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lunedì, agosto 06, 2007

L'appoggio del suono

In altro post approfondiremo meglio il termine "sostegno", in quanto su di esso circolano le interpretazioni più improbabili. Nella realtà delle cose si presentano almeno 3 situazioni: 1) appoggio sul "fisico"; 2) appoggio sul fiato; 3) appoggio misto fiato-fisico. Devo subito spiegare cosa intendo con "fisico". Mi riferisco NON al diaframma o ai muscoli respiratori toracici, bensì alla zona glottica. Faccio subito un'affermazione forte e probabilmente antipatica, dicendo che la situazione 2, cioè appoggio unicamente sul fiato, è una condizione rarissima, oggi al limite dell'inesistente. L'ascolto discografico o teatrale mi riporta un solo nome di cantante che riuscì durante tutta la carriera, esclusi pochissimi momenti, a cantare perennemente sul fiato, e cioè Tito Schipa. E' vero che fu in questo aiutato dalla sorte, non avendo una voce particolarmente voluminosa e "pesante", però ciò non significa granché, visto che miriade di cantanti altrettanto "leggeri" non sono riusciti neanche ad avvicinarsi a questo sommo cantante, e parlo anche di tenori che tentarono di imitarlo, come Cesare Valletti e Ferruccio Tagliavini. Altri cantanti che giunsero a risultati di grandissimo rilievo, con momenti in cui raggiunsero risultati eccellenti, rispetto all'argomento che sto trattanto, furono Alfredo Kraus, Ezio Pinza, Beniamino Gigli, Italo Tajo, Mario Petri, Maria Callas, Dietrich Fischer Dieskau, Franco Corelli, Giuseppe De Luca, Mariano Stabile e altri ancora. La stragrande maggioranza dei cantanti si ritrova nella situazione 3, cioè con un misto di appoggio sul fiato e una percentuale variabile di appoggio sul fisico. Naturalmente più l'appoggio è fisico più il suono diventa difficile da "manovrare", poco flessibile, molto "materiale" e quindi alla lunga monotono, meno espandibile nello spazio circostante; un suono che in una parola possiamo definire "duro". Naturalmente la cosa si spiega: pensate se doveste sollevare un oggetto con la forza dell'aria: ci vorrebbe un getto molto potente e costante affinché il risultato fosse proponibile. Il suono vocale, specie nel canto lirico, ha un "peso" che non è per nulla indifferente, quindi far sì che rimanga "sospeso" nel vuoto per un lungo tempo (la frase musicale) sempre con la medesima qualità e con le variabili musicali ad esso relative (altezza, colore, dinamica...), è una impresa non da poco. Un appoggio anche minimo del suono in gola, senza modificare eccessivamente il timbro e la qualità, permette di sostenere un canto impegnativo con molto minor fatica e con un tempo di studio decisamente inferiore, quindi si può comprendere che la maggior parte dei cantanti ricorra, consapevolmente o meno, a questo artificio. Naturalmente ciò che non è accettabile è il suono prettamente fisico, cioè ingolato o "attaccato", come diciamo nella mia scuola. La differenza tra un suono appoggiato sul fiato e uno anche minimamente ingolato, è equiparabile a "spirito" o "energia" e "materia".
Tutto ciò che c'è da fare è rendere il fiato ogni giorno più "forte", più abile ad alimentare suoni sempre più acuti, sempre più potenti. Oppure scegliere la scorciatoia. La quotidianità si fa con la tecnica, quindi con suoni buoni, messi "meglio possibile"; la Storia si fa con l'Arte, con suoni perfetti, sostenuti in modo infallibile dal fiato/diaframma.

consonanti e vocali

Potrei iniziare questo post, a continuazione dell'argomento, con una domanda (tanto per cambiare!): si può attaccare una vocale come fosse una consonante? Una gran parte di consonanti, come abbiamo visto, è un momento di occlusione e successiva liberazione di aria/suono. Possiamo individuare, quindi, un punto preciso di produzione della consonante, e anche facilmente. La vocale, al contrario, lascia imbarazzati molti studenti di canto, perché non ha, o sembra non avere, un punto preciso in cui il suono nasca. Oh, qualcuno già borbotterà! Eh si, perché tutti sanno dove nasce il suono: dalle corde vocali. E' così, però possiamo fare alcune osservazioni: 1) la rapidità con cui l'aria proietta il suono verso l'apertura ci può dare la sensazione che il suono nasca dove avvertiamo la tensione, in una "B" sulle labbra, ad es.; 2) lo spazio che occupa l'aria nel nostro interno. Quest'ultima frase lascerà un po' meravigliati. Che significa? Se io, in totale riposo e sovrappensiero, emetto un soffio d'aria, facilmente inspirerò, quindi farò risalire aria dai polmoni e la espirerò. Ma è possibile fare in modo che una certa quantità d'aria "ristagni" anche nelle vie superiori, cioè nel faringe e in bocca? E' possibile, è facile provare; con un po' di attenzione, si può fare in modo che una certa quantità d'aria sia sempre presente in bocca, e quindi se si vuole soffiare, basta schiudere un poco le labbra e buttar fuori quella che si trova in bocca. Questo è un vero esercizio che consiglio di fare, perché può dare una sensazione del tutto nuova e gradevole dei nostri meccanismi; facendo questo esercizio (e non è difficile), avrete una sensazione di apertura glottica e faringea, che è la stessa a cui possiamo mirare anche nel migliore canto. Ora, se è possibile che una certa quantità d'aria rimanga nello spazio sopraglottico, sarà possibile fare analogamente col suono(?) - ovviamente io dico di sì..! - Del resto non è pensabile che per ogni nota che si forma essa venga poi proiettata: il tempo di emissione sarebbe lunghissimo (e in effetti alcuni mediocri cantanti sono perpetuamente in ritardo nell'emissione), quindi la vibrazione dell'aria si ripercuote sull'aria già presente superiormente. Naturalmente esiste una differenza sostanziale tra l'aria "pura" e l'aria sonora, perché questa, a corde addotte, ha una pressione che si esercita, di norma, sulle corde stesse (pressione sottoglottica). Questo porta alla produzione del cosiddetto colpo di glottide e quindi a una emissione piuttosto violenta e che parte dalle corde stesse; come si può, quindi, fare in modo che il suono sia già "avanti", cioè nasca sulle labbra, e "galleggiante", cioè già "alto", morbido? Questo è un obettivo piuttosto ambizioso, ma che si può esercitare e comprendere fin da subito. In effetti ne avevo già accennato in qualche post precedente: creando un polo "alternativo" alle corde, cioè il palato duro "alveolare" o le labbra stesse, dove concentrare il punto di proiezione del fiato/suono. Se dico "bo", la "o" avrà buone probabilità che suoni già in posizione avanzata; se poi, come nel fiato "in bocca", io mi pongo con l'intenzione di avere anche l'aria-suono già in bocca, avrò buone probabilità di emettere un suono morbido e alto. Parlo di probabilità perché qui sto scrivendo, e per poter esercitare determinate posture vocali, occorre la constatazione diretta e la correzione immediata; inoltre ci sono una serie di pre-requisiti indispensbili: mancanza di difetti precostituiti, tipo ingolamento, e buona tonicità diaframmatica.

Dove suona la voce

Dove suona la voce? Quello che secondo me è uno dei problemi più insistenti dell'insegnamento del canto riguarda proprio questo aspetto. Quasi tutte le scuole, nell'impostazione del suono, fanno riferimento quasi continuamente a zone e sensazioni interne alla testa; dalla bocca al naso, agli zigomi, alla cosiddetta maschera, alla nuca, alla cupola del cranio, al faringe... e così via. Raramente ci si riferisce al "fuori" e a come la voce esce. Non esiste alternativa: la voce, perché sia una buona voce, ben articolata, sonora e senza "colori cangianti", non può che uscire dalla bocca. Così si può arrivare alla perfezione dell'emissione, esiste il modo di educarla in modo che si possano raggiungere tutte le proprietà più importanti della voce: potenza, intensità, timbro, espressione, altezza... Da qui ne deriva la seconda affermazione: non è possibile che la voce suoni nel faringe, nella cupola palatina, nel naso... per non parlare di luoghi a dir poco improbabili, come la nuca o il collo o la cupola cranica. La voce esplica la propria funzione FUORI di noi (avanti), quindi deve essere proiettata all'esterno del nostro corpo, che è, poi, ciò che la gente ci chiede! se noi ce la teniamo dentro, chi la sente?? solo noi!!!

Consonanti

Battiamo il ferro finchè è caldo, se no, come succede spesso, si dice che si fa, e poi non si fa. Le consonanti hanno un ampio spettro di classificazioni, molto interessanti. Cominciamo con l'enumerare e il descrivere qualche elemento anatomico, che ci serve per comprendere meglio la classificazione. Non è il caso di soffermarsi su: denti, labbra, palato duro, velopendulo o palato molle, lingua. Sarà invece bene dire che: la zona del palato duro posteriore agli incisivi superiori si chiama "alveolare"; la zona anteriore della lingua si chiama "apice", quello centrale "dorso", quella compresa tra dorso e apici "predorso", la parte posteriore "base" o "radice". Le consontanti si classificano in base al luogo dell'articolazione, al tipo di articolazione, all'impressione uditiva e all'organo di articolazione.
LUOGO DI ARTICOLAZIONE: Extrabuccali Labiali (P, B, M); Extrabuccali dentali (F, V); Intrabuccali: alveolo-dentali (T, D, N); alveolari (Z, S, R, L); post-alveolari (Ci, Gi, Sc, J); Palatali (Gn); velari (K, gh), laringee (H).
TIPO DI ARTICOLAZIONE: Occlusive orali (P, B, T, D, K, Gh); occlusive nasali (M, N, Gn); Semiocclusive o semicostrittive (Z, Ci, Gi); Costrittive mediane (F, V, S, Sc, J); costrttive mediane con vibrazione (R), Costrittive laterali (L, Gl).
ORGANO DI ARTICOLAZIONE: Labiali ( P, B, M, F, V); linguali: apicali (T, D, N); predorsali (S, Z); apicali (Ci, Gi, Sc, J); dorsali (Gn, K, G, R moscia). Cordali: H.
IMPRESSIONE UDITIVA: esplosive istantanee: afone (P, T, K); sonore (B, D, Gh, M, N, Gn); Affricate semiprolungate: afone (Z, Ci), sonore (Z, Gi); Prolungabili o continue: Fricative o spiranti afone (F, S, Sc, H); liquide vibranti sonore (R); liquide sonore (L, Gl).

Non è un quadro molto semplice; spero sia abbastanza chiaro; i termini credo siano tutti facilmente comprensibili (fricativo significa che fa resistenza). Ritengo che fare delle prove di pronuncia delle varie consonanti per focalizzare dove si formano, con quale meccanismo, sia una autoistruzione utile.

Consonanti e vocali

Pur avendone trattato indirettamente e a lungo anche in questo topic, ritengo che sia bene fare alcune osservazioni e puntualizzazioni in merito.
Il motivo di questa puntualizzazione risiede nel fatto che la stragrande maggioranza delle scuole di canto esercita al canto mediante "vocalizzi", cioè esercizi interamente costituiti da una o più vocali; alcune scuole alternano vocalizzi ad altri tipi di allenamenti basati su frasi, altre ancora, come la mia, iniziano con esercizi basati su frasi per passare lentamente ai vocalizzi, senza mai abbandonare del tutto l'altro tipo. I motivi sostanzialmente li ho individuati nei primi post di questo topic a cui invito alla lettura chi non l'avesse ancora fatto.
Tra vocali e consonanti ci sono, evidentemente, enormi differenze; la vocale è un suono che, una volta formatosi attraverso la vibrazione delle corde vocali, subisce una trasformazione dovuta alla diversa postura delle pareti interne del faringe e della bocca. Le consonanti si dividono in due tipi: quelle "sonore" e quelle "mute".
La consonante, in qualunque caso, è originata dal contrasto tra parti dell'apparato oro-faringeo (quindi: labbra, lingua-palato, lingua-velo palatino; pareti faringee); a seconda se il contrasto impedisce o meno il passaggio dell'aria (e quindi suono), abbiamo consonanti sonore o sorde
Quelle sonore sono la R, la L, M, N, S, V, Z (con alcune differenze tra di loro facilmente constatabili), le altre sono mute o possono essere semisonore, a seconda se nel momento del contrasto avviene o meno un'emissione sonora come la c, ad esempio, mentre la T si esplicita solo nel momento in cui viene legata ad una vocale o consonante sonora. Ma queste sono curiosità. Poniamoci una prima domanda: perché si usa così tanto il vocalizzo per l'esercizio e l'impostazione della voce? Non so se esistano delle motivazioni largamente diffuse e condivise, credo che in ogni scuola si diano spiegazioni diverse, ammesso che le si diano! Ma proviamo a studiarne qualcuna: le diverse consonanti si originano in posti diversi, alcune sulle labbra, altre nella parte posteriore della bocca, altre ancora in gola. Questo "sposta" il punto di partenza del suono; cantando, quindi, frasi articolate, si avrà per il dilettante un suono "peregrinante" all'interno della cavità oro-faringea, difficile da gestire. La vocale invece è una emissione d'aria sonora che non dovrebbe (sottolineo il condizionale) incontrare ostacoli. Ma a questo punto devo porre un'altra domanda: senza un punto fisico di contrasto, dove si origina la vocale? E, altra domanda: le vocali si originano sempre, tutte, nello stesso punto, o questo punto cambia a seconda dell'altezza, della vocale stessa, del colore...? Questa volta non vorrei mettermi a disquisire in prima persona sull'argomento, ma mi piacerebbe avere un po' di osservazioni, pareri, ecc. sia di chi è già approfondito in materia, ma anche di chi è "novizio", perché riflettere su queste tematiche non farà che sviluppare la presa di coscienza del proprio operato.

domenica, aprile 29, 2007

educare il fiato

Cos'è l'educazione del fiato? Quando, moltissimi anni fa, di ritorno dalla mia prima lezione col mio ultimo e straordinario maestro, leggevo alcuni appunti che mi aveva consegnato, sorvolai alcuni paragrafi in cui si parlava del fiato come educazione imprescindibile per raggiungere l'apoteosi del canto. In quel momento non avevo ancora capito quanto era straordinario quel maestro, avevo trascorso un periodo di delusioni e non volevo ammettere che quello fosse più bravo di altri. Avevo letto tanti libri e sentito tanti insegnanti, letto e ascoltato interviste, recensioni, critiche, ecc. ecc. e tutti, prima o poi, parlavano del fiato. Bella forza, senza fiato non si canta!! Ma quando si parlava di fiato notavo ovvietà, contraddizioni, parzialità. Del resto lo stesso potrei dire di molti termini e sensazioni. Quanti sono ancora oggi i cantanti che ritengono che il diaframma sia una parte della parete addominale? Ne ho sentiti a decine dire: tira fuori il diaframma, e buttano fuori la pancia! Non parliamo poi dell'appoggio!! Quando approdai dal mio ultimo insegnante non avevo la più pallida idea di cosa fosse l'appoggio. Avevo solo la sensazione che di quando in quando io quell'appoggio lo perdevo e la voce mi si azzerava quasi, ma non avevo, di contro, alcuna idea di come riconquistarlo (e già cantavo nel coro di un ente lirico!!!). I molti miei colleghi coetanei, che studiavano con vari maestri, anche celeberrimi, mi davano molte informazioni dirette e indirette sulle loro scuole, e i colleghi più anziani davano i loro pareri, considerando che diversi di loro insegnavano e/o erano stati solisti di una certa notorietà, e alcuni di loro ancora cantavano nella piccola provincia. Ma, ripeto, nessuna luce si aprì nella mia mente. Fu dopo poche lezioni e la lettura di alcune pagine di appunti che afferrai che il fiato non è solo "prendere il fiato", "buttar fuori" o "tirar dentro" la pancia, "inspirare" ed "espirare". Partiamo dal termine primo: se dico "educare" il fiato, cosa sto dicendo? Vi dò un'altra immagine della mia esperienza, sperando di aggiungere materiale utile alla elaborazione mentale di chi legge queste righe (credo ormai pochissimi...:-( ). Un giorno stavo guardando una trasmissione con alcuni jazzisti. A un certo punto vidi un saxofonista, che veniva presentato come un dio, sicuramente lo era, non chiedetemi chi fosse!, il quale appoggiò il bocchino sulle labbra e fece delle note celestiali. Sentii alcune cose che diceva, che ritenevo interessantissime, ma cosa mi colpiva era che quell'uomo sembrava non soffiasse!! bastava che appoggiasse l'ancia alle labbra, quasi non l'imboccava nemmeno, e lo strumento suonava! nella mia mente si aprì immediatamente un parallelo legato al canto, al "mio canto", cioè alla mia scuola, e il collegamento fu immediato. Quel grande saxofonista aveva educato il suo fiato sicché ne bastava una quantità minima, che era immediatamente sulle sue labbra con l'energia indispensabile a emettere il suono che egli aveva in mente. Nel canto di cui sto disquisendo, la faccenda è esattamente la stessa: una volta educato, il fiato non è una massa d'aria che sta entro di noi, ma è un'energia a mia disposizione. Quindi la mia sensazione non è quella di un procedimento da cui scaturisce il suono, una specie di "lotta" tra apparati muscolo-cartilaginei, dove il fiato avanza con difficoltà e necessaria forza. Il mio suono "è" sulle labbra, già bello e formato con il colore voluto, il volume e tutte le caratteristiche volute e necessarie. E questo, lo ribadisco ancora una volta, non parte da una condizione naturale, da una dote, ma è frutto di un lungo e impegnativo studio, disciplina, che ha reso naturale ciò che così non era, a sottolineare che ognuno può sempre sperare di raggiungere risultati elevati anche se non è un fulmine di guerra a 16 anni! Ma ora devo spiegare meglio in cosa consiste l'educazione del fiato.....

lunedì, febbraio 05, 2007

registri 2

Parlare di fusione, ovvero di soppressione dei registri, è bello, ma è un obiettivo a lungo termine. Vediamo invece i problemi impellenti, le cause e i possibili sistemi per superarli. Molte donne quando iniziano le prime lezioni di canto non posseggono il registro di falsetto/testa. Se intraprendono la strada della lirica è più che logico che debbano sviluppare questo registro, a qualunque classe appartengano (sopr, mezzo o contralto), ma sostengo che anche nel caso siano interessati ad altri generi, come la canzone, il jazz, il rock, ecc., si debba dedicare un po' di tempo alla cura di questo registro, e lo stesso discorso vale per i soprani, dove molte scuole ritengono di tenere "in disparte" il registro di petto. Quest'ultimo caso lo ritengo più serio, più grave, perché omettere la cura e lo sviluppo del registro base della voce può portare a un impoverimento, prima, e a una usura, successivamente, della voce; in ogni caso non curare un registro significa squilibrare la voce e non educare efficacemente il fiato. Nei due registri, infatti, il fiato lavora in modo alquanto diverso. Il registro di petto, in corda spessa, richiede una energia abbastanza limitata, perlomeno nel range della voce parlata, mentre la corda tesa, quindi il falsetto-testa, richiede una maggiore energia e un maggiore appoggio. Molte donne, specie se di voce piccola, tendono a non passare in falsetto-testa, e anche quando alleggeriscono molto e calano di volume, restano sulla corda spessa. Richiede qualche lezione, e molta attenzione dell'insegnante, il provocare il passaggio sulla corda tesa. Per favorire il passaggio in corda sottile è utile l'uso della vocale "U" molto piano (labbra atteggiate a fischio), con cui percorrere la gamma da fa3 a do4, sia sulle singole note, sia per note legate che, ottimo, per note staccate. Per gli uomini la cosa può essere più complessa, perché il passaggio avviene nella zona acuta, dove la voce ha già acquisito notevole spessore, volume. Può capitare, e capita assai sovente, che anche gli uomini non passino naturalmente al registro superiore ma tendano a proseguire di petto. Il petto, se non sostenuto da adeguato sostegno fiato/appoggio, appena superata la nota perno per il passaggio, e talvolta anche prima, se la voce è ancora molto immatura, risulta "aperta", cioè dà una cattiva impressione di fissità, sguaiatezza, sbiancamento. Col tempo si potrà migliorare la qualità anche di questo settore, ma per ora occupiamoci del passaggio. Poniamo di essere con un tenore "classico", e che quindi il passaggio avvenga sul fa3. Come dicevo dianzi, può essere che già il mi o addirittura il mib3 suoni brutto, difficoltoso. In questo caso può essere necessario, per poche lezioni, anticipare il passaggio, ma non è detto che questo avvenga. Il passaggio, infatti, ricordiamo che avviene su una meccanica di corda tesa, quindi più impegnativa da sostenere, e quando si va ad oscurare il suono per ottenere il passaggio (ad es. il vocalizzo do3-re3-mi3-re-do; con una "O", i suoni sarebbero O-O-U-U-U, dove con "U" non intendiamo necessariamente un vera U, che potrebbe risultare troppo scura e "affondata", ma una "O" oscurata), il diaframma può facilmente ribellarsi a questa ulteriore richiesta di impegno, quindi sollevarsi di colpo e impedire una emissione accettabile o addirittura impedirla del tutto. La prima strada da praticare, quindi, è quella di anticipare il passaggio di uno o due semitoni; se si fallisce, indice che il diaframma ha una forza di ribellione istintiva molto accentuata, è necessario ricorrere a esercizi di varia natura, ma principalmente di forza che inducano questo muscolo a moderare la propria reazione. Si può ricorrere ad esempio a esercizi che contengano consonanti di forte stimolo all'appoggio, come ad es. "tro-tro-tro" e/o "bro-bro-bro", senza sostare sulla vocale e senza tentare il passaggio, quindi da fare fino al mi ed eventualmente aggredendo il fa ancora di petto. Con alcune sedute di esercizi di questo tipo e altro di cui discorreremo, si può pensare in tempi rapidi di recuperare il punto di passaggio al registro acuto.

registri

I registri. Il problema dei registri si porrà non immediatamente per le voci maschili, mentre risulterà piuttosto impellente in quelle femminili. Si intende con registro una serie di suoni omogenei prodotti con una medesima meccanica vocale. Noi riteniamo che i veri registri della voce siano due, che definiamo: registro di voce parlata e registro di voce gridata. Corrispondono, nella vecchia accezione, al registro di petto e al registo di falsetto/testa. Quest'ultimo viene definito con un doppio nome in quanto è costituito da una prima gamma (detto falsetto) e da una seconda gamma (detto testa) che si susseguono senza sovrapporsi. I registri veri di petto e falsetto, al contrario, si sovrappongono. Cosa significa? che per una certa parte della gamma vocale si possono eseguire le medesime note in uno o nell'altro registro. Come due corde della chitarra o del violino, posseggono note proprie, uniche, e note che appartengono anche alla corda sovrastante o sottostante. La ricchezza di questa possibilità consiste nel poter dare alle stesse note un diverso "carattere" e un diverso colore. I registri non sono di per sè una particolarità dello strumento vocale, ma rappresentano, invece, una "atrofizzazione" di questo, che la scuola di canto dovrà restituire all'arte. Per essere più chiari: nella voce umana, per esigenze esistenziali, non occorre uno strumento interamente formato, ma sono sufficienti due tratti: uno che ci consenta di parlare, per relazionarsi, e uno per urlare in caso di difesa o di offesa. Questi due tratti rimangono, così, separati, e tra i due si crea una frattura. Naturalmente questa diversità e questa divisione tra i due registri non è egualmente evidente e marcata nello stesso modo in tutte le persone. Alcune (rare) addirittura posseggono il dono preziosissimo di riuscire a cantare tutte le note della propria gamma senza alcuna particolare diversità di timbro, colore. Ad es. il giovanissimo Giuseppe Di Stefano, nei primi dischi che incise col nome di Nino Florio, aveva una voce pressoché identica in tutta l'estensione. Ma il più delle volte questo squilibrio c'è ed è evidente e difficile da "ricucire". Il percorso tecnico della maggior parte delle scuole di canto ha come obiettivo quello di passare dal registro di petto a quello di falsetto-testa nel modo più corretto possibile. Alcune scuole definiscono "fusione" questo passaggio, ed è una accezione condivisibile, perché 'fondere' rende l'idea di una mancanza di discontinuità tra due elementi. Il nostro obiettivo è ancora più avanzato, e consiste nell'eliminare ogni frattura tra le due gamme, e ricreare una sorta di corda unica, o registro unico, dalle note più basse alle più acute senza alcun scalino o "tecnica" che in modo evidente risolva il problema. In altri termini lo scopo è creare uno strumento musicale laddove esiste un sistema fisiologico respiratorio. Quando quest'atto è compiuto avremo finalmente le "Corde vocali" dove l'anatomia ci dice esistere le "labbra della glottide". Tutto ciò, si badi bene, è un compito che dovrà risolvere sommamente l'educazione del fiato, perché è lui che di fatto non è in condizioni di alimentare uno strumento vocale, avendo nel proprio DNA la respirazione fisiologica. Noi dobbiamo, e possiamo, mutare questo suo atteggiamento, a patto di avere una fortissima volontà e condizioni esistenziali adeguate al raggiungimento di questo obiettivo, cioè un desiderio di ricerca, la convinzione che quell'obiettivo è raggiungibile, possibilmente un bagaglio vocale perlomeno discreto, un maestro che sappia condurci a quell'obiettivo oppure una così forte esigenza di raggiungimento di un traguardo artistico tale da mettere in moto capacità di analisi e rielaborazione mentale così da poter raggiungere autonomamente quel traguardo. ... segue ...

vocalizzi

Il vocalizzo. La stragrande maggioranza delle scuole di canto, quasi il 100%, èduca la voce pressoché esclusivamente con vocalizzi, cioè con esercizi eseguiti con sole vocali. Ho già spiegato che l'educazione della voce, almeno nei primi tempi, e quasi sempre all'inizio di una lezione o di una giornata di lavoro vocale, si sviluppa preferibilmente con il parlato, che costituisce una sorta di passaporto alla reazione dell'istinto. Il vocalizzo risulta più difficile in quanto il peso del suono è subito notevole, e l'istinto, non percependo alcuna esigenza nell'emissione di un suono, avrà maggiore stimolo reattivo. Comunque dopo poche lezioni, a meno che la voce si trovi in una situazione particolarmente... sfortunata, sarà bene iniziare a esercitarsi anche con vocalizzi. Il primo impegno sarà quello di impostare la giusta "forma" delle vocali, e questo sarà bene farlo senza voce, o con una voce poco impegnativa. Infatti si noterà (e l'allievo farà bene anche ad osservarsi mediante uno specchio) che quando si andrà a mettere la voce piena, risulterà piuttosto difficile mantenere quella forma. La spinta del diaframma stimolata dall'istinto, infatti, indurrà la mandibola a sollevarsi, e quindi a rendere "stretta", inadatta, l'emissione della A, della O e della U, nonché la E aperta. Risulta assolutamente indispensabile, in questa fase, esercitare su poche, pochissime note, nella zona più comoda della propria gamma, le varie vocali controllando che per ognuna di esse venga impostata e mantenuta la forma idonea. Sia chiaro che queste forme non rimarranno indispensabili per sempre, ma nei primi tempi dovrà essere imprescindibile il ricorso a questo metodo, che "insegnerà" al fiato ad alimentare la forma ideale di ciascuna vocale. Qui non si possono illustrare, ma in quasi tutti i libri di dizione e di fonologia, nonché in decine di siti internet, potrete trovare foto e disegni che illustrano la corretta postura delle vocali. Mettere la giusta forma non è assolutamente indice di emettere correttamente la voce, però è propedeutico a questo obiettivo. Se si prova ad emettere una "O", ad es. nella giusta posizione, oppure lasciando che la mandibola si rialzi, oppure lasciando che le labbra si rilascino, si noteranno differenze sostanziali nella qualità e nella precisione del suono. Le labbra e la giusta ampiezza orale daranno alla "O" la definizione della pronuncia e il giusto colore. Ora si provi ad emettere una "O" semplice, prolungandola per qualche secondo. Poi si riprovi dicendo "BO", e prolungando sempre la vocale per qualche secondo. C'è qualche differenza? Si riprovi qualche volta analizzando, come si diceva nel post precedente, i diversi suoni e apprendendo le differenze. La "B" esplosiva iniziale, infatti, imprimerà alla vocale un "punto" di attacco del suono molto avanzato e un flusso sonoro rapido, per cui sarà più difficile ingolare o dare al suono inflessioni perniciose. La cosa cui prestare attenzione è che le labbra, durante l'emissione, non si aprano. La spinta del diaframma, per poter liberare il maggiore quantitativo d'aria possibile, stimolerà l'apertura eccessiva delle labbra, verso la "A", la qual cosa è accuratamente da evitare: questo controllo costituisce una delle strade che portano a quello, ben più importante, del diaframma.

venerdì, gennaio 05, 2007

primi esercizi (II)

Se il parlato costituisce un "passaporto" verso la conquista della vocalità libera da impedimenti e resistenze, ciò non toglie che uscendo dai limiti della gamma abituale del parlato, una certa ostilità la si incontri ugualmente, oltre che per i motivi già esposti, anche per un altro tipo di reazione istintiva, e cioè quella verso i pesi e le fatiche. Come ho già avuto modo di esporre, il diaframma, come tutti i muscoli del nostro corpo, ha una certa tolleranza al lavoro, dopodiché reagisce. La prima reazione di cui abbiamo parlato era dovuta a una permanenza eccessiva dell'anidride carbonica nei polmoni, la seconda reazione è dovuta al carico pressorio che si genera quando la tensione delle corde aumenta considerevolmente, per l'altezza o altri parametri del suono. Ma questa reazione ha anche una radice automatica; siccome i polmoni supportano la muscolatura della schiena e del busto in genere in alcuni movimenti posturali, una chiusura glottica forte, che si genera appunto nei suoni acuti, può indurre il nostro istinto a mettere in pratica lo stesso tipo di meccanica, con un rialzamento considerevole del diaframma. Dunque l'esercizio parlato, eccellente nella fascia medio-grave, può incontrare difficoltà nel settore acuto, dove occorrerà integrare con altro genere di esercizi. E quali esercizi possono evitare la reazione istintiva? Quelli "senza peso", ovvero esercizi con volume e appoggio scarsissimi. In pratica la voce "sospirata". Se i registri, dal punto di vista iniziale, sono i "pezzi" in un cui è suddivisa orizzontalmente la voce, cioè nel senso dell'estensione, esistono anche "strati" verticali, che vanno dalla voce sospirata alla voce fortissima, potente, timbratissima. Se possiamo dire che la voce perfettamente educata potrà giungere alla "corda unica", o registro unico, così l'educazione esemplare potrà raccogliere i suoni dal pianissimo più lieve al suono più potente senza alcuno scalino e senza alcun mutamento significativo di qualità ed omogeneità. Alcuni effetti, che a seconda delle scuole e dei teorici, prendono varie nomenclature, quali falsettino, testa, falsetto, ecc., si fonderanno in un unico suono di cui il cantante potrà servirsi a suo piacimento per tutti gli effetti che vorrà, senza fratture rispetto alla voce piena, cioè potrà passare dal pianissimo al mezzoforte al forte al fortissimo, al chiaro, allo scuro, ecc. e combinazioni varie, senza dover "uscire" e "entrare" dal suono pieno, con spezzamenti e interruzioni. Molti cantanti, più o meno abili, sfruttano spesso il falsettino per simulare mezzevoci, mentre solo pochi cantanti abilissimi, come Gigli, riuscivano a utilizzare voce piena e falsettone con continuità, senza rotture. Alcuni tenori ad esempio riescono a entrare in falsetto piccolo negli acuti, per simulare un suono filato, ma poi non riescono più a rientrare in voce se non con una "rottura" evidentissima del flusso sonoro; questo è paragonabile ai registri, cioè è come possedere "più corde" di diverso spessore, mentre una discplinata educazione del fiato può creare una sorta di "corda unica" plasmabile, che permetterà in ogni settore, grave, medio e acuto, e per ogni gradazione di colore, timbro, intensità, volume, di ampliarsi e ritrarsi in modo del tutto proporzionato e graduale. Se gli esercizi in voce sospirata non comportano reazioni istintive, sarà relativamente facile trovare la posizione e l'omogenità del flusso. Qual è lo scopo di questi esercizi, dunque? 1°) esercizio e sviluppo del fiato; 2) esercizio di articolazione di tutte le parti componenti lo strumento senza interferenze, 3) presa di coscienza del percorso e della posizione del suono perfetto. La mancanza di reazione istintiva, infatti, permette all'allievo di rendersi conto della sensazione di facilità di emissione; raffrontato con un suono pieno, si potrà prendere maggiore coscienza di cos'è il peso e l'appoggio e delle difficoltà che questi generano. Però è anche l'obiettivo: arrivare a cantare a voce piena con "la" facilità e "la" mancanza di ostacoli e resistenze della voce sospirata. Allora ecco l'esercizio semplice, utile e, secondo me, anche piacevole e interessante: su una nota centrale, facile, pronunciare una frase di semplice memorizzazione (dicevamo, per es.: "fra Martino campanaro"), piano, magari non proprio pianissimo, un paio di volte, quindi ripeterla decisamente più forte, ritornare in piano. Continuare, prendendo fiato quando occorre, senza mai trovarsi in riserva, magari passando gradualmente dal piano al forte all'interno della frase. L'esercizio, al di là delle utilità pratiche, deve avere soprattutto una utilità di apprendimento intellettivo, quindi occorre analizzare ciò che avviene durante un tipo di emissione, poi nell'altro, ciò che avviene quando si passa gradualmente, e non ultimo imparare ad ascoltarsi, chiudendo gli occhi, magari, attraverso le orecchie esterne, per capire se la pronuncia rimane la stessa o se qualcosa muta.

primi esercizi

Dunque, sulla base di quanto detto, noi vorremmo cantare riducendo al minimo la reazione istintiva. Sia chiaro un fatto: anche quando avremo dominato al 100% questa natura "ribelle", non possiamo mai pensare di aver totalmente vinto, perché è evidente che il nostro corpo e le nostre esigenze vitali hanno sempre la precedenza rispetto a qualsivoglia esigenza artistica, quindi non dobbiamo mai abusare della conquista realizzata. Dunque, altra premessa: non esiste IL sistema per "domare" la reazione istintiva, perché sono numerose le azioni che stimolano la reazione, e quindi dobbiamo ricorrere a diversi sistemi. Ma partiamo, altrimenti sembra che stia girando intorno senza mai decidermi. La prima considerazione è che il parlato, come ho già detto anche rispondendo a domande, è accettato dall'istinto, e non genera ribellione. Quindi il primo obiettivo dovrà essere quello di ottimizzare il parlato e identificare la gamma più naturale e propria di questo micro-registro; è una cosa relativamente semplice. Saranno poche note, solitamente meno di una quinta, ove si parla con buon volume e omogeneità. Ora qualcuno si porrà già delle domande: "ma il parlato non è intonato". La qual cosa è vera fino a un certo punto; nel parlato quotidiano non si rimane mai fissi su una nota, e le varie note hanno distanze tra di loro non consuete, cioè non si rispettano semitoni e toni, ma si sfrutta qualsiasi frequenza. Inoltre alcune note già appoggeranno naturalmente altre tenderanno a nasaleggiare, a ingolare, ecc. dando impressioni acustiche molto variabili. Un esercizio non facile, ma utilissimo e anche divertente, è quello di pronunciare ripetutamente una frase dicendola con un parlato "normale", quindi passare a una intonazione fissa. Questo esercizio rivela i "buchi", cioè le vocali che appoggiano meno, le consonanti poco sonore, ecc. Provando su diversi semitoni, a un certo punto ci si accorgerà di qual è la nota più simile o vicina al nostro parlato naturale. Allora si prenda una frase nota e memorizzata, come "fra martino campanaro", la si dica per un po' di volte di seguito, senza interruzioni, curando la perfetta dizione. Si cerchi quindi su uno strumento una nota nel registro centrale, di petto, che può essere un do2 per un basso, un re2 per un baritono, un mi2 per un tenore, un si2 per un mezzo/contralto, un re3 per un soprano (sono tutte note del tutto orientative, che possono cambiare da soggetto a soggetto), e mentre si pronuncia la frase suddetta, si provi a intonarla, verificando la diversità. Si torni quindi al parlato, e si provi nuovamente a intonarla su una nota di un semitono più basso o più alto, a seconda che si sia avvertito una differenza tra parlato e intonato in una direzione o nell'altra. Spero di aver spiegato decentemente l'esercizio. Quando si saranno trovati alcuni semitoni ove si riesce a pronunciare con assoluta libertà e facilità la frase indicata, si potrà rimanere intonati e ci si potrà muovere verso l'alto e il basso, variando, magari, anche la velocità di esecuzione. Ciò che si potrà notare è che salendo, il volume, affinché la frase rimanga ben pronunciata, dovrà leggermente aumentare, mentre scendendo tenderà a diminuire. Adesso qualche donna giustamente dirà: ma se parlo di petto su un re3, salendo mi troverò subito in difficoltà. Giusto. A meno che non siate cantanti interessate alla musica leggera, per cui questo esercizio dovrete estenderlo fino a un do-do#4 (ma in realtà saltuariamente anche chi fa lirica dovrà esercitarlo), dal fa3 occorre passare in falsetto/testa. Il che va benissimo, non c'è alcun problema, salvo che il fiato durerà molto meno. La cosa anche difficile è l'equiparazione tra il petto e il falsetto/testa, che all'inizio risulterà piuttosto eterogeneo. Questo esercizio, nella sua apparente semplicità, svilupperà enormemente il fiato in quantità ma soprattutto qualità. Il nostro istinto non reagisce e anzi troveremo in breve tempo un considerevole miglioramento nel sostegno vocale. Quando si sarà raggiunto un buon livello in questo piccolo registro comodo, ecco che potremmo trovarci di fronte a quelli che alcuni teorici definiscono i "passaggi di registro secondari". Ovviamente non ci sono, ma il fiato, uscendo dai confini del registro proprio della voce parlata, troverà maggiori difficoltà a mettere in vibrazione le corde. E' un po' come suonare gli acuti o i bassi su un pianoforte che è stato usato per anni da allievi, che avranno una sonorità molto diversa dalle note centrali che sono state usate intensamente. Quindi ecco che dovremo abiturare il fiato a sostenere queste note impegnandolo maggiormente, quindi con accenti più marcati, aumenti di volume ed eventualmente anche leggeri "oscuramenti" del suono che provocheranno un certo aumento nella forza e nella quantità di fiato. E' evidente che quanto detto ha una durata molto limitata, anche poche lezioni, perché il fiato si abitua rapidamente alla situazione, quindi questi "falsi passaggi" in breve tempo spariranno. Potenzialmente gli esercizi su frasi non hanno limiti all'interno della gamma standard di ciascuna voce, ma in realtà la fatica che si fa a sostenerli induce a ridurli a tutto il centro e i 3/4 della zona acuta, anche se saltuariamente è bene percorrerla tutta, sempre dietro assistenza di un valido maestro che possa cogliere la validità o meno dell'esecuzione; la presenza di errori imporrà l'immediata interruzione dell'esercizio, perché oltre che molto faticoso può indurre reazioni molto violente dell'istinto e quindi si rischia di doversi fermare definitivamente. Se non si commettono errori gravi fin dall'inizio, tipo ingolamenti, ma che anche un orecchio inesperto scopre con molta facilità, perché deve sempre essere somigliantissimo al parlato naturale, questo esercizio difficilmente può creare veri problemi; al massimo, come si diceva, stanchezza fisica e, in caso di errori, anche vocale, ma talmente evidente che è pressoché impossibile insistervi. Anche per gli uomini, a un certo punto, subentrerà il problema del passaggio. Tolto che anche per loro è possibile proseguire in registro pieno di petto per alcuni semitoni, e quando il fiato sarà sviluppatissimo anche fino a un la/si3, a partire dalla nota di equilibrio per ciascuna classe vocale, già individuata dal Garcia, e cioè reb3 per i bassi, mib3 per i baritoni, fa3 per i tenori e fa#3 per i contraltini, si potrà continuare l'esercizio oscurando leggerissimamente il colore. Ovviamente l'esercizio risulterà più breve, in quanto il fiato verrà consumato più rapidamente e con maggior fatica fisica. E' evidente che quando ci si avventura nelle zone più difficili della gamma vocale occorre sempre una guida attenta e vigile, perché ogni semitono conquistato può marcare un progresso nella conquista della vocalità, ma ogni errore non corretto è un regresso e può costare molto tempo in più per raggiungere l'obiettivo.