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giovedì, aprile 02, 2020

La ripetizione

In tutta la Storia della musica, i compositori si sono avvalsi, nelle loro composizioni, di ripetizioni e imitazioni. Sono fondamentali nel processo compositivo, perché chi ascolta ha la possibilità, molto semplice, di riconoscere continuativamente, più o meno coscientemente, gli elementi costitutivi, diciamo i mattoni, della composizione. Non è così facile come può sembrare, perché la ripetizione di per sé annoia, per cui l'autore deve trovare molti escamotage per utilizzarle senza far scemare l'interesse, la continuità. Questi procedimenti fanno parte dell'arte del comporre. Pensiamo alla celeberrima Quinta Sinfonia di L. v. Beethoven, dove il famoso tema "del destino", che conoscono anche i bambini, nel corso del primo movimento viene ripetuto centinaia di volte, eppure credo che nessuno si sia mai annoiato all'ascolto. Ma non solo! Lo stesso tema, con qualche minima variazione si ritrova anche nel secondo e terzo movimento (e, con piccole variazioni, anche da Gustav Mahler nella sua quinta sinfonia). La pratica dell'imitazione, che è una ripetizione ma non sulle stesse note, era già presente anticamente. La "fuga", ad es., è una forma musicale dove un tema viene proposto da diverse voci ad altezze diverse, ma ancor più attinente è il "canone" (pensate a Fra Martino) dove un intero brano viene ripetuto, mentre procede la prima esposizione, dopo un certo tempo da un'altra voce, a volte anche da due o tre... Queste forme, semplici ma non facili da elaborare, sono alla base anche di composizioni molto importanti e complesse. Verdi nell'ultima parte della sua vita scoprì l'importanza delle forme antiche, e le studiò e applicò con molta meticolosità, utilizzandole poi in alcuni suoi lavori importanti: nel Requiem, ad es., ma persino nel Falstaff. Anton Bruckner, uno degli ultimi grandi sinfonisti, era un cultore e grande conoscitore degli stili e delle forme antiche, e le applicò sempre ai suoi lavori, nonostante sia considerato un grande innovatore, per le arditezze della sua scrittura.
Ma veniamo all'opera. Facciamo un esempio di utilizzo di ripetizioni e imitazioni, e come questo ci possa interessare. Prendiamo ad es. la celebre "pira" del Trovatore. L'aria inizia con tre note ripetute (di-quel-la) seguite da una sorta di tremolo (pi-i-i-i-ra), sempre che il cantante sia in grado di farlo; moltissimi lo evitano, senza che questo abbia mai scatenato il doveroso scandalo, anzi... basta che abbia fatto un discreto acuto (magari neanche quello previsto). Il compositore utilizza questo espediente per trasmettere la rabbia, l'indignazione di Manrico per ciò che sta accadendo alla madre. Subito dopo, questa frase viene ripetuta alcune note più in basso (l'or-ren-do--fo-o-o-o-co), non finisce qui, perché c'è una terza ripetizione-initazione, questa volta più in alto (tut-te-le--fi-i-i-i-bre), e poi per chiudere Verdi compie una variazione, non ripetendo banalmente le tre note, ma "trillandole" (m'a-a-a-ar-se_av-) e chiudendo (vam-pò). Quest'ultima frase è quasi speculare, infatti mentre nelle prime tre fa tre note fisse e poi una specie di tremolo, qui inverte, fa prima il tremolo e poi le note ferme (ma che non può tenere uguali perché necessita di risolvere armonicamente). Cosa succede a questo punto? Ci si potrebbe non credere, ma Verdi ripete tutto da capo!! "Empi spegnetela, o ch'io tra poco", modificando solo parzialmente la seconda parte "col sangue vostro" per dare un tono più acceso all'invettiva, e poi nuovamente chiudere "la spegnerò". Quindi abbiamo visto già quante ripetizioni o imitazioni sono state utilizzate. Si può pensare che abbia finito? Niente affatto! Siccome il testo entra in una fase più intimistica, dopo lo sdegno iniziale, "era già figlio, prima d'amarti", Verdi semplicemente utilizza lo stesso tema ma in una modalità "minore" [non posso spiegare tecnicamente cosa significhi, ma basta ascoltarlo per capirlo facilmente] dopodiché, per fare un collegamento con la frase successiva, compie ancora una piccola variazione, cioè utilizza il tema, ma invece di tenere fisse le tre prime note, le muove in una scaletta discendente ("non può frenarmi il tuo martir"), ma mantenendo sempre il tremolo nella seconda parte. Che dite, sarà ora di cambiare? Manco per niente! Con una brusca impennata dell'orchestra ritorniamo da capo! "Madre infelice, corro a salvarti, o teco almeno corro a morir". Nella seconda frase ("o teco almeno") c'è ancora una piccola variazione, la terza nota sale e le note tremolate vengono eseguite più in alto, dopodiché solita chiusura, che però dà il "la" a un movimento cadenzato dove viene ripetuta l'ultima frase, sempre con tono irato, e si introduce l'intervento del coro con le frasi spezzate di Manrico che ripete quasi come un singhiozzo le sue invettive. Non si creda però che tutto sia cambiato: le frasi pronunciate dal tenore, sono sempre le tre note fisse ("madre infelice", "corro a sal-", "corro a mo-"), e il tutto viene ripetuto due volte. Ma mica è finita!!! Secondo la scrittura originale, a questo punto l'intera aria deve essere ripetuta da capo. Per uso non tanto di tradizione, quanto di buon senso musicale, nella seconda esecuzione è corretto che il protagonista esegua qualche variazione, proprio perché il ripetere pedestremente può essere noioso e mortificante, ma le variazioni dovrebbero essere studiate e prodotte con criteri musicali e teatrali; questo succedeva nel 600 da parte dei bravissimi cantori castrati, un po' meno nel 700, quando le variazioni in mano soprattutto alle prime donne, diventavano mere palestre di virtuosismi fini a sé stessi, per cui fu d'obbligo una prima riforma (Gluck) e poi la decisione di Rossini di scriverle lui. Nonostante ciò si è continuato a lungo a modificare anche profondamente gli spartiti con abbellimenti non sempre adeguati. In ogni modo, la piccola variazione che viene fatta nella ripetizione della Pira, è il famoso "do" dell' "o teco", che sempre più spesso è un Si, se non addirittura un Si bemolle. Il fatto che non sia scritto, è una sciocchezza; come ripeto, però occorre precisare: ha senso se l'aria viene ripetuta, se, come spesso avviene, questa cabaletta viene eseguita solo una volta, non ha senso il do, perché non varia niente; in secondo luogo è assurdo che tutto il brano venga abbassato di mezzo tono (o addirittura un tono) per consentire al tenore "corto" di fare una nota non scritta. Si inventi una variazione diversa, se non ha il do! Ecco, quindi vi ho dato un piccolo assaggio di un'analisi musicale per far conoscere a chiunque anche che non sappia nulla di musica, uno degli strumenti del compositore. Ora potete ascoltare altri brani e provate a sentire quanto e dove il compositore utilizza le ripetizioni e le imitazioni,  in quale modo, in che quantità. La musica è scritta per tutti, non solo per i musicisti, e quindi tutti possono comprenderla, ci vuole solo un pochino di interesse e magari un po' di semplici nozioni, però ci vuole qualcuno che le dia, mentre a scuola ste cose non le dicono, manco nei conservatori (che ormai non ci sono praticamente più!). Ho omesso la cosa più importante: come, una volta riconosciute questi elementi, l'esecutore debba utilizzarle, e quindi come l'ascoltatore possa valutare l'esecuzione. Di questo, forse, scriverò in seguito.

Aggiungo a posteriori un piccolo inciso sempre relativo alla "pira"; se il do dell' "o teco" può essere giustificato come variazione, a patto che il brano sia mantenuto in Do maggiore e sia svolto nel da capo, non trova invece alcuna giustificazione il do finale sull' "all'armi", che deve essere mantenuto sul sol. Infatti il finale non si mantiene costantemente sull'accordo di Do maggiore, ma nella prima battuta cambia continuamente da Do a Sol (dominante), e nell'accordo di Sol il do non c'entra, è una dissonanza ingiustificata.

2 commenti:

  1. Anonimo1:14 PM

    Considerando che all'epoca in cui Verdi compose iĺ Trovatore la tradizione del belcanto rossiniano non era ancora del tutto tramontata, è facile intuire come la figurazione del trillo ( ad es. anche in "Stride la vampa") venisse sfruttata in chiave descrittiva, una sorta di madrigalismo come figurazione della "fiamma". Ecco perché a conti fatti ignorare questi particolari che non sono semplici abbellimenti significa tradire lo stile e lo spirito dell'epoca ben più che non omettendo un acuto aggiunto da tradizioni successive. (Francesco N.)

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  2. Esatto, è un madrigalismo, ancora a supporto del fatto che Verdi non ignorava ma anzi conosceva e applicava anche formule del passato che riteneva immortali.

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