Il diaframma costituisce la base dei polmoni e si può dire che divida il busto nelle due zone superiore e inferiore. Esso si abbassa quando inspiriamo e si rialza in fase espiratoria. Sia chiaro che questo movimento non è macroscopico, specie durante la respirazione fisiologica ordinaria; diventa più evidente quando si deve ricorrere a una respirazione più profonda e frequente, come quando si corre, si compie un lavoro faticoso, ecc. Il diaframma possiamo definirlo in fase di riposo quando è sollevato, cioè nella sua posizione più elevata, mentre discendendo, quindi in fase inspiratoria, si tende, per cui dobbiamo ricordarci che più scenderà più la sua tensione aumenterà. Questo è generalmente considerato un elemento positivo per la voce, perché la maggiore tensione si rifletterà sulla pressione polmonare per cui si avrà una maggior carica energetica per la proiezione vocale. Questo è un punto critico e di parziale conoscenza su cui torneremo tra poco. Occupiamoci invece ora di alcune altre condizioni afferenti l’apparato respiratorio e vocale che condizionano il diaframma e il funzionamento dell’apparato in fase di emissione vocale.
Rispetto a un atto respiratorio normale (fisiologico), la volontà di parlare, cantare, gridare, ecc. produrrà istantaneamente l’accollatura della rima glottica, cioè la chiusura delle corde vocali. Ciò significa che il percorso dell’aria espiratoria incontra un ostacolo. Siccome l’aria DEVE uscire, per evidenti ragioni, scatta un automatismo che provoca uno stimolo alla risalita del diaframma, che premerà sull’aria inducendone l’uscita. Naturalmente sarà quasi impercettibile; questo stimolo diventa evidente e consistente se volontariamente o per necessità o in una situazione particolare il fiato non esce (apnea). Ma questo stimolo può diventare importante anche in relazione alla voce. Le corde vocali, infatti, si adducono e offrono un impedimento all’uscita dell’aria in misura proporzionale ad alcuni parametri come il colore, l’altezza e l’intensità del suono vocale che si intende emettere; aumentando la resistenza delle corde al passaggio dell’aria, aumenterà anche la spinta che il diaframma sosterrà per cercare di espellere l’aria dai polmoni.
Nel lessico dell’universo canoro, il concetto di “appoggio diaframmatico della voce” è uno dei più utilizzati, e in nome di questo concetto si consumano veri delitti vocali. Siccome “bisogna” appoggiare il suono, o il fiato, sul diaframma, si esorta l’alunno a ogni genere di manovra che, secondo l’insegnante, serve a questo scopo, che, più o meno violentemente, comporta una pressione verso il basso. Questa manovra o anche solo questo genere di tendenza in realtà rischia di essere controproducente, cioè di generare l’esatto opposto.
L’idea di un appoggio diaframmatico, pone l’illusione che esso non vi sia se non viene prodotto volontariamente e coercitavemente dal cantante. Ma il fiato appoggia sempre sul diaframma, quando respiriamo e quando parliamo, se pur molto debolmente, ma la debolezza è dovuta al fatto che esso è poco coinvolto in questa attività, se non, come ripeto, in momenti di intenso lavoro respiratorio. Il problema è esattamente quello opposto, cioè non provocare lo spoggio del fiato dal diaframma! Il diaframma si solleva non solo quando perdura a lungo l’aria all’interno dei polmoni, ma anche quando si provoca una maggiore pressione dell’aria. Il motivo è presto detto: l’aria polmonare ha, oltre al ruolo di scambio gassoso, un compito meccanico. Quando facciamo uno sforzo o ci pieghiamo in avanti e cerchiamo di riconquistare la posizione eretta, il fiato partecipa con la muscolatura del torso a questa operazione, e ce ne possiamo facilmente accorgere dal fatto che in questi momenti è anche difficoltoso parlare: la glottide tende a chiudersi e il diaframma si alza per procurare una pressione maggiore che aiuti il soggetto nel compiere l’operazione. Dunque se noi mediante stimoli muscolari, induciamo una maggiore pressione nei polmoni, provochiamo contemporaneamente uno stimolo-reazione alla risalita del diaframma che causerà quel temuto spoggio. La voce perderà vigore, intensità, ricchezza, facilità. Dunque ciò che non va fatto è cercare di aumentare volontariamente l’appoggio con manovre fisiche, muscolari. Purtroppo la questione non si esaurisce con questo semplice consiglio, perché comunque appena cercheremo di dare più intensità, più colore alla voce o ci spingeremo nella tessitura più acuta, dove le corde risultano più tese, noi ci troveremo egualmente in presenza di una reazione e di un possibile spoggio. La disciplina di cui discorriamo ha come scopo e obiettivo proprio quello di eliminare queste reazioni, cosa che cercherò di illustrare nel prosieguo del discorso.
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