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lunedì, aprile 14, 2014

"O Natura..."

Forse c'è un equivoco dilagante, e cioè confondere l'arte con l'abilità o il virtuosismo. Noi abbiamo sempre più persone dotate di spiccata abilità, ovvero una capacità tecnica di esperire brillantemente una determinata disciplina, perché ci sono le possibilità economiche e temporali per cui sempre più persone si dedichino con dedizione a tematiche a sfondo artistico. Secoli fa non esistevano i licei artistici o coreutici o musicali, scuole pubbliche e private, accademie, conservatori, e in genere le lezioni di queste materie erano perlopiù riservate alle classi privilegiate; solo giovani particolarmente dotati delle fasce di popolazioni più deboli potevano prendere lezioni, quasi sempre grazie a qualche mecenate, non sempre senza qualche tornaconto. Il maggior agio economico che man mano si è instaurato soprattutto in occidente ha dato la possibilità a persone di ogni rango di poter studiare; un numero sempre maggiore di persone hanno avuto la possibilità di dedicare sempre più tempo allo studio, dimostrando di saper suonare, disegnare, modellare, scrivere, comporre, ecc. Oggi è piuttosto normale sentire pianisti giovanissimi affrontare concorsi di notevole difficoltà, autori, concerti, un tempo riservati a pochi divi e non sempre impeccabilmente. Chi ha un po' di conoscenza di musica "classica" conoscerà Alfred Cortot, un pianista leggendario che può lasciar di stucco chi ascoltasse per la prima volta alcune sue realizzazioni discografiche piene di errori, strafalcioni e stecche d'ogni tipo. Eppure gode tutt'ora di grandissima stima, come pure Arthur Rubinstein, noto chopiniano che però si tenne in generale alla larga dai brani più ostici e da altri autori noti per la scrittura complessa. Allora noi oggi abbiamo un aumento rilevante di persone con spiccata abilità, ma una diminuzione sensibile di artisti. Nella musica, potremmo buttar là il nome di Telemann, ad esempio, come musicista molto abile, ma certo la sua musica non è paragonabile a quella di Bach; lo stesso potrei dire per Michael Haydn, abile senz'altro, ma non certo all'altezza del più noto e valido fratello Franz. Certamente le due cose possono coesistere e sarebbe buona cosa, ma di sicuro non si può barattare l'arte con l'abilità. Ora, giustamente, qualcuno può chiedere: ma chi lo dice, e come si può dire, che Bach sia stato un artista e Telemann no (o meno), o Federico Ricci invece di Donizetti e via dicendo? Non si può. Non esiste la dimostrazione. Questi esempi si basano su un dato storico; Vivaldi fu totalmente cancellato dalla memoria storica, ma qualcosa sopravvisse finché non riemerse e si riguadagnò la stima universale, e lo stesso vale per molti altri in tutti i campi dell'arte. Ma con questo abbiamo detto poco, si può dire: "ai posteri l'ardua sentenza", ma è un dato sicuramente discutibile. L'arte o l'artisticità non sono dimostrabili, mentre lo sono l'abilità e il virtuosismo, in quanto l'arte è verità, e la verità non è dimostrabile, perché "è e non è" verità e eternità, un valore energetico "in sé" che è il motore dell'esistenza stessa. Se si dimostrasse la verità, si spegnerebbe il "motore" e ogni forma di esistenza cesserebbe. E' il contrasto, la lotta tra coloro che affermano e coloro che negano a creare quella differenza di potenziale che fa girare ogni cosa. Ecco quindi i negatori di una sola verità, gli assertori della verità soggettiva, i negatori assoluti, e così via. Si può dunque dire che nessuno sappia la verità? No, non si può dire, ma sarà un predicare al vento, perché il suo riconoscersi nella verità non è dimostrabile, soprattutto a chi non crede a nessuna verità e a chi non si è mai inserito in un percorso artistico, anche se lo si può intuire, e solitamente sono i semplici a riconoscerlo, pur in una cieca, cioè inconsapevole, fede. Si deve però in qualche modo poter individuare qualche criterio per non rimanere in un vago ordine in cui ognuno possa rientrare, cosa che in effetti già è! Basta essere un po' eccentrici e sregolati per potersi definire artisti? Allora la parola d'ordine è "libertà". Ma libertà in che senso, da cosa, da chi? Non si può esprimere libertà in senso anarchico, cioè pensare di fare ciò che si vuole. In realtà è una falsissima libertà. Se io non so suonare il pianoforte e mi metto al piano e suono tasti a caso, forse posso avere l'illusione (a magari anche darla) di fare ciò che voglio, in realtà non so fare niente e prendo in giro me stesso e gli altri. La libertà significa in primo luogo padronanza. La padronanza va conquistata. Se va conquistata vuol dire che devo toglierla dal giogo di qualcosa o qualcuno. La verità è la libertà dell'espressione del pensiero - o conoscenza - incomunicabile in termini verbali. Rudolf Steiner diceva che il pensiero modella le forme; siccome nell'uomo il pensiero è particolarmente evoluto ed evolutivo, ecco la forma umana cambiare nel tempo. Il pensiero vorrebbe potersi esprimere liberamente, ma non può perché aggiogato al corpo, che, per quanto evoluto, non può fare a meno delle necessità fisiche e fisiologiche, pertanto, nel nostro caso, per quanto si possa fare, non si potrà mai de-valvolizzare la laringe, così come anulare e medio non sono totalmente indipendenti; abbiamo due possibilità: forzare la natura e cercare con vari trucchi, tecniche e meccanismi muscolari di ottenere il massimo che la natura possa dare, e avremo abilità anche molto sviluppate, oppure accedere alla libertà della conoscenza e del pensiero, alla sua indipendenza dal fisico, e quindi all'arte - o verità - accedendo al non-plus-ultra, ovvero svelando il potenziale contenuto e non manifesto. Escludendo tutte le scuole che in qualche modo fanno riferimento a meccanismi e tecniche legate al fisico, resta la possibilità di un canto naturale o di un canto artistico. Dove sta la differenza? Il canto naturale non esiste (nel senso che si può cantare naturalmente, ma non in senso artistico, cioè evidenziando tutte le doti possedute dalla voce umana  (sonorità, estensione, espressione, ecc.) e per una intera carriera di 30/40 anni), e quindi per spiegare la necessità dello studio si deve far riferimento a una natura "profonda" che risulterebbe come dimenticata, abbandonata, dormiente, e che andrebbe risvegliata. La mia scuola fa riferimento anch'essa alla natura, ma che definiamo "potenziale". Potrebbe trattarsi di una disquisizione puramente terminologica, ma non è così. Nel primo caso si fa riferimento a una natura esistente e che va soltanto sollecitata a dare il meglio di sé; nel mio caso parliamo di una natura esistente ma IMPEDITA, almeno in parte, a lasciarsi svelare e a manifestarsi. Per proseguire bisogna ancora accennare a un altro elemento, che possiamo definire "privilegio", o "dote". Si può definire cantante naturale quello che si trova in possesso di una voce privilegiata, cioè che senza particolare studio, o con poco studio, è in grado di esprimere un elevato livello di performance. Ne sono piene le cronache di tutti i tempi di soggetti di questo tipo, per quanto rari. Una spiccata dote naturale è un buon viatico per un percorso artistico, ma il più delle volte la dote crea pigrizia. Perché faticare quando la natura mi ha già concesso ciò che ad altri costa anni di studi e sacrifici? Qui possiamo venire al caso Celibidache.

Sergiu Celibidache mostrò precocemente un innato talento musicale; fare il musicista è stato fin da subito il suo sogno e lo ha coltivato mettendosi contro tutti, famiglia compresa. Si trasferì dalla Romania alla Germania (già sostanzialmente in guerra) praticamente senza un quattrino e con ancora difficoltà di lingua. Nel tardo '45, appena finita la guerra, con Berlino in macerie, gli si aprono le porte dei Berliner Philarmoniker. Il sogno di Karajan, l'obiettivo ultimo e finale, per Celibidache è solo un inizio, una tappa, per quanto prestigiosa. Un 33enne senza alcuna esperienza direttoriale, sale sul podio di una delle più rinomate orchestre del mondo, viene accettato e dirigerà oltre 400 concerti, affiancandosi poi a Furtwaengler - personaggio solitamente gelosissimo della propria orchestra - fino alla morte di quest'ultimo. C'è da chiedersi come poteva un giovane inesperto riuscire a condurre convincentemente una compagine come quella e come potesse preparare in tempi così ristretti un repertorio immenso come quello che esibì in quegli anni, rischiando liti con l'amministrazione per voler sempre aggiungere brani nuovi. Non v'è dubbio che era un musicista enormemente dotato con una predisposizione allo studio di rara efficacia. Questo per molti sarebbe bastato e avanzato. Consapevole che la tecnica direttoriale era per tutti i direttori una materia alquanto astratta e opinabile, si mise a studiare il rapporto tra gesto e risposta da parte degli orchestrali, avendo oltretutto la possibilità di eseguire esperimenti più volte sugli stessi brani, visto l'elevato numero di concerti di consumato repertorio. Distillò quindi una serie di gesti efficaci escludendo tutto ciò che era superfluo o fuorviante. Questa fu una prima fase prettamente tecnica. A un certo punto arrivò la doccia fredda. Un suo stimatissimo ex insegnante, presente ad un concerto, lo annientò dicendo che durante tutto il concerto non aveva sentito una sola nota di musica. Pensate a come avrebbero reagito la maggior parte dei direttori d'orchestra che vi vengono in mente! Lui invece chinò il capo e ringraziò. Tornò a casa poi andò da quel maestro (Heinz Thiessen), si rimise a studiare tutto ciò che mancava affinché potesse finalmente far musica, e con un lungo, paziente e profondissimo studio, basato naturalmente anche su studi già compiuti da altri, sintetizzò una disciplina artistica atta a far emergere la verità dal groviglio di suoni, mediante criteri, e racchiuse questi principi in una "scienza" che definì Fenomenologia della musica, in quanto prendeva le mosse dalla filosofia fenomenologica di Husserl. Nel fare questo si rese conto che anche il gesto poteva e doveva rientrare nella stessa unità di pensiero (olistico). Questo fece e oggi i suoi allievi e gli allievi dei suoi allievi possono gioire nel vivere facendo Musica, cioè applicando principi e criteri aventi fondamento NELL'UOMO, nel suo funzionamento, nel suo pensiero, nella sua scintilla conoscitiva.

Perché ho parlato di Celibidache? A parte l'ammirazione che ho nutrito fin da ragazzo per questo geniale esecutore, circa 8 anni fa mi capitò per caso di leggere alcune cose scritte da un signore che si presentava come suo allievo (M° Raffaele Napoli). Per un certo tempo seguii "di nascosto" queste argomentazioni; di nascosto sia perché questa persona veniva attaccata indiscriminatamente su vari forum, e volevo capire il perché, sia perché volevo sincerarmi che non millantasse, come fanno molti, una discendenza da un grande musicista priva di reali approfondimenti e lunghe frequentazioni. Ciò che mi colpiva era che quanto veniva scritto, di derivazione fenomenologica-celibidachiana, non solo assomigliava, ma spesso coincideva incredibilmente con quanto conoscevo io in tema artistico di derivazione antoniettiana. Celibidache riteneva che per poter dirigere efficacemente occorreva avere un gesto "libero". Il gesto [direttoriale] libero si può ottenere solo quando il braccio è libero. E perché il braccio non è libero? E perché il fiato o il suono vocale non è libero? Perché non è "naturale"? Può il braccio o il fiato non essere naturale? No, appartiene a un essere che appartiene alla natura. Ciò che rende "non libero" il braccio, come il fiato, come gli elementi utili a un pittore, a un pianista, ecc., è l'involucro, è l'insieme degli elementi "mortali" che appartengono a una natura fisica caduca e che non sanno e non possono (facilmente) cedere il passo a un flusso spirituale eterno. Questo è Celibidache e questo è Antonietti e la mia scuola, anzi, le mie scuole. Quanti sono o saranno in grado di comprendere ed entrare in questo percorso? Pochissimi, quasi nessuno. Questo discorso può apparire presuntuoso, arrogante, isolazionista. Al contrario, io vorrei che tutti entrassero in questa poetica, che è la poetica del lavoro duro, ma anche della felicità. Può interessarmi qualcosa che si scriva male di me, per difendere il proprio orticello? Celibidache nel bel film girato dal figlio, "Le jardin de Celibidache", che consiglio a chiunque voglia emozionarsi sul serio e avere lezioni di vita, si conclude con una ammissione (cito a senso): "la gente dice che sono pazzo, un dittatore, che dico sciocchezze..."; un allievo chiede: "e lei cosa risponde?" - "niente. Cosa dovrei rispondere?"; ma poi l'allievo chiede ancora: "ma c'è speranza?" e conclude: "nel giardino di Dio c'è sempre speranza". Un amico e compagno di studio di direzione d'orchestra ha scritto pochi giorni fa due frasi stupende che riposto qui perché piene di luce:
Osservare colui che ha trovato ciò che ha desiderato, fare un sorriso al cuore e metterci in cammino per trovare anche noi, quello che desideriamo !
Che bello !
Che raro, in questo groviglio di creature rabbiose.
E aggiungo un augurio di cuore ad ogni creatura rabbiosa di trasformarsi in un essere libero.Si può. Auguri !

6 commenti:

  1. Salvo9:15 AM

    Certamente si può gestire tutta la rabbia che si ha in qualcosa di costruttivo e di libero.... ci vogliono appunto pazienza, umiltà e qualcuno che ti indichi la strada... come fare per raggiungere questo benessere dell'anima. Appunto... è sempre più difficile, secondo me, sentire un canto d'anima, un canto che ti coinvolga passionalmente. Certamente è vero quello che affermi a proposito della confusione che si è creata tra virtuosismo ed il concetto profondo e liberatorio dell'arte. Nel giardino di Dio, speriamo che questo tempo che viviamo, così confuso e minato da incertezze e paure generatrici di rabbia, sia una transizione, uno dei tanti passaggi della nostra umanità che ci porterà un giorno a ritrovare noi stessi e quella "luce" che così affannosamente e dispendiosamente stiamo cercando di svelare...

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  2. Anonimo7:03 PM

    Secondo me anche la libertà in senso anarchico, nel senso dato tradizionalmente alla parola anarchismo, rispetto al senso dato comunemente alla parola, non corrisponde affatto al caos e a fare le cose a casaccio, presuppone anzi un'armonia, la costruzione di un contropotere in grado di contrastare gli abusi del potere, ma non solo, è il liberarsi di alcuni preconcetti, soprattutto mentali che possono porre un freno alla ricerca, alla completa espressione di sè. Mi viene in mente il paragone della pressione, dove come si crea uno squilibrio ed una depressione, il volume a più alta pressione tenderà naturalmente a schiacciare la depressione, il potere può essere quindi qualcosa di simile, non certo male in sè e per sè, poichè indica una possibilita. Ora devo ricollegarlo all'arte ed al canto e sicuramente il collegamento c'è ed è vasto, infatti il potenziale liberatorio di qualcosa certamente si disperde se non ha un comparto "tecnico" in grado di comunicare, anche saper cantare bene o suonare bene da quindi una libertà in più rispetto al non saperlo fare.

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    1. Ovviamente non si può paragonare un regime politico all'esercizio di un'arte, per cui il termine anarchico è stato usato, forse impropriamente, solo per contrapporre una libertà imposta a una libertà conquistata. Peraltro non concordo molto neanche con il tuo concetto di anarchismo, e forse nemmeno del tutto con quanto dici dopo, se ho capito bene. Il problema del canto e quindi della libertà da conquistare non sta nel comparto tecnico che afferisce a un compromesso tra la volontà del fare e l'opposizione che viene contrapposta, ma nell'eliminazione cosciente dell'opposizione.

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    2. Anonimo9:33 PM

      Non ricordavo di aver letto questa risposta. Vediamo quindi, certo se ci atteniamo al vocabolario, pensiamo a caos, disordine, vuoto di potere. Io naturalmente parlo di una libertà che renda conto al prossimo. Come nel caso dell'arte, e qui del canto, magari non ci si arriverà, ma è comunque una stella polare verso cui orientarsi. Nel caso dell'arte si parla di un mezzo, e appunto non può prescindere, tale libertà dalla tecnica necessaria all'utilizzarlo. Un medico non avrà la libertà di guarire un paziente, se non ne è capace, se sarà "anarchico" nel senso di non seguire nessuna regola, non tenendo in considerazione la fisiologia del paziente e non avendone nessuna conoscenza. Serve intuizione, ma anche lo studio delle migliori conoscenze pregresse.
      Per quello un Punk come quello di Sid Vicious dei Sex Pistols, mi ha sempre visto scettico, il fare un punto d'onore del non saper cantare o suonare come fosse un gesto di ribellione.

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  3. Salvo9:28 PM

    ....nell'eliminazione cosciente dell'opposizione e mi permetto di aggiungere nella consapevolezza della nostra innata spiritualità, terreno fertile che ci permette di tollerare, coltivare, capire, conoscere, noi stessi e gli altri e quindi avvicinarci sempre più alla "perfezione", alla nostra essenza, al nostro "terzo occhio"... sono certo che non sono concetti vani, superficiali, vuoti, credo invece nel potenza del nostro "essere", "esistere", nella possibilità del "non volere" ma "potere" crescere, abbellirsi, convivere gaudenti, nello "spaziare" non da soli possibilmente...

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    1. Eh... i messaggi subliminali... Quando mi venne in mente di scrivere il post sul "mestiere", avevo in mente una cosa, che, come capita talvolta, nel corso della scrittura ha preso un'altra direzione; ora tu, pur in altro post, l'hai richiamata. Il mestiere del vero maestro d'arte o del vero artista, è necessariamente un mestiere che unisce, che include, che favorisce la partecipazione e che è sempre rivolta all'altro, per offrire a tutti le possibilità dell'essere uomini, sotterrate nei meandri di una coscienza velata.

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