Potrei dire: lasciate perdere tutto ciò che sapete, che avete letto, sentito, azzerate, resettate, svuotate. Se riuscissimo a partire da qui (e la cosa vale per qualunque attività che possa rientrare in un ambito artistico serio) avremmo già fatto una conquista. Avendo avuto la fortuna e l'opportunità di insegnare a ragazzi molto giovani, ho potuto verificare che non è solo un'ipotesi. Ma anche questo non basta, perché lo stile di vita del mondo in cui viviamo ci induce comunque a caricarci di idee che anche se non collegate direttamente con quello del canto, influiscono, e non poco, sul modo di approcciarci a esso. Tecnica e impazienza sono i primi e quasi ineliminabili meccanismi mentali e non a cui si soggiace. Pensiamo, perché ce l'hanno fatto pensare, che per cantare bisogna svolgere delle attività fisiologiche e meccaniche, e siamo sempre in attesa che l'insegnante ci sveli il segreto: cosa devo fare? E naturalmente gli insegnante ben volentieri si prestano a rispondere con i vari: gonfia lì, spingi là, tira così, alza di là, ecc. ecc. quindi cosa si vuole di più? Sono contenti e soddisfatti tutti e due. E, di conseguenza, non ci vuole nemmeno tanta pazienza, perché appena si inizia ti danno subito delle ricette. Invece se l'approccio è: parla, migliora il parlato, non "cantare", non fare niente, a qualcuno può far storcere il naso; perché come si fa a non fare niente? che c'entra il parlato? sto fiato che non va gonfiato, non va spinto, ... dopo un po' mette a dura prova la pazienza.
Allora emergono le due parole più importanti: riconoscere e accettare. Queste sono le parole chiave per accedere alla consapevolezza. Rinunciare alle manifestazioni di esteriore propagazione sonora, che di artistico hanno poco o niente, per far emergere la vera potenza interiore, l'energia spirituale che partendo dalla parola elevata, si può aprire verso la sua massima libertà, e quindi luminosità e sonorità. Accettare e riconoscere vuol anche dire rinunciare: a fare cose internamente, a creare o costruire suoni mediante coinvolgimenti muscolari interni, a fare tecnica, a fare in fretta... Accettare cosa? la semplicità, l'elementarità dell'approccio. Dire le cose che sono scritte in un testo musicato rendendosene conto! Il canto che va per la maggiore, nel migliore dei casi riesce a farsi capire, ma non comunica realmente un contenuto, che fortunatamente è spesso rivestito da grande musica che riesce a veicolare almeno in parte. E invece accorre saltare al di là delle nostre normali capacità per far sì che la parola si capisca nel profondo "nonostante" il canto. Quanto il maestro deve insistere perché quella parola, cioè tutto ciò che c'è in quella parola (e poi quella frase) sia veramente "così", come nel caso della recitazione. E invece c'è sempre quella E che non è vera, quella A che non ha niente a che vedere con una vera A, e così via, e poi comunque anche quando sono a posto tutte le vocali, ci sono le consonanti, e quando è tutto a posto, quella parola non si lega con la precedente o la successiva, e anche quando si legano non ci trasportano il senso vero del discorso, e allora insistiamo. Tutto questo cosa può avere a che vedere con "alza il velopendolo", premi sulla pancia o sulle reni...? metti in maschera, gira....? un bel niente. Gli allievi di canto a cui si insegna che prima di tutto c'è la parola, si ribellano, perché questo sembra canto "leggero", cioè quello dei "canzonettari", confondendo l'approccio con la disciplina, e quindi con i risultati. Il canto spontaneo è un'ottima base di partenza, specie se si hanno delle doti in quel senso. Non per nulla molti dei buoni cantanti di questi ultimi tempi provengono dalla musica leggera. La parola, in quel campo, è importante e viene coltivata. Chi vuol far lirica pensa che allora quando si capiscono troppo le parole si sta facendo musica leggera e si vergogna e cambia strada. Il canto lirico, per loro, è suono, un certo tipo di suono, che disgraziatamente il più delle volte è un suono di gola, orrendo ma che è entrato nell'immaginario collettivo come, invece, qualcosa di importante, di "artistico". E invece è "infinocchiare". Sapete perché si dice infinocchiare per intendere imbrogliare? anticamente gli osti che mescevano il vino, prima di servire la bevanda offrivano qualche pietanza agli avventori per non farli bere a stomaco vuoto, e spesso questa era costituita da un piatto di finocchi. Ma i finocchi riescono a nascondere il vero sapore del vino, che spesso era di mediocre qualità. Ma potremmo fare tanti esempi: i coloranti, il sale e lo zucchero, che ci nascondono il reale sapore delle sostanze che beviamo o mangiamo. Sentite uno dei tanti cantanti di inizio XX secolo che "parla" cantando, come si voleva in epoca rinascimentale, quando quest'arte potremmo dire ebbe inizio (in realtà la cura della voce, cantata o meno risale alle origini stesse dell'uomo...). L'uomo "moderno" si crede molto furbo, molto intelligente, perché c'è la scienza che studia e approfondisce, ma la scienza divide, spezzetta ed è del tutto incapace di studiare e cogliere ciò che è l'arte, per il semplice motivo che arte e scienza stanno da due parti opposte dell'essere umano, la scienza sta nella parte razionale, cerebrale, l'arte sta nella parte creativa, metafisica. Dunque sono inconciliabili, perfino opposte, e chi vuol far arte deve sottostare ai principi dell'arte, non di una scienza che non è in grado di soppesare le potenzialità evolutive dell'uomo. Se non si accetta e si riconosce che il fiato, tramite la parola, può evolversi a livelli inimmaginabili, ha già fatto una scelta di basso livello, forse utile per "fare qualcosa", ma non certo per fare arte. Non ci si sta accorgendo che stanno sparendo i cantanti mitici, dove può essere oggi un Gigli, un Pinza, una Ponselle, una Stignani, un Basiola? Quante persone ho già sentito che non vanno più volentieri all'opera perché le voci non sono più interessanti? oggi il pubblico dell'opera è sempre più superficiale; si va per curiosità, per un discorso banalmente culturale, ma la passione diventa sempre meno legata alla fruizione. Aspiranti cantanti, con buone doti, che scelgono la strada del lavoro "sicuro" non sono un buon segnale, e l'imperversare di regie inguardabili, giusto per motivare (perlopiù scandalisticamente) frange di spettatori, nemmeno. Ma insisto nell'esortazione a seguire la via dell'arte. Alcuni segnali "umanistici" di questi ultimi tempi mi stanno un po' rincuorando e forse qualche segnale di ripresa sta apparendo. Crediamoci.
Ironico che la metafisica, considerata da Aristotele la scienza prima, perché libera dalla materialità delle scienze sperimentali, sia finita al polo opposto di quello che si intende oggi per scienza! Interessante!!!
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