Diciamo subito che l'intonazione è il vero problema del canto, ovvero il fermare la voce su un suono determinato. La voce parlata naturale raramente si intona su una nota singola e questo perché causa un considerevole aumento di energie da impiegare. Quindi nel momento in cui si passa dal parlato comune a un suono intonato, o anche il parlato intonato, per i nostri apparati e per l'istinto, nasce un problema, cioè l'intenzione di svolgere un'attività non realmente naturale, cioè compresa nella dotazione vitale, ma che esula da essa e può anche mettere in difficoltà le funzioni vitali, in quanto necessita di un diverso impiego della funzione fondamentale, cioè la respirazione. Questo è un motivo per cui iniziare lo studio del canto con vocalizzi non è una scelta del tutto saggia, ma occorrerebbe per prima cosa lavorare sul parlato semplice, giacché è sempre carente rispetto un suo uso evoluto. Però i problemi non si limitano a questo, che è già piuttosto serio. Nel momento in cui si intona una vocale, che è un'attività straordinariamente difficile, nella sua semplicità, se intesa in senso di una emissione perfetta, e si intende cambiare l'intonazione (diciamo passare a un'altra nota o fare un intervallo), per una pulsione istintiva, si mettono di mezzo i muscoli, specie quelli del faringe, e invece di muovere il fiato e la pronuncia, si tende a muovere i muscoli. Purtroppo l'uso del fiato e della pronuncia è qualcosa che sfiora l'astratto. Poche persone si rendono pienamente conto del fatto che la vocale non ha e non deve avere un attacco fisico, cioè nel momento che si emette una qualunque vocale, il punto di attacco non deve essere in nessun luogo fisico all'interno dell'apparato vocale, ma si trova sulla punta del fiato all'esterno della bocca. Figuriamoci l'errore del Garcia, che consiglia di attaccare la "A" mediante un colpo di glottide! Cioè quello che io definisco un "consonantizzare" una vocale. Ma il problema non si esaurisce nell'attacco, ma riguarda soprattutto i movimenti musicali, cioè gli intervalli, soprattutto discendenti. Nel momento in cui si decide di passare da una nota ad un'altra, si iniziano subito delle "manovre" perlopiù muscolari, ma che possono riguardare anche il fiato e la laringe, oltre che il faringe, nonché la mandibola e probabilmente altre parti, sia ossee che cartilaginee che muscolari. Per questo motivo lo studio del canto è così lungo e laborioso! Staccare la voce da tutti questi lacci e lacciuoli fisici è un'opera certosina, che richiede una pazienza biblica. Potrei arrivare a dire che compiendo un intervallo qualsiasi, e mantenendo la stessa vocale, in realtà non dovrebbe muoversi quasi niente, né fiato, né muscoli, né labbra, né lingua, né faringe, né glottide... perlomeno volontariamente. Ma anche involontariamente dovrebbe restare tutto pressoché immobile (ma non rigido, assolutamente). Compirà un movimento solo la laringe, in particolare le corde vocali, e il fiato dovrà disporsi qualitativamente nella condizione di alimentare quel nuovo suono, il che però non consta in un movimento ma in una diversa densità. Questo potrà portare a micromovimenti dell'apparato sovrastante, lingua, velopendulo, faringe, ampiezza orale, ma talmente piccoli e involontari da non essere quasi colti. Ma purtroppo questo è il risultato atteso, non certo quello che la maggior parte degli allievi, anche di lungo corso, avvertono, perché l'attaccarsi ai muscoli sarà sempre la tentazione più forte e più maledettamente difficile da liberare. Nella formulazione delle vocali, nonostante esse si formino anteriormente alla bocca, necessitano di forme oro-faringee proprie. Queste forme di per sé sono naturali e non creano alcun problema di nessun tipo. Quando parliamo scioltamente si formano, si alternano senza alcuna difficoltà. Però nel momento in cui cantiamo, quindi le emettiamo intonate, nascono delle pulsioni interne che ci portano a compiere delle manovre, sia sui suoni singoli che, e soprattutto, nei movimenti intervallari. La "é" e la "i", in particolare, dove la posizione della lingua è particolarmente alta, induce i cantanti a cercare uno spazio anteriore che non c'è, e di conseguenza a premere sulla "gobba" della lingua, schiacciandola verso il basso, alla ricerca di quello spazio. Questo accade soprattutto quando ci si sposta da una nota all'altra, quando per ribadire e/o /ri)pronunciare una vocale, non lo si fa esternamente, come dovrebbe essere, ma non è facile, ma si dà un accento, una "botta", e la vocale la si pronuncia internamente, mettendo in moto vari muscoli. Mi spiego meglio: se faccio una melodia con una serie di "E", quindi un vocalizzo, esse sono tutte uguali, il cambiamento riguarderà la disposizione delle corde vocali e del fiato che le alimenta, ma non dovrebbe riguardare l'apparato articolatorio, o meglio, non riguarderà movimenti volontari e in modo quasi inavvertito le sensazioni di modifica. L'unica sensazione dovrebbe riguardare il flusso, il transito della corrente aerofona tra la lingua e il palato. Ma appena si materializza nella mente la volontà di cambiare nota, ecco che subentra lo stimolo di premere (questo accade con tutte le vocali, ma le conseguenze sono meno evidenti con la A, è, O ed U). Allora ecco l'esortazione ad alleggerire, a non premere, a non dare accenti e a favorire solo il transito dell'aria come se accarezzasse lingua e palato, senza il minimo stimolo a schiacciare verso il basso (che se anche c'è deve essere neutralizzato, cioè non ascoltato). La questione è lunga, quindi mi fermo qui e la riprendo in altro post.
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