Comincerò col postare due importanti esempi del "parmi veder".
Luciano Pavarotti, 1981, Metropolitan, direttore J. Levine.
Qui gran parte della colpa di una modesta esecuzione è del direttore. L'introduzione è davvero pessima, tutta piatta, meccanica, senza alcun criterio (specialmente le battute immediatamente precedenti l'entrata del Duca). Pavarotti però entra e lancia il suo "ella mi fu rapita" con una sicurezza e proiezione da rasentare la perfezione! Ma bastano poche frasi a peggiorare il tutto. Sembra imbabolato e non capire ciò che sta dicendo. Ma soprattutto l'attacco di "e dove ora sarà...", a presentare la mediocrità di questa esecuzione: tutto forte, senza alcun affetto. Poi iniziano anche i guai vocali: la A di "caro" è fatta con mandibola leggermente inchiodata, e il difetto si ripresenterà più volte, sempre a peggiorare, durante tutto il brano (vedi già il successivo "potE'", "modEsto", "creeeeeedo", "mA ne avrò", tutto "lo chiede il pianto" e la E in vocalizzo di "della", molto difettoso, e persino la E di "diletta", strettissima, che manda indietro pure la A finale. L'attacco di Parmi è brutto, è praticamente una O neanche tanto avanti. "Scorrenti", come volevasi dimostrare, non è una semicroma. Ma Levine non le guarda ste cose?? La frase non ha accenti, è tutta forte uguale, e lo stesso dicasi della seconda. Realizza la legatura e respira dopo il "quando", che mi pare una pessima cosa, ma è in buona compagnia... Ma, matita blu, non esegue le crome puntate, ma fa tutte terzine anche sul "dubbio e l'ansia", che vuol dire uccidere il senso musicale e testuale: "tut l'istes" si dice in Piemonte, tutto uguale, tanto chi le sente ste cose? Pasticcia con le note su "dell'amor nostro memore", e infila una corona fuori luogo sul lab. Alla ripresa respira dopo "Ei", con una sensibile diminuzione di volume su "che vorria", non so quanto giustificabile. La voce però comincia ad accusare stanchezza e si ingola (si sente bene sul "beata", ma già prima si avverte); non c'è alcun tentivo di diversificare la dinamica su queste frasi, tutte forti uguali. Esegue una salita al lab come fosse il P.M., ma è vocalmente modesto, dopo l'attacco va indietro. Ma quando arriva il vero punto massimo, "per te", è davvero brutta cosa, trattandosi di Pavarotti; stretto stretto e indietro. Il sib, eseguito, non è tanto meglio, pur essendo una A. Non capisco perché dica invidiò con una O super stretta sul bocchino... mah. Il finale, scusate, ma è penoso. La voce indietrissimo, tutta appoggiata sulla mandibola, e a tutto gas. Le premesse facevano sperare un'altra esecuzione. Non mi sono soffermato su altri particolari soprattutto musicali, con qualche ascolto attento ognuno potrà notare.
Veniamo invece all'esecuzione di Alagna, 1994, alla Scala con Muti. Qui direi che invece il direttore è artefice di cose migliori. L'attacco, però, come suo solito è esagerato nello stacco dei tempi. Però è decisamente più curato e differenziato rispetto a Levine, sarà forse anche la migliore orchestra della Scala, comunque l'introduzione è più corretta. Alagna qui aveva ancora voce fresca e facile, più pastosa di quella di Pavarotti, ma meno presente e penetrante. Sicuramente il recitativo è dieci volte migliore, molto curato nelle dinamiche (un po' meno nei fraseggi) e anche nell'atteggiamento scenico si nota un coinvolgimento totalmente assente nel modenese. Il recitativo, nel suo insieme, è, anche vocalmente, superiore, per omogeneità di emissione. L'attacco di "parmi" non è sicurissimo, però molto più bello di quello di Pavarotti, ma anche qui notiamo una assoluta piattezza di fraseggio. Ovviamente lo "scorrenti" è una semicroma perfettissima, perché Muti a queste cose ci tiene, e va a suo onore. Però anche lui respira dopo il "quando", e pasticcia anche un po', questo credo si potesse evitare. Ma il "dubbio e l'ansia" sono finalmente cantati perfettamente a tempo. Nuovamente respira non si capisce se dopo "ei" o "che" o un po' qui o un po' la... Questa incertezza rovina parecchio il fraseggio complessivo. Poi c'è una variazione, proposta in partitura, che non mi pare gran cosa... la salita al lab, anche per lui troppo ritenuta, si presenta incauta, e l'acuto va indietro. Muti, meno male, evita il sib, però non avendo, secondo me, compreso che il PM è su "per te", fa soffermare troppo Alagna sul solb degli "angioli" (qui è stata ripristinata questa dicitura). La cadenza è eseguita come scritta (con una A molto indietro), ma fortunatamente anche lui va concludere con "per te", purtroppo vocalmente carente. Nell'insieme comunque direi che l'esecuzione migliore, al di là della voce dei due tenori, che possono piacere più o meno, è quella della Scala, per la notevole miglior prestazione direttoriale, ma anche per una complessiva caratterizzazione vocale e del ruolo da parte di Alagna.
Per correttezza, dirò che su youtube si trovano altri video della stessa aria cantata da Pavarotti, migliori di questa; ho preso la prima che mi era capitata, ma va bene così, perché si impara di più dagli errori!
Pavarotti è davvero anti musicale, si percepisce in generale uno scollamento tra canto e orchestra, proprio una incapacità di andare insieme ritmicamente. Praticamente c'è solo questa gran bella voce, ma per il resto... molta noia e approssimazione.
RispondiEliminaAlagna mi pare molto meno "libero", nitido, e sonoro nell'imposto vocale, molte "a" somigliano a suoni intervocalici ("p-AO-rmi veder", "qu-AO-ndo fra il dubbio..."), ma musicalmente è più preciso e curato. Però davvero dispiace sentire nella coda il LAb di "per tE", con la progressione che precede, eseguito senza sfogare tutta la tesione creata, ma anzi creando le condizioni per un altro climax, come se l'acme fosse sulla parola "angeli", che viene ben più sottolineata... Davvero un peccato, perché in questo modo chi ascolta si aspetta di sentire l'acuto su "angEli", dato che le scelte agogiche e dinamiche del direttore impediscono di riconoscere nel LAb di "per TE" il vero culmine della progressione. A quel punto il SIb era meglio farlo, a mio parere. Così invece si crea uno sfasamento ancora più sgradevole, e soprattutto inconcludente.
Francesco