proseguo:
I cantanti odierni, e gli insegnanti, ben istruiti dalle tantissime pubblicazioni esistenti sul canto, con ampia contribuzione di titolati foniatri, godono del fatto che ritengono di poter avere controllo sulla voce mediante movimenti e percezioni legate ai propri apparati fonatori. Questa è una mezza verità. E' vero che operando sugli apparati si interviene sul risultato, ma danneggiandolo, in quanto viene a mancare il requisito essenziale e fondamentale di un'espressione artistica: la libertà! Perché i maestri del 6-700 ottenevano cantanti sublimi? perché non facevano cercare un dominio e un controllo fisico della voce (che poi realmente non esiste, perché l'unico controllo possibile sarebbe attraverso il fiato, cosa del tutto inarrivabile, per fortuna), ma, partendo dal normale parlato, ne suscitavano lo sviluppo (evoluzione) il cui controllo era tutt'al più mentale, ma potremmo addirittura dire pre-mentale, spontaneo, quindi libero. Posso dire, per esperienza personale, che quando la voce si libra senza più ostacoli, è come trovarsi nel vuoto, all'inizio si prova una vera paura, proprio di perdere ogni controllo e che quindi la voce possa stonare, steccare, imbruttirsi, ecc., poi, lentamente, subentra quella meravigliosa sensazione e coscienza che non c'è nulla da controllare, che è come fosse già tutto deciso prima, la voce segue il piano prestabilito. In ogni modo, tornando con i piedi per terra... veniamo a un argomento di cui mi sono già occupato nei post precedenti. La questione della posizione delle vocali. Immaginare che la I o la E siano vocali "anteriori" e la O e la U vocali "posteriori", è sempre un cercare di averne un dominio percettivo e un controllo fisico. Non si accetta che la pronuncia, quindi la voce, sia esterna, perché questo toglie la possibilità del dominio fisico, che poi è la vera meraviglia dell'arte, cioè lo svincolamento dal corpo e la completa libertà, senza la quale nessuna arte può dirsi tale. Nacque però un problema, un bel problema. Siccome la pronuncia interna è una pronuncia incompleta, limitata, ci si è resi conto che il passaggio da una vocale all'altra provocava dei cambiamenti di colore improvvisi troppo accentuati, inoltre le vocali stesse risultavano piuttosto aspre, crude, non troppo gradevoli. Da qui la genialata! Amalgamiamole! cioè troviamo un "comune denominatore"! Non diciamo più le vocali vere e pure, ma assimiliamole tutte a una sola più comoda e che possa assommarle tutte, come una O o una U. E, di fatto, distruggiamole tutte. Come si può lontanamente pensare che una parola come "amore" possa essere "omoro". Eppure succede, e la gente applaude tantissimo. Io scrivo e approfondisco questi temi perché ne sento il dovere e per i pochissimi che non solo leggono, ma quelle unità, forse inesistenti, che potrebbero anche sfruttare questi pensieri. Ma, forse, è meglio leggere e mettere da parte, perché non so nel panorama attuale quanto possa giovare andare controcorrente.
Grazie Fabio di questi post, intervento dopo intervento sto andando a fondo della verità che implica significati più profondi rispetto all'obiettivo che io, ma anche tutti, mi ponevo all'inizio, cioè semplicemente cantare bene. Mi riservo di postare un commento più approfondito, non appena la mia coscienza troverà le parole giusta, ma per il momento vorrei dire che la lotta è epocale, ed è una lotta tra scienza e coscienza, tra fisica e metafisica, tra sapidità e sapienza, tra saper fare e saper essere, tra pluralità e unità, tra corpo e anima...perdonate il manicheismo, in realtà tutte le realtà vanno integrate, ma l'illusione del risultato nella nostra società sta ingannando la nostra coscienza: non è una diatriba tra il risultato e i mezzi, ma la coscienza che i mezzi fanno parte del risultato.
RispondiEliminaGrazie Fulvio, apprezzo molto questi tuoi interventi, e aspetto anche ulteriori approfondimenti che segnano sicuramente i tuoi passi avanti verso un obiettivo molto ambizioso ma concreto.
EliminaAmore omoro, e la gente applaude. Ebbene sì, ma la gente applaude anche di peggio. Ci sono concerti in cui il tempo di esecuzione troppo rapido, in relazione all'acustica ad esempio di una chiesa molto ridondante, impedisce di distinguere alcunché. Concerti con coro che canta con la mascherina, e l'orchestra che lo copre completamente. Concerti smaccatamente amplificati, con microfoni e riporti che creano riverberi antimusicali e sfalsano ogni equilibrio nei volumi. Gli addetti ai lavori neanche si pongono il problema ed il pubblico applaude roba che non è neanche suono, ma rumore disordinato, nebbia sonora, brodo primordiale. Queste cose sono all'ordine del giorno, anzi direi che è la norma. Si applaude perché fa parte del rito, non per altro. I concerti sono un dialogo tra sordo muti. E poi c'è l'elefante nella stanza che si vuol fingere di ignorare. Si fa un bel parlare di naturalezza, di sincerità, spontaneità, purezza delle vocali, pronuncia bronzea, attoriale, vera o "verista" nel senso migliore del termine. Ma nel barocco cantano i sedicenti controtenori. Nei conservatori costoro insegnano, ed allievi controtenori ivi si laureano. Nell'epoca cosiddetta barocca c'erano i castrati, per i quali il registro di soprano o di contralto era naturale. Oggi a teatro si sono imposti i sedicenti controtenori, con i loro strilli stonati, le vocale schiacciate, con le loro boccacce. Quale sincerità, quale naturalezza, quale varietà di colori, di accenti, di sentimenti e caratteri, può mai esprimere una organizzazione vocale così costretta, falsa, forzata, artefatta, innaturale? Caricature, a cui tutti ormai sono assuefatti, e nessuno che si renda conto di quanto sono ridicoli e orrendi. Il re è nudo, ma non si può dire.
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