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mercoledì, dicembre 30, 2009

Le labbra, briglie e timone

L'importanza delle labbra non sarà mai abbastanza capita ed esercitata. Chi capisce che le labbra, specie nella O sono le briglie e il timone della voce, ovverosia lo strumento di controllo del diaframma (non so se si comprende la portata di ciò che ho appena scritto: STRUMENTO DI CONTROLLO DEL DIAFRAMMA!!!), accelererà moltissimo il tempo di educazione della voce. Tenere il controllo delle labbra significa portare avanti la tensione (togliendola soprattutto dalla gola e da tutte le parti interne - figuriamoci cosa potranno pensare quelli che invece fanno di continuo esercitare pressioni sulla laringe, sul velopendolo, ecc.!), significa tenere sotto controllo la pressione dell'aria, che poi è quella grazie alla quale il diaframma si alza e si abbassa, impostare correttamente la dizione e ancor più l'attacco dei suoni, che vengono pressoché sempre iniziati nel faringe o nelle adiacenze. Se anche nel passaggio da una vocale all'altra si mantenesse sempre forte il controllo, ovvero la tensione, sulle labbra, il fiato continuerebbe a scorrere e non vi sarebbe il continuo pericolo che subentri la fibra a sostenere il suono; il fiato sarebbe l'unico artefice dell'emissione.

venerdì, dicembre 25, 2009

C'è galleggiamento e galleggiamento

La sensazione che la voce galleggi sul fiato può essere abbastanza diffusa. In effetti una certa fortuna, nel senso di predisposizione, e un istinto positivo nel tenere leggero e nell'evitare affondamenti e irrigidimenti, può portare a sentire la voce che resta alta sul fiato. Questo è di per sè un fatto estremamente utile, importante nella conquista dell'Arte vocale. Devo però specificare che questo galleggiamento non è identificabile con la respirazione galleggiante, che è per noi un traguardo straordinario. Respirazione galleggiante non è semplicemente sentire il canto sopra il fiato, ma è il fiato stesso che non grava più sul diaframma, che non deve più essere costretto a rimanere in posizione bassa dal peso stesso della voce, ma ci rimane in quanto è stata commutata la sua funzione da fisiologica ad artistica.

giovedì, dicembre 24, 2009

Pronuncia e conformazione fisica

Mi pare di aver già scritto in precedenza che la buona emissione è anche legata alla conformazione fisica delle forme orali, e in particolare del palato. Il motivo per cui la U è una vocale utile per mettere il suono avanti, è determinata dal fatto che la pronuncia viene individuata nella estrema parte anteriore del palato, in corrispondenza esterna con l'attaccatura del naso, nel labbro superiore. Questo crea le condizioni ottimali per l'appoggio e per la amplificazione del suono. Il problema che intendo affrontare qui, riguarda il passaggio a tutte le altre vocali, in particolare nella zona acuta. Un momento difficile è sicuramente determinato dal cambiamento della U in A, in quanto la A viene generalmente pensata molto indietro, e la ragione è che nella zona faringea la A trova maggior spazio. Naturalmente è altresì vero che se si apre la bocca anche la parte anteriore della bocca ha spazio a volontà, e questo deve essere il corretto modo di procedere. Quindi nel passaggio dalla U alla A occorre non abbandonare le labbra che hanno pronunciato la U, ma guidarle lentamente all'apertura completa che determinerà la A. Ancora ovviamente, dietro a questo c'è il pensiero di una A che si formi a livello dei denti anteriori, e meglio ancora nella zona superiore della bocca. Stare attenti che la A non finisca nel naso e non tirare le labbra verso l'interno delle guance, perché così facendo il suono va indietro e assume un colore aspro e molto brutto, sguaiato. 

La E è anch'essa molto diversa dalla U, se parliamo della é, chiara. La I e la E richiedono spazio orizzontale, almeno in tutta la zona di petto, e anche nel falsetto femminile. Ciononostante si può arrivare sia alla E che alla I senza problemi, semplicemente tirando le labbra dagli zigomi, a sorriso. Il problema si pone nella zona acuta, di falsetto maschile e di testa femminile, dove è necessario scurire un po' per facilitare il passaggio.  In questo caso occorre esercitare la è (E' verbo) con colore oscuro, ampia apertura orale (simile a quella della O) e restringimento del labbro superiore, che aiuta a oscurare il timbro e a trovare la giusta dizione. Nel sito, per chi è registrato, c'è una lezione del m° Antonietti che esemplifica tutte le vocali nei due colori. Se si mantiene il colore oscuro, oltre al maggiore impegno del diaframma e al suo mantenimento in posizione bassa, facilitato dalla posizione bassa della laringe, la pronuncia andrà più facilmente a collocarsi nella parte avanzata del palato. 

Non ho specificato, prima, cosa capita nella A quando si fa in zona acuta. Se la posizione è veramente giusta, la A non necessita di alcuna modifica. Siccome è facile che "scappi", in zona di passaggio può essere consigliabile oscurarla appena, e considerare che la pronuncia non deve essere troppo larga, proprio per evitare che vada a cercare maggior spazio nel palato posteriore.

Per quanto riguarda la O, essa dovrebbe non riservare grosse sorprese, anche se non sempre è così. Per facilitare il mantenimento della posizione avanzata, la O deve essere impostata su una pronuncia "stretta", cioè o con accento acuto, la bocca molto ampia e il labbro superiore leggermente stretto. Può anche essere consigliabile pronunciare U e poi passare inavvertitamente alla O solo allungando la bocca. La sensazione della O che si appoggia davanti e perde la fisicità è una delle più belle e liberatrici.

La I, essendo la più chiara, può incontrare problemi negli acuti se pronunciata sempre in orizzontale, perché porta la laringe ad elevarsi molto e questo un po' spoggia. E' consigliabile, pertanto, dopo il passaggio, emettere una I che noi definiamo "ingrintata", cioè sulla posizione della U, con le labbra strette e la lingua appoggiata sui denti inferiori (come deve SEMPRE essere). Per mantenere bene la pronuncia anche negli acuti, sarà il labbro superiore ad alzarsi. 

Può essere interessante a questo punto fare un esercizio in cui si passi da una vocale all'altra nello stesso colore, quindi, in color chiaro (tendenzialmente sul sorriso): é i è a o u; e poi sul colore oscuro (quindi in verticale) si, è a o u. La é stretta in colore oscuro è più difficile perché porta al sollevamento della lingua nella cavità orale, e questo determina una tensione complessiva poco produttiva, quindi la si deve esercitare a lezione.

lunedì, dicembre 21, 2009

L'appoggio davanti

Una delle sensazioni più incredibili della disciplina artistica della voce, è quella che l'appoggio si avverte nel suono esterno, nella perfetta pronuncia. Credo che tutti pensino e avvertano l'appoggio come qualcosa rivolto verso il basso, come un peso che grava sul diaframma. Eppure non è così. L'energia insita nel fiato si proietta verso l'esterno dove potrà trovare libertà, sfogo, ma senza la spinta posteriore. Spingere e lasciar scorrere sono due questioni estremamente diverse e inconciliabili. Quando il fiato sonoro può esplicitarsi fuori di noi, trova sonorità, ricchezza, espansione, ampiezza. Quindi stiamo sempre attenti quando ci parlano di "appoggiare" il suono, ricordiamoci che esso si originerà all'esterno della bocca, e si amplierà verticalmente davanti ad essa.

sabato, dicembre 19, 2009

Mischiare o non mischiare?

Sento sovente parlare di "mischiare" i registri. Anche in questo caso il termine potrebbe rendere vagamente l'idea della "fusione", però mantengo qualche dubbio. Il termine "mischiare" fa pensare all'unione di due componenti. Cioè si mischia il vino, nel senso di due qualità o tipi di vino diverso; qui abbiamo due meccaniche, ma attengono ad uno stesso strumento, la laringe, che d'istinto compie repentinamente un movimento e un cambio di meccanica, laddove è possibile, in quanto potenzialmente presente, compiere una gradualità. Quindi, come si è già scritto, non andiamo a "mischiare", ma ad annullare il "passaggio", creando la gradualità. Ora, la mia perplessità nasce dalla constatazione che in molte scuole fin dal primo momento si punta alla fusione dei registri, parlando, per l'appunto, di "mischiamento" dei registri. Questo a mio avviso è molto sbagliato. A meno che uno non sia già in possesso naturalmente di un registro unico, cosa rara, e comunque sempre da esaminare, l'annullamento dei registri richiede ANNI di corretto e impegnativo esercizio. Il Garcia l'aveva scritto in modo molto semplice e chiaro il percorso da compiere. Prima di tutto occorre ben esercitare le gamme di rispettiva proprietà il petto e il falsetto. Quindi per mesi ed anni, è necessario esercitare il petto dalle note più basse fino dove risulta bello, rotondo, ricco, facile (anche se impegnativo). Questo potrebbe essere, inizialmente, anche inferiore alla gamma propria di quella voce (può succedere che un tenore "in erba" nei primi tempi faccia molta fatica a esercitarsi sul mi naturale, per es.). Il falsetto lo si potrà esercitare in colore chiaro o scuro nelle note proprie (negli uomini è quasi sempre preferibile lo scuro), partendo eventualmente anche qualche semitono prima del passaggio e fin dove è possibile correttamente. E' altresì normale che nelle note più acute possa venire meno sonoro, più povero, ma questo è dovuto al "cedimento" del diaframma, che avrà luogo in tempi solitamente non molto lunghi. Per arrivare all'annullamento dei registri, si dovranno portare a perfezione anche alcuni semitoni prima e dopo il passaggio entrambi i registri.

Per quanto riguarda il registro di testa della donna (re4), esso è da esercitare col colore oscuro fino al fa#4, almeno, però al solo scopo di esercitare il diaframma a sostenere il peso. Qui non si può parlare di annullamento o fusione, perché non è un vero passaggio di registro, e col tempo il fiato possiederà l'energia sufficiente ad alimentare correttamente la porzione di corda vibrante 

martedì, dicembre 15, 2009

A ognuno il suo [acuto]

Giustamente mi è stato fatto notare che il tenore e il baritono, due voci in fondo non così distanti, affrontano e risolvono gli acuti in modo piuttosto diverso, salvo casi abbastanza rari. In effetti in passato le cose non erano così diverse, se si sentono i grandi baritoni degli anni '30 e '40, si avverte un uso del colore e un atteggiamento nei confronti degli acuti che è sostanzialmente lo stesso dei tenori. Ha prevalso, nel tempo, però la linea di alcuni altri baritoni (partendo da Titta Ruffo) che hanno preferito mantenere un colore oscuro per tutta la gamma. Questo atteggiamento stilistico crea qualche problema nell'educazione della voce, perché lo scuro ha un peso considerevolmente maggiore, che se può tornare utile nella zona centrale della gamma, crea però un impegno molto ingente da portare con omogeneità nella zona acuta; inoltre dopo i primi due o tre suoni oltre la nota di passaggio, lo scuro comporta il mantenimento di una posizione bassa da parte della laringe che diciamo "si incaverna", nel senso che occupa una posizione inidonea agli acuti, che richiedono un maggiore allungamento e assottigliamento delle corde e pertanto avrebbero bisogno di maggior spazio, che si trova nella parte alta del faringe. Ciò crea a molti baritoni una difficoltà a sostenere gli acuti superiori al fa#3, che spesso risulta già nota ostica. Diciamo che se può essere ragionevolmente accettabile che i baritoni possiedano un colore diverso dai tenori (ma che dovrebbe risultare dalla tessitura stessa dei brani, mentre già con Verdi si assiste a una progressiva acutizzazione delle parti, poco logica, in realtà), questo non dovrebbe essere esasperato. Se consideriamo che tenori come Giacomini (recente) sembrano baritoni, i baritoni dovrebbero assomigliare ai bassi... e poi?? Sarebbe molto meglio se ognuno cantasse ciò che meglio riesce a rendere con i propri mezzi, indipendentemente dalle tante inutili e persin dannose etichette.

Fusione o annullamento?

Molte scuole di canto e trattati parlano della possibilità di "fondere" i registri. Per molti, a cominciare dalla prestigiosa scuola romana di Cotogni, attraverso le parole dell'illustre allievo Giacomo Lauri Volpi, preferiscono continuare a parlare di passaggio, anche se meno evidente nella carriera professionale. Poi abbiamo i casi tipo Bergonzi che sostanzialmente hanno sempre mostrato con evidenza il momento del passaggio. Alla base della teoria della fusione dei registri sta anche la nomenclatura, da parte anche di illustri foniatri, di quel registro intermedio tra petto e testa nella donna che viene definito "misto". Ovviamente avrete già capito che qui intendiamo confutare tutta questa mole di teorie che riteniamo confusionarie.
La laringe, e quindi le corde vocali, devono essere considerate uno strumento, e come tali non hanno in sè alcun motivo di possedere meccaniche diverse in alcune zone della gamma vocale. Non solo possiamo, ma dobbiamo dire che la gamma vocale è unica e pertanto dalle note più gravi alle più acute lo strumento offre una gamma omogena di suoni. Ora tutti sanno che ciò, tranne rarissimi casi, non si avvera pressoché mai, quindi dobbiamo considerare questo assioma solo potenzialmente presente in ogni individuo. Il motivo della presenza di due meccaniche separate è stato già più volte descritto: l'istinto di conservazione e difesa della specie non ritiene utile per la vita e la sopravvivenza dell'uomo l'esistenza di uno strumento completo, e ne limita pertanto il funzionamento a due soli tratti, quello della voce parlata e quello della voce gridata per motivi di relazione e difesa. Questa "atrofizzazione" del funzionamento laringeo non è però irreversibile, perché i sensi, anche quelli più nascosti, possono sempre essere riabilitati quando necessità di cambiamento ambientale ne richiedessero l'uso per fini di sopravvivenza. Nel caso della voce l'istinto è particolarmente ostico a lasciar modificare il funzionamento del fiato, in quanto, oltre a non essere realmente necessario per la vita, va a scontrarsi con le funzioni di scambiatore gassoso. Precisiamo che ciò che determina i registri non è la laringe, ma il fiato, che ha perso ogni capacità di alimentare in modo progressivo i suoni.
Sappiamo che la laringe può atteggiarsi secondo due meccaniche diverse, che richiedono anche diverso tipo di alimentazione da parte del fiato: il cosiddetto petto e il cosiddetto falsetto. I due registri percorrono su per giù la stessa estensione. Il petto non è sovrapponibile all'atteggiamento di testa. I suoni superiori al re4 di petto, che si sentono da parte di cantanti di musica leggera o diciamo moderna, sono da considerare una forzatura, non relazionabile con gli altri registri e con il fiato stesso. Sappiamo inoltre che l'esperienza ha fatto individuare già ai grandi insegnanti del passato i punti di equilibrio tra petto e falsetto e il punto di passaggio dal falsetto alla testa. A questo punto si parla di "fusione" dei due registri? Il termine non è sbagliato; facendo esercizi che investano il petto oltre il cosiddetto punto di passaggio e del falsetto prima dello stesso punto, si porterà il fiato a gradualizzare sempre più la propria funzione. Per la precisione il fiato dovrà aumentare la propria energia nella zona precedente il passaggio, quando la corda non risulterà più totalmente convessa, di petto, ma comincerà già ad assumere un atteggiamento teso, e potrà leggermente diminuire nella zona del passaggio e qualche suono successivo, quando la corda non risulterà più esclusivamente tesa ma anche con una percentuale di convessità (per questo motivo può accadere che nella fase educativa si avverta un maggiore impegno su note leggermente superiori a quelle del passaggio, dove le corde entrano pienamente nel registro di falsetto o testa: ad es. la donna può sentire un maggiore impegno sul la-sib3 e poi sul fa-fa#4, i tenori sul sol#3, i baritoni sul mi-fa3, ecc.). Ai fini di un imposto esemplare, e tenuto conto della premessa, riteniamo però che col tempo il termine "fusione" sia da escludere a favore di "annullamento" dei registri, avendo ricreato uno strumento musicale, completo e omogeneo.

lunedì, dicembre 14, 2009

Postura e appoggio

E' molto comune in chi inizia lo studio del canto notare posture del corpo non del tutto corrette. Appoggiarsi ad una parete o al pianoforte o a un qualunque oggetto presente è il segno della fatica che l'istinto non vuol fare. In genere si fa notare l'errore e si evita di ripeterlo. Meno evidente, ma più subdolo e potenzialmente dannoso è l'appoggio sull'anca. In pratica evitando di appoggiarsi ad oggetti esterni, si cerca di scansare un po' di fatica scaricando il peso su una sola gamba. Così facendo però l'asse del bacino si inclina su un lato e il peso del busto graverà sull'anca nel lato più basso. Questo è deleterio perché anche il diaframma tenderà a inclinarsi sullo stesso lato e il peso del fiato non sarà più equilibrato e uniformemente ripartito; siccome il diaframma non è un muscolo unico, ma è diviso in zone, c'è il rischio (che all'istinto piace!) che una parte del diaframma si abbassi e un'altra si alzi, con conseguente parziale spoggio, il che, come noto, è cosa assolutamente da evitare.
Da assimilare allo stesso errore è anche il piegare una o entrambe le gambe.

venerdì, dicembre 11, 2009

Come si parla - istinto e orecchio

Un mio allievo mi pone la domanda: se uno parla ingolato, l'esercizio sul parlato non peggiora la situazione? La risposta diretta è: no. Spiegazione: il parlato in ciascun soggetto è, comunque, l'espressione vocale più "sana" che possiede. Non può, quindi, esistere un esercizio esclusivamente vocalizzato che possa superare la bontà del parlato. L'insegnante metterà in essere tutte quelle strategie per far migliorare il parlato, questione che è SEMPRE da porre, perché anche nel migliore dei casi il parlato non si può definire perfetto, è semplicemente una espressione vocale relativa alle nostre esigenze di vita, che non necessitano certo di perfezione. Il pensare di fare un "vocalizzo" per mettere "avanti" il suono PRIMA del parlato è assurdo e sbagliato.

Lo stesso allievo mi pone un'altra domanda: può il nostro istinto, che agisce sia fisicamente che psicologicamente, agire anche sull'orecchio e farci sentire in modo difforme per portarci su una strada sbagliata? Il nostro orecchio sente ciò che è "necessario" sentire, quindi rispetto all'arte è difettoso, e può evolversi in misura della nostra necessità di sviluppo artistico; l'istinto in questo caso non ha praticamente necessità di intervento in quanto non andiamo a modificare il funzionamento, è solo un raffinamento del suo grado percettivo, per cui possiamo dire che la risposta sia "no".

giovedì, dicembre 10, 2009

"II timbro può attendere"

Praticamente tutti coloro che si avvicinano al mondo del canto lirico, sono affascinati dal timbro "lirico" e naturalmente sono ansiosi di conquistarlo. E' vero che ci sono non poche voci che si ritrovano già naturalmente un buon timbro; è questione di fiato già molto sviluppato e di una situazione anatomica particolare. Nella maggior parte dei casi le voci non si ritrovano questa caratteristica, o magari la possiedono su pochissime note. Dunque la fretta di trovare il timbro (magari supportata da un insegnante altrettanto ansioso, e perciò pericoloso!) porta fatalmente verso l'ingolamento. L'ingolamento è il sistema più semplice e veloce per trovare timbro, per quanto orribile. Nonostante le (inutili) perorazioni dell'insegnante: "Apri la gola!!", l'ingolamento consiste in un restringimento della glottide; la voce passando in questa strettoia subisce una frizione e si determinano alcuni "rumori" (pseudo armonici) che determinano un timbro vagamente "lirico". La presunta validità di questo sistema è anche data dal fatto che il bloccaggio della laringe frena la risalita del diaframma, e dunque si ha l'illusione di un appoggio abbastanza efficace. Qualcuno potrebbe legittimamente chiedersi: allora cosa c'è che non va, se l'ingolamento permette di raggiungere velocemente dei risultati? In primo luogo, come si può facilmente capire, c'è uno strozzamento, che riduce la portata dello strumento vocale. In secondo luogo la lunghezza della colonna d'aria è drasticamente ridotta, ma soprattutto la strozzatura crea la necessità, al fine di far uscire la voce, di spingere, il che da un lato produce una fatica notevole, dall'altro una sofferenza da parte della laringe stessa e dai muscoli relativi, che a lungo andare può determinare serie difficoltà e persino patologie. Ovviamente per chiunque sappia cos'è un canto piacevole e corretto, questo tipo di emissione è a dir poco orribile, inascoltabile. Oltre a essere bruttissima, questa emissione è solo apparentemente ricca; la voce ingolata non corre, non si espande e se non fa capo a un fisico molto robusto si sente anche poco. Le voci ingolate possono darla a bere (ma sempre a persone con poco orecchio) solo davanti a un microfono, che esalta gli pseudo armonici di cui si diceva. Tutto questo per dire che nel percorso educativo della voce bisogna avere molta pazienza perché il timbro è l'ultima cosa da attendere. Se l'appoggio di base è efficace, il suono - colonna d'aria - sarà libero, leggero, scevro da interferenze valvolari e resistenze glottiche e potrà giungere pulito ed ampio fino alla zona anteriore e superiore della bocca. Se e quando ciò avverrà correttamente, la zona alveolare del palato si comporterà ne più ne meno come il ponticello di un violino o una chitarra, e trasmetterà alle zone anteriori e superiori del volto e del cranio le vibrazioni, che riceveranno un ulteriore e notevole arricchimento, il timbro appunto. Qualunque interferenza che "inquini" il flusso sonoro o limiti l'appoggio, impedirà di fatto la conquista del timbro autentico e pieno dello strumento vocale umano, e instillerà nel soggetto la conseguente voglia di ricercare timbro ingolando. Il consiglio che si deve dare, quindi, è sempre quello di non cercare timbro, di lasciar fluire il più liberamente possibile la voce; questo darà modo di trovare presto e bene libertà e appoggio, e dunque anche quel risultato da tutti agognato.

mercoledì, dicembre 02, 2009

Molto rumor per nulla

Il timbro rappresenta uno dei problemi più inquietanti degli ultimi decenni della storia del canto. Alla base di questo problema, a mio parere, c'è l'invadenza del mezzo tecnico, l'incisione, che dal suo apparire ha creato grossi equivoci. La voce molto "rumorosa", infatti, nel disco appare più ricca e dunque sembra più grande, voluminosa, interessante. Il timbro si crea quando al suono base, formato dalle corde vocali e amplificato nelle cavità sopraglottiche, si aggiungono una serie di ulteriori riverberi e suoni secondari prodotti dall'elasticità delle pareti e dalle microporosità delle ossa del cranio. Queste aggiunte avvengono correttamente quando il suono, pulito e preciso, si riverbera sull'ultimo tratto del palato alveolare, dietro i denti superiori anteriori, che funge da "ponticello" tra quella zona e tutto il resto del cranio, sia inteso come ossa che come spazi. Da quando la scienza medica cominciò a interessarsi di vocalità, si cominciò a modificare la vocalità sana del passato nell'arrogante pretesa di migliorarla, o meglio ingrandirla. Il risultato è che si sono spostati i punti fondamentali di produzione e amplificazione, e oggi non c'è quasi più nessuno che non ricorra, in qualche percentuale, a suoni ingolati o indietro. I quali suoni ingolati producono "rumori", dovuti alle frizioni che il suono incontra attraversando la glottide o il faringe tesi e stretti, che vengono scambiati per timbro e definiti, incredibilmente, armonici. Chi inizia a cantare e ha in mente alcuni miti del canto, vorrebbe subito averne il timbro ricco e variegato. L'ingolamento risolve velocemente questa aspettativa, ma purtroppo in modo difettoso. La mancanza di disciplina e di pazienza è all'origine dei danni all'Arte.