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venerdì, aprile 12, 2013

Operare la sintesi

Sono sempre stato restio a pubblicare esercizi e fornire consigli diretti sul canto, perché l'operare da soli può portare a conseguenze nefaste; nel canto - ma diciamo pure in qualunque arte operativa - l'autodidattica è fuori discussione; si può tutt'al più concepire che dopo un certo numero di anni di esperienze, seppur negative, un individuo da solo possa trovare una personale strada educativa. In alcuni casi può portare a risultati interessanti e persino importanti, se ci sono condizioni interiori di crescita. Quanto mi accingo a scrivere è un esercizio che può valere per tutti e riguarda un primo tassello di uno sviluppo artistico della vocalità. Lo può fare colui completamente a digiuno di vocalità come il professionista. E' più probabile che sia il soggetto "vergine" a ottenere risultati apprezzabili, perché meno legato a idee, concetti, automatismi di produzione vocale.
Dunque, riprendendo il post precedente, sottolineo che la conquista artistica passa per l'unificazione operata dal pensiero: la bocca, non intesa come cavità orale, ma come bocca comunemente intesa, cioè apertura da cui esce la voce, dalle labbra in avanti, produce ciò che la mente chiede, le orecchie recepiscono il suono-voce che la bocca ha emesso arricchito dal contributo ambientale. La mente dunque si trova all'inizio dell'attività a svolgere un ruolo volitivo e al termine un ruolo di verifica. A questo punto subentra l'aspetto che può rovinare tutto, anzi diciamo pure "che rovina tutto", perché è il giudizio, il quale è del tutto inopportuno e quasi certamente sbagliato. Come con le mitiche sirene di Ulisse, spesso le persone restano ottenebrate dal suono interiore della propria voce, che ha poco a che vedere con la voce vera che si deve produrre; il fatto che una voce suoni molto e abbia molta risonanza interiore può creare il convincimento che sia una voce forte, importante, ricca, il che può essere oppure no, ma in ogni modo quello che il soggetto sente non è ciò che esce e che viene recepito da chi ascolta. Allora il primo obiettivo che occorre porsi è quello di prendere coscienza di ciò che è e di ciò che manifesta la nostra normale voce parlata! Questa cosa, apparentemente molto semplice, è in realtà assai impegnativa, perché come proviamo a metterci all'attenzione, perdiamo spontaneità o cosiddetta naturalezza e non siamo più facilmente in grado di emettere suoni uguali a quelli che emettiamo normalmente. E' un po' come stare in posa davanti alla macchina fotografica, ci si imbarazza, si cominciano a fare smorfie, si cerca di sorridere, ecc. e molto spesso il risultato è del tutto artificioso e poco convincente, e talvolta si adottano trucchetti (tipo il famoso: "chees") per ottenere un risultato perlomeno accettabile. Sappiamo come invece le fotografie scattate all'insaputa o all'improvviso diano molta più veridicità alle posture, ai volti, ecc. Sappiamo peraltro che l'allenamento e la volontà possono portare a situazioni molto importanti. Guardando grandi attori e personaggi televisivi, si possono gustare recitazioni che possono definirsi artistiche. Celeberrima era la "maschera" di Buster Keaton, che riusciva a fare cose comicissime mantenendo una immutabilità di espressione esilarante (oltre che nei film nella famosa serie di scherzi con la telecamera nascosta). Rimango basito quando vedo un comico che dice o fa cose fortemente divertenti e riesce a mantenersi impassabile, così come resto deluso quando vedo che proprio non ce la fa. Allora questi attori cosa usano per superare questi automatismi? La volontà. Come ho già illustrato in più post, dobbiamo rimanere concentrati nel pensiero ed evitare che la mente "si divida".
L'esercizio che propongo è quello di emettere un semplice monosillabo, tipo "ma" ripetutamente, ma non affrettatamente. Si può scegliere di intonare questo monosillabo oppure no, ovvero in entrambi i modi, senza scegliere la nota, come ci viene. Ciò che dobbiamo fare è "solo" schiudere le labbra e lasciar uscire il nostro "ma", breve, senza alcuna volontà canora, cioè senza dare intensità, spinta o altro. Un ma parlato o parlato-intonato. Contemporaneamente all'emettere il monosillabo, ci si deve concentrare nell'ascolare il prodotto sonoro del nostro "ma" nell'ambiente. Se ci è parso poco interessante dobbiamo considerare non che abbiamo fatto poco, ma che abbiamo fatto troppo! Non era sufficientemente libero, o semplice, non era sufficientemente fluido e scorrevole o pronunciato (ma senza forza) vuol dire che abbiamo premuto, abbiamo messo in azione muscoli del torace, della gola, ecc. La concentrazione deve avvenire solo sulle labbra, cioè il suono deve partire da quel punto senza il minimo coinvolgimento di altre parti del corpo. Occorre fare una sorta di passaggio radar per individuare se nell'emettere il suono si mettono in moto altri meccanismi, che vanno tolti perché inutili e dannosi. Il "ma" può venire - e viene - meravigliosamente senza alcun altro contributo fisico di quello di schiudere le labbra. Provate questo esercizio senza insistere troppo, ogni tanto. Attenzione: nel momento in cui il suono risultasse effettivamente libero e molto sonoro, magari anche perché siamo in un locale con acustica risonante (attenzione alla scelta del luogo), facilmente si sarà indotti a riprodurre QUELLA RISONANZA, cioè si perde il contatto con ciò che quella risonanza ha prodotto, cioè il nostro semplice "ma". E' in fondo la causa di tutti o di gran parte dei mali odierni del canto, cioè correre dietro agli effetti e non concentrarsi sulle cause del buon canto, che stanno nella semplicità e nella autoconsapevolezza.

2 commenti:

  1. Bisognerebbe codificarli tutti gli esercizi, perlomeno come promemoria per chi è già addentro nella scuola...

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  2. Beh, seguendo l'etichetta 'esercizi' credo se ne possano trovare già diversi. Comunque vedrò e valuterò se metterne altri, sempre con l'attenzione a non disorientare e a non indurre in errore.

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