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sabato, luglio 07, 2012

"Notte e giorno faticar per chi nulla sa gradir..."

L'argomento "fatica" nel canto è difficile da descrivere, perché si può intendere in almeno due modi. Partiamo dal fatto che molti che si avvicinano al canto non hanno idea della fatica, quindi dell'impegno, che occorre per cantare a livelli artistici importanti. Per alcuni, non pochi, esiste una fatica muscolare, quindi attiva, che è anche importante far sentire, e di conseguenza esiste un pubblico, anch'esso non esiguo, che ritiene che il grande cantante debba vincere, e quindi mostrare, una battaglia vera e propria. E' una concezione decisamente obsoleta, legata a un concetto del tutto antiartistico del canto. Non voglio dare una connotazione politica a questo fatto - sono lungi da questo genere di implicazioni - ma semplicemente per un inquadramento storico, sono convinto che questa concezione nacque o si consolidò nel periodo fascista (ma in fondo non è un pensiero politico, ma di quel periodo storico), quando il mito dell'eroe e dell'uomo (in particolare maschio) "vero" si imposero e dunque anche un cantante che vinceva la propria battaglia contro gli impegnativi e ostici acuti, veniva osannato come un eroe. Questo genere di fatica non ci interessa e non è da ritenersi essenziale per il canto. Certo noi ancora oggi non possiamo fare a meno di notare anche con una certa invidia quei cantanti che a fronte di metodi di canto evidentemente sbagliati, hanno saputo raggiungere in qualche modo l'età della pensione senza arrendersi. E' stato il caso di Di Stefano, che pur dovendo rinunciare alla carriera al top poco dopo i 40 anni, ha continuato a cantare imperterrito fino agli anni 80; ancor di più, vero miracolo, per Placido Domingo, un vero uomo d'acciaio, che anche quando - a 70 anni suonati - ha dovuto arrendersi a intraprendere ruoli tenorili, non ha rinunciato al canto, per quanto possa ancora risultare ascoltabile in ruoli baritonali, ma la forza del nome risulta ancora vincente sulla qualità del suo canto; anche questa è una caratteristica del mondo dell'opera su cui non è il caso di disquisire. Comunque a parte questi due casi piuttosto eclatanti, sono stati molti i cantanti, anche donne, giunte a una rispettabile età con evidenti problemi di tenuta vocale ma ciononostante ancora ascoltabili (contro invece un certo numero di cantanti che incredibilmente hanno proseguito nell'esibirsi nonostante ormai il canto fosse divenuto ridicolo, come capitò alla Moffo, ad esempio: http://www.youtube.com/watch?v=M8jiaVVq514). Chi affronta il canto in scuole che si dichiarano belcantistiche, che si rifanno ad antiche prassi educative, ecc., ritengono che il canto possa risultare facile e poco faticoso. Dobbiamo metterli in guardia che non è così, anche se, come abbiamo premesso, si tratta di una fatica diversa, ma ciò nonostante, tutt'altro che di scarso rilievo. La differenza sostanziale riguarda il fatto che non si tratta di fatica attiva, ma passiva, quindi sopportare o sostenere il peso della postura, dell'impegno vocale, mentre non c'è da spingere o fare attività di natura muscolare, soprattutto dentro. Per chi è abituato a cantare con i muscoli, passare a un tipo di canto sul fiato potrà, a tutta prima, risultare molto più facile e leggero, ma a un certo punto, specie in zona acuta, si renderanno conto che il peso, la pressione degli acuti a piena voce interamente sul fiato comporta un peso straordinario, difficile da immaginare e da sostenere, e questo è poi il motivo sostanziale del perché si ingola e si tira indietro. La respirazione dell'antica scuola italiana riduce in parte questa fatica, anche se aggiunge la necessità della sostenutezza toracica, tutt'altro che lieve, ma più facilmente assimilabile e "automatizzabile". Chi, oltre alla pigrizia istintiva, aggiunge una propria scarsa disposizione al lavoro fisico, avrà poche chances di poter cantare a buoni livelli. Per questo motivo vediamo che la maggior parte dei cantanti è anche dotato di una certa struttura e/o "stazza" fisica.

3 commenti:

  1. Interessante la considerazione per cui la concezione di un canto stentoreo, muscolare, atletico, sarebbe stata fomentata dalla mentalità fascista. Non ci avevo mai pensato. Non sono però del tutto d'accordo. Per me la decadenza della lirica comincia con il Romanticismo, ossia con Duprez e le sue grida da "cappone sgozzato", come diceva Rossini. Fu lui ad inaugurare l'era del canto monocorde, gridato, privo di elasticità e nuances a mezzavoce. Poi, prima dell'era fascista, io solo solito individuare una tappa importante della decadenza nel mito discografico di Caruso, il cantante verista e muscolare per antonomasia (quanto distante dalla grazia di un De Lucia, che ben prima di Caruso aveva creato i personaggi dei compositori c.d. "veristi"!), da cui scaturirono intere generazioni di emuli, soprattutto in corda tenorile. Se penso ai grandi cantanti italiani del periodo fascista mi vengono in mente i nomi di Schipa, Gigli, Lauri Volpi, Toti dal Monte, il cui canto mi pare tutt'altro che violento e muscolare.

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  2. Errata corrige:

    *io soNo solito individuare

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  3. Il periodo fascista è stato quello in cui, in epoca moderna, si è accentuato il culto della posa scultorea e "maschia". Sono d'accordo che il tutto è nato precedentemente, ma lì c'è stato il culmine, che ha continuato a imperversare per alcuni decenni. La grande fortuna di un tenore come Del Monaco è stata favorita dal fatto che il suo timbro vagamente baritonale dei centri ha fatto esclamare a diverse generazioni di appassionati "un tenore con timbro maschile". Lui poi ci ha messo parecchio del suo, con l'accento eroico e con dichiarazioni e pose, anche al di fuori della scena, che hanno irrobustito questa tendenza. Quando all'orizzonte si affacciò Pavarotti, Del Monaco lo criticò per aver interpretato ruoli eroici con voce "androgina". E' peraltro verissimo quanto dici sui cantanti dell'epoca fascista, per lo più grandissimi vocalisti... insomma, una questione forse un po' troppo complessa da trattare.

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