nel quadro della nostra capacità soggettiva (intesa come estensione-tessitura, volume-intensità, colore-timbro). Solo quando si raggiunge questo stadio si comprende veramente cosa vuol dire "parlar-cantando", cioè esprimere musicalmente un testo; ovviamente anche la qualità della musica e del testo sono importanti per poter addivenire a un canto artistico completo.

mercoledì, agosto 19, 2020

l'approccio al canto artistico

Mi accorgo, col tempo, che in questi messaggi sono sempre "avanti" e invece è importante insistere sugli aspetti iniziali, sull'approccio, sulle premesse, che spesso e volentieri sono utili anche agli allievi più avanzati. E' vero in quanto nel tempo nelle varie scuole di canto si sono consolidate delle metodiche affini a quelle strumentali, il che non va bene, perché il canto è un'altra cosa. E se, in ogni modo, il canto è un'altra cosa, il canto artistico, cioè non semplicemente quello classico, lirico, operistico o come meglio credete, ma quello poggia su solide basi ontologiche, filosofiche, metafisiche, immateriali, ne richiede di ancor più peculiari. 
Potrei dire: lasciate perdere tutto ciò che sapete, che avete letto, sentito, azzerate, resettate, svuotate. Se riuscissimo a partire da qui (e la cosa vale per qualunque attività che possa rientrare in un ambito artistico serio) avremmo già fatto una conquista. Avendo avuto la fortuna e l'opportunità di insegnare a ragazzi molto giovani, ho potuto verificare che non è solo un'ipotesi. Ma anche questo non basta, perché lo stile di vita del mondo in cui viviamo ci induce comunque a caricarci di idee che anche se non collegate direttamente con quello del canto, influiscono, e non poco, sul modo di approcciarci a esso. Tecnica e impazienza sono i primi e quasi ineliminabili meccanismi mentali e non a cui si soggiace. Pensiamo, perché ce l'hanno fatto pensare, che per cantare bisogna svolgere delle attività fisiologiche e meccaniche, e siamo sempre in attesa che l'insegnante ci sveli il segreto: cosa devo fare? E naturalmente gli insegnante ben volentieri si prestano a rispondere con i vari: gonfia lì, spingi là, tira così, alza di là, ecc. ecc. quindi cosa si vuole di più? Sono contenti e soddisfatti tutti e due. E, di conseguenza, non ci vuole nemmeno tanta pazienza, perché appena si inizia ti danno subito delle ricette. Invece se l'approccio è: parla, migliora il parlato, non "cantare", non fare niente, a qualcuno può far storcere il naso; perché come si fa a non fare niente? che c'entra il parlato? sto fiato che non va gonfiato, non va spinto, ... dopo un po' mette a dura prova la pazienza. 
Allora emergono le due parole più importanti: riconoscere e accettare. Queste sono le parole chiave per accedere alla consapevolezza. Rinunciare alle manifestazioni di esteriore propagazione sonora, che di artistico hanno poco o niente, per far emergere la vera potenza interiore, l'energia spirituale che partendo dalla parola elevata, si può aprire verso la sua massima libertà, e quindi luminosità e sonorità. Accettare e riconoscere vuol anche dire rinunciare: a fare cose internamente, a creare o costruire suoni mediante coinvolgimenti muscolari interni, a fare tecnica, a fare in fretta... Accettare cosa? la semplicità, l'elementarità dell'approccio. Dire le cose che sono scritte in un testo musicato rendendosene conto! Il canto che va per la maggiore, nel migliore dei casi riesce a farsi capire, ma non comunica realmente un contenuto, che fortunatamente è spesso rivestito da grande musica che riesce a veicolare almeno in parte. E invece accorre saltare al di là delle nostre normali capacità per far sì che la parola si capisca nel profondo "nonostante" il canto. Quanto il maestro deve insistere perché quella parola, cioè tutto ciò che c'è in quella parola (e poi quella frase) sia veramente "così", come nel caso della recitazione. E invece c'è sempre quella E che non è vera, quella A che non ha niente a che vedere con una vera A, e così via, e poi comunque anche quando sono a posto tutte le vocali, ci sono le consonanti, e quando è tutto a posto, quella parola non si lega con la precedente o la successiva, e anche quando si legano non ci trasportano il senso vero del discorso, e allora insistiamo. Tutto questo cosa può avere a che vedere con "alza il velopendolo", premi sulla pancia o sulle reni...? metti in maschera, gira....? un bel niente. Gli allievi di canto a cui si insegna che prima di tutto c'è la parola, si ribellano, perché questo sembra canto "leggero", cioè quello dei "canzonettari", confondendo l'approccio con la disciplina, e quindi con i risultati. Il canto spontaneo è un'ottima base di partenza, specie se si hanno delle doti in quel senso. Non per nulla molti dei buoni cantanti di questi ultimi tempi provengono dalla musica leggera. La parola, in quel campo, è importante e viene coltivata. Chi vuol far lirica pensa che allora quando si capiscono troppo le parole si sta facendo musica leggera e si vergogna e cambia strada. Il canto lirico, per loro, è suono, un certo tipo di suono, che disgraziatamente il più delle volte è un suono di gola, orrendo ma che è entrato nell'immaginario collettivo come, invece, qualcosa di importante, di "artistico". E invece è "infinocchiare". Sapete perché si dice infinocchiare per intendere imbrogliare? anticamente gli osti che mescevano il vino, prima di servire la bevanda offrivano qualche pietanza agli avventori per non farli bere a stomaco vuoto, e spesso questa era costituita da un piatto di finocchi. Ma i finocchi riescono a nascondere il vero sapore del vino, che spesso era di mediocre qualità. Ma potremmo fare tanti esempi: i coloranti, il sale e lo zucchero, che ci nascondono il reale sapore delle sostanze che beviamo o mangiamo. Sentite uno dei tanti cantanti di inizio XX secolo che "parla" cantando, come si voleva in epoca rinascimentale, quando quest'arte potremmo dire ebbe inizio (in realtà la cura della voce, cantata o meno risale alle origini stesse dell'uomo...). L'uomo "moderno" si crede molto furbo, molto intelligente, perché c'è la scienza che studia e approfondisce, ma la scienza divide, spezzetta ed è del tutto incapace di studiare e cogliere ciò che è l'arte, per il semplice motivo che arte e scienza stanno da due parti opposte dell'essere umano, la scienza sta nella parte razionale, cerebrale, l'arte sta nella parte creativa, metafisica. Dunque sono inconciliabili, perfino opposte, e chi vuol far arte deve sottostare ai principi dell'arte, non di una scienza che non è in grado di soppesare le potenzialità evolutive dell'uomo. Se non si accetta e si riconosce che il fiato, tramite la parola, può evolversi a livelli inimmaginabili, ha già fatto una scelta di basso livello, forse utile per "fare qualcosa", ma non certo per fare arte. Non ci si sta accorgendo che stanno sparendo i cantanti mitici, dove può essere oggi un Gigli, un Pinza, una Ponselle, una Stignani, un Basiola? Quante persone ho già sentito che non vanno più volentieri all'opera perché le voci non sono più interessanti? oggi il pubblico dell'opera è sempre più superficiale; si va per curiosità, per un discorso banalmente culturale, ma la passione diventa sempre meno legata alla fruizione. Aspiranti cantanti, con buone doti, che scelgono la strada del lavoro "sicuro" non sono un buon segnale, e l'imperversare di regie inguardabili, giusto per motivare (perlopiù scandalisticamente) frange di spettatori, nemmeno. Ma insisto nell'esortazione a seguire la via dell'arte. Alcuni segnali "umanistici" di questi ultimi tempi mi stanno un po' rincuorando e forse qualche segnale di ripresa sta apparendo. Crediamoci.

martedì, agosto 18, 2020

L' A negletta

 Perché in tante scuole di canto odierne la vocale A è bandita o limitata nella sua pronuncia a una O un po' più aperta? bisogna chiederselo e saper rispondere per comprendere ciò che anima le varie impostazioni vocali. In primo luogo c'è il fatto che questi insegnanti hanno una visione del canto unicamente interna, cioè non concepiscono la formazione esterna delle vocali. Questo è un problema e una grave limitazione, ma spesso aggravata da un'altra limitazione, questa più legata a singole scuole, e cioè non aprire, o solo parzialmente la bocca. Cercheremo di esaminare anche questo. 

Come è evidente, la A è la vocale che richiede la maggiore ampiezza. Per questo, nel canto spontaneo quando si pensa di cantare su una A si apre molto la bocca. In realtà nel parlato semplice difficilmente si apre molto. Questo deve far riflettere. La questione a questo punto è già chiara: se non si apre la bocca non si può cantare una A piena, specialmente forte e/o acuta; peraltro anche aprendo completamente la bocca la A apparirà molto fisica, gutturale, proprio per l'impegno muscolare che comporta quest'azione. Se poi secondo l'insegnante la bocca è meglio non aprirla molto, allora anche da un punto di vista interiore la pronuncia della A sarà quasi impossibile. La cupola palatina è alta, ma non abbastanza per consentire l'ampiezza completa di quella vocale. L'unico spazio che può consentire la vera pronuncia della A è quello esterno alla bocca. Però non finisce qui. Qualcuno potrebbe dire che per la pronuncia delle altre vocali lo spazio interno è sufficiente. In teoria, forse, ma in realtà la perfetta pronuncia delle vocali richiede lo stesso spazio della A, ecco perché la inseriamo quasi sempre negli esercizi.

Approfondiamo l'altra questione: perché alcuni insegnanti non vogliono che si apra molto la bocca? In fondo è semplice: ritengono che la differenza di apertura orale nelle varie vocali le renda estremamente differenti e quindi si produca un canto eterogeneo, inoltre pensano che aprendo la bocca il suono "cada", cioè perda appoggio. Questo fa anche il paio con la questione della "maschera", cioè immaginando che la voce si formi nella zona superiore della testa, diciamo oculare, aprire la bocca significherebbe abbassare il suono (e infatti così si dice), cioè perdere l'immascheramento o appoggio in maschera. Naturalmente è tutta una fantasia astratta e priva di fondamento, o meglio, è una cosa che in parte può essere realizzata, ma a costo di seri difetti. 

Aprire la bocca è importante nelle prime fasi dell'apprendimento del canto; occorre che il fiato conosca gli spazi e impari a percorrerli. Le forme chiave delle vocali devono essere apprese, per poi essere... dimenticate. Una volta che la voce può liberarsi ed esercitare la sua azione vocale all'esterno, questo "smascellamento" non solo non sarà più necessario ma anzi dovrà essere ricondotto a quello del parlato semplice, salvo particolari momenti di notevole intensità in zona acuta. 

Se si partisse sempre da una corretta pronuncia, senza "mascheramenti" e mescolamenti, il fiato si svilupperebbe in modo più corretto e tutto il canto ne avrebbe un notevole giovamento. Invece in questo modo si deve quasi sempre ricorrere a trucchi e artifici che minano la purezza della voce e il suo pieno controllo musicale. 

venerdì, agosto 14, 2020

l'applicazione

 Capita piuttosto frequentemente che le due parti di una lezione, cioè gli esercizi e l'esecuzione di arie, risultino anche notevolmente diverse tra loro; raramente succede che non si facciano particolarmente bene gli esercizi mentre risulti più efficace l'esecuzione di brani mentre molto più spesso succede, parlo soprattutto di allievi che frequentano già da un po' di tempo, che le arie, che cominciano ad essere anche di un certo impegno, risultino più difettose. Da un certo punto di vista ciò può essere normale, perché mentre gli esercizi si articolano su moduli semplici, da una nota a piccole scale o arpeggi, il canto vero e proprio imponga la necessità di salti in varie direzioni, cambi di vocali, necessità espressive, dinamiche, molto più complesse. Per questo esistono delle metodiche di studio che vengono applicate e consigliate, tipo cantare l'aria su una tonalità più comoda, cantarla su una o più vocali, premettere all'esecuzione dell'aria degli esercizi da svolgere con scale e arpeggi semplici sul testo dell'aria, ecc. Ma anche questi non sempre danno risultati particolarmente fruttuosi. Esiste innegabilmente una psicologia della lezione, che penso riguardi anche lo studio degli strumenti, per cui tra la parte di studio, definita "tecnica" e la parte del canto, definita "applicativa" viene avvertita una differenza che il più delle volte influisce negativamente. Intanto dobbiamo dire, in riferimento all'esempio fatto poco fa, che tra lo studio di uno strumento e lo studio vocale c'è una differenza abissale. Il pianista o il violinista o altro, deve realmente compiere un lungo e talvolta massacrante lavoro tecnico soprattutto di natura digitale, pur non dimenticando che anche in questa attività c'è un forte e importante coinvolgimento artistico, spirituale, che deve emergere e superare i limiti fisici, ma essendo gli strumenti esterni all'uomo e inventati, con varie limitazioni, c'è la necessità di adattarsi a uno strumento che non risponde a dei canoni naturali. Il canto è diverso, lo strumento è nostro, fa parte del nostro corpo e tutto ciò che si relaziona con esso, fiato, muscoli, cartilagini, ossa, fa parte del nostro funzionamento naturale, e non dobbiamo (NON DOBBIAMO) inventarci niente, non dobbiamo pensare di studiare delle tecniche e delle modalità per farlo funzionare di più o meglio di quanto non faccia; l'unica cosa che dobbiamo fare è innescare un processo evolutivo che porti il canto (fiato) a dare il meglio di sé, la qual cosa non è prevista naturalmente perché il canto non ci serve per vivere e sopravvivere, e nemmeno comunicare (basta la parola). E' una necessità spirituale che quindi richiede un approccio anche di tipo filosofico, ovvero una conoscenza metafisica che ci porti a conoscere i fondamenti dell'arte (vocale, in questo caso) e che quindi ci conduca a portare il canto a un livello di coscienza pieno e a farlo elevare a nuovo senso, diventando in questo modo naturale, cosa che istintivamente non è e non può essere. Per far questo, ricordo, è necessario superare, abbattere, l'ego, che è l'ostacolo più ostico che ci si presenta quando ci si approccia a un'arte. 
Anch'esso ha di certo una responsabilità nel discorso che sto affrontando. Gli esercizi sono considerati una ginnastica, un allenamento finalizzato a metterci in condizione di dare migliori risultati, ma quando si passa al canto, viene fuori la nostra passione, la nostra volontà di farci sentire, di farci valere. E quindi l'ego non se ne sta lì inerte, ma comincia a gonfiarsi e a intromettersi nella nostra attività, non accontentandosi di quella voce semplice, banale, che si usa negli esercizi, ma deve indurci a realizzare una voce veramente importante, lirica, potente, vibrante, bella, sonora, forte... Questa possiamo considerarla la problematica più imponente. Per questo questa scuola è difficile e con un futuro assai incerto, forse buio. Bisogna infatti comprendere che tra la prima e la seconda parte di una lezione non esiste una reale differenza! L'unica differenza sta nel fatto che la prima è più semplice (ma non tutti saranno d'accordo), per "mettere in moto" il fiato e far sì che possa portarsi alla migliore condizione possibile quando si affronta la seconda. Ma spesso e volentieri invece la prima parte risulta difficile perché non si riesce a entrare in quel mondo di semplicità, di rilassamento, di accettazione dove non c'è da fare niente, se non metterci sincerità in quello che stiamo facendo, senza cercare meccanismi, senza esagerare ogni movimento; questo porta a stanchezza e comunque a non mettere in relazione gli esercizi con l'applicazione. L'esercizio, nel canto, E' CANTO, è da considerare già un'aria, e l'uso della parola, che viene, almeno in parte, sempre impiegato, deve essere applicato con la stessa verità che si dovrà poi usare nel canto. Quando gli esercizi sono fatti bene, possono dotarci di una voce particolarmente pura, aerea, libera, il che, quando si andrà a cantare, non piacerà (soprattutto all'ego) perché ci sembrerà "diversa", non adatta a quella dei cantanti lirici imperanti, troppo banale, che poi non si sentirà in un grande ambiente. Non ci rendiamo conto, cioè, di avere in mano realmente uno strumento divino, che proprio per la sua facilità e purezza, è quello giusto e indispensabile per far arte. Con i rumori della gola, con le frizioni, gli ostacoli che si creano in gola, in bocca e in ogni altro spazio e organo coinvolto si fa solo una misera imitazione del canto, siamo costretti a spingere, a gridare per cercare di farci largo tra gli ostacoli, non rendendoci conto che in questo modo li stiamo creando noi!. Però c'è un elemento che dobbiamo altresì indicare: la paura. Nel momento in cui si fanno degli "innocui" esercizi, la persona si sente coinvolta in un processo di apprendimento, come quando si studia una lingua, finché si tratta di memorizzare termini, di studiare i verbi, ecc., può andare tutto bene, ma quando si passa a parlare, a dover ricreare circuiti di formazione di frasi, di fronte a chi già sa parlare quella lingua, il blocco è quasi automatico. Quindi si deve affrontare il muro della paura, che qualcuno pensa sia limitato al campo degli acuti, che certamente impegnano di più e possono più facilmente nascondere le insidie che portano a steccare, stonare o ottenere cattivi esiti, ma che in realtà entra in azione ogni qualvolta affrontiamo qualcosa che non è compresa dalla nostra ragione, cioè non fa parte della nostra parte razionale e fisica, ma proviene dalle nostre esigenze spirituali. La soluzione è quella di "scendere", di non vergognarsi di fare cose banali, di mantenere quella umiltà, semplicità, degli esercizi, cioè non illudersi che passando da una parte all'altra si entra nel mondo holliwoodiano, fatto di luci ed effetti speciali, ma si rimane con i piedi per terra, su un normale pavimento e in una semplice stanza, dove si può e a volte si deve sbagliare, ma dove è anche necessario sperimentare e provare a sé stessi che l'evoluzione c'è e la si persegue e qualunque volontà di far sentire che abbiamo una voce, abbiamo un talento, dei mezzi speciali, è destinata a rallentare il nostro percorso, a farci tornare indietro e a impedirci di conquistare l'arte. E' una lotta dell'animale contro il divino che c'è in noi, e non dobbiamo permettergli di intralciarci i piani, consentendogli di farci credere ciò che non siamo.