Su suggerimento di un allievo-amico, posto questa riflessione. Il flauto dolce (tanto odiato da molti presunti didatti o esperti di musica), che si utilizza frequentemente nell'insegnamento della musica nelle scuole, sia primarie che medie, ha una caratteristica piuttosto interessante: se spingete il fiato non riuscirete mai a fare le note basse, e le note acute diventano fischianti e stonate. Questo è un ottimo viatico anche per il canto. Se considerate che in fondo la laringe è un po' come il bocchino del flauto dolce, ogni spinta, a volte anche minima, crea difficoltà e difetti di emissione. Proprio come in quello strumento, premendo più del lecito, le note basse possono non venire, o comunque molto difettose, e ugualmente le note acute rischiano la "stecca", la stonatura e altri difetti. Occorre saper dosare. La differenza tra i due strumenti sta nel fatto che nel corpo umano la glottide costituisce una "valvola" vera e propria, cioè tende a chiudersi quando la pressione è eccessiva, però grazie all'elasticità ha un ampio margine di possibilità, mentre nel flauto, essendo un bocchino rigido, non può modificarsi, quindi il suono viene,,, o non viene. Ecco perché l'insegnamento basato sulla parola "parlata" è così importante, il fatto di cantare, di fare suoni lunghi e di accedere in tempi brevi agli acuti, crea la tentazione di spingere. Parlare significa usare la voce "normale", senza gridare, senza spingere, ma badare solo a ciò che si dice. L'intonazione vien da sé, è un fatto che diventa inconscio. Invece si dà un'enorme importanza alle note, che non sono "la musica". La musica è dentro le parole, però bisogna avere l'umiltà di percepirla, riconoscerla e... lasciarla manifestare.
Già che ci sono faccio una riflessione sul flauto dolce. Era uno degli strumenti tipici del Rinascimento, utilizzato poi ancora per diverso tempo, almeno fino all'epoca barocca, poi sostituito gradualmente dal flauto traverso in metallo (che peraltro già esisteva in legno), più sonoro e con maggiori possibilità. Esiste tutta una famiglia di flauti dolci, dal sopranino al basso. E' da considerarsi uno strumento a tutti gli effetti, anche di alta statura espressiva. Certamente per l'utilizzo che se ne fa a livello scolastico, questi strumenti vengono costruiti in plastica, dal costo di pochi euro. Questo fa sì che il suono sia alquanto mediocre, e molti modelli siano pure stonati, il che è molto male. Peraltro non condivido affatto gli strali che vengono lanciati da molti musicisti (a suo tempo già Gazzelloni). La musica si può fare prima di tutto col canto, ma il flauto dolce può andare benissimo, se si sa cosa insegnare, senza bisogno di spendere molti denari (basta che l'insegnante indichi una marca di buon livello, che siano perlomeno intonati).
Aulos e yamaha sono intonatissimi. Il flauto di plastica ha un suono freddo ma risolve gli invalicabili problemi di intonazione del flauto di legno: tanto per cominciare ha bisogno di un rodaggio, ma anche se trattato bene, asciugato con cura e tenuto lontano dall'umidità, si presentano comunque problemi perché l'intonazione varia quando si scalda. Anche in qualche post precedente ho scritto della mia esperienza da insegnante e con il flauto ho sentito cose davvero eccellenti dai bambini (anche con i pessimi flautini Himalaya, ormai spariti dalla circolazione), sono contrario ad usare SOLO quello, ma sicuramente se insegnato adeguatamente, può essere uno strumento utilissimo; la cosa più importante è che l'insegnante sia in grado di suonarlo a buoni livelli, ho sentito di insegnanti che, al posto del flauto, mostravano le posizioni con la matita. Nella scuola ci si dà un gran da fare nel criticare gli strumenti a disposizione, ma come sempre la qualità dell'insegnamento non sono gli strumenti, ma le persone: siamo noi insegnanti che possiamo fare la differenza.
RispondiEliminaRiguardo all'analogia con la voce, trovo interessante il fatto che alla minima forzatura il flauto fischi, specialmente nelle note basse, nel clarinetto questo problema esiste meno, per la forma del tubo a campana che rinforza il registro basso. Nel canto hai parlato recentemente della campana formata dal cavo orale: significa che dovremmo aprire più la bocca quando scendiamo? Eppure è soprattutto sugli acuti che sentiamo il bisogno di allungare la mandibola... ad ogni modo nel canto, il flusso del fiato dovrebbe essere costantemente lasciato libero di scorrere, Il problema subentra soprattutto nel passaggio. Hai parlato spesso della corda che sotto la perfetta emissione di un fiato educato diventa unica, ma io mi trovo spesso a dover dare più fiato quando passo dal falsetto al petto. Che esercizi mi consiglieresti per ovviare a questo problema? O potresti indicarmi i post specifici riguardo questa difficoltà?
RispondiEliminaDomanda molto complessa! Che nelle note basse talvolta si debba aprire maggiormente la bocca è vero, perché le corde diventano più spesse e necessitano di più fiato. Sulla questione corda unica e passaggi, preferisco non rispondere qui perché è rischioso. Ti invito a leggere tutto ciò che c'è sull'argomento, però non cercare dei risultati perché potresti forzare e creare problemi. Ma ricorda che la chiave di tutto è sempre la pronuncia! Parlare!
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