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domenica, novembre 17, 2013

C'è abitudine e abitudine

Da una discussione sulla musica contemporanea, nasce questo post che ritengo utile anche nel campo vocale.
Partiamo dalla considerazione che l'uomo possiede "un orecchio" che non è da intendersi esclusivamente in senso anatomico, come ognuno sa. Potremmo anche dire: l'orecchio questo sconosciuto, visto che molto del mondo sonoro che ci circonda è percepito in modo alquanto diverso, quindi esiste una selezione che viene fatta da mente/orecchio, parte in modo naturale, parte in modo culturale. Il difficile è stabilire quanta e quale è la parte naturale e quanta e quale quella indotta, imparata, assimilata. Ho iniziato prestissimo a fare e ascoltare musica, ma fino intorno ai 17 anni non tolleravo alcun brano dove si presentassero evidenti atonalità o "stonature". La scoperta del "Sacre du printemps" di Stravinsky mi provocò un rovesciamento di fronte, e da quel momento iniziai ad ascoltare "a manetta", come suol dirsi, musica contemporanea di ogni genere. Esclusi pochi autori o meglio singoli brani, che proprio non digerivo, nel mio repertorio uditivo entrarono tutti, da Schoenberg a Stockhausen a Sciarrino a Penderecki. Alcuni miei amici, tutt'ora coltivanti quel settore, dicevano, e ripetono, che è questione d'abitudine. Un tempo accoglievo questa frase con spirito positivo, cioè che bisogna abituarsi ad ascoltare suoni cui non siamo abituati, quindi una sorta di educazione. Non c'è dubbio che esiste ed è necessaria l'educazione all'ascolto e dell'orecchio. Quando ero piccolo non avrei saputo distinguere, da un ascolto audio, un clarinetto da un oboe o un corno inglese da un fagotto. Qualche decennio fa non avrei saputo distinguere un fraseggio corretto da uno qualsiasi, una voce indietro da una corretta o ingolata, o sul fiato, ecc. Quindi il discrimine è: orecchio educato, orecchio "violentato". Però attenzione perché c'è altro! Noi ragioniamo sempre in termini di percezioni passive, cioè occhio e orecchio che percepiscono stimoli esterni e noi li assimiliamo. Ma c'è anche una parte attiva. Un giorno, durante una discussione sempre su questo tema, si parlava di armonici, che sono quei suoni che ogni oggetto vibrante, sia una corda tesa, sia un tubo, sia una superfice, emette pochi istanti dopo il suono principale in modo meno sonoro rispetto il fondamentale. Di armonici ne esistono numerosi, anche se l'orecchio umano può arrivare al massimo a sei o sette, ma sono pochi quelli che ne sentono più di due o tre, più che altro per scarso allenamento. Allora questo interlocutore mi fa: ma l'armonico di settima è "stonato". E' vero, ma chi lo dice? Esiste una scala "naturale". Come è possibile? Esistono persone che fin dai primi anni di vita sanno riconoscere i suoni. Come fanno? Se dovessimo credere che è solo questione di educazione esterna, noi non avremmo alcun fastidio, dopo qualche tempo, ad ascoltare suoni pesantemente dissonanti, non ci accorgeremmo più di tanto delle varie accordature, dei tipi di scale, ecc. Invece questo continua a sussistere. Schonberg riteneva che dopo qualche decennio di musica dodecafonica la gente si sarebbe abituata e avrebbe tranquillamente fischiettato le serie. Invece non solo così non è stato, ma addirittura c'è stato un deciso rientro verso la tonalità.Ciò nonostante, anche nella musica cosiddetta atonale, la coscienza è in grado di operare e compiere adattamenti positivi, come dimostrò il M° Celibidache, che infatti eseguì diverse composizioni contemporanee anche in prima assoluta, e come faceva scoprire ai propri allievi (abbiamo anche un video amatoriale in merito), facendo comporre ed eseguire proprie serie dodecafoniche. Ora non starò a dilungarmi su questo tema, che penso interessi pochi, ma torno sull'argomento principale, e cioè l'abitudine nel bene e nel male. Ciò che sostengo è che se mi abituo ad ascoltare composizioni palesemente dissonanti senza che sia chiaro un tragitto, una motivazione, un criterio che mi guidi, io caccerò la coscienza sempre più nell'oscurità, perché il suo intervento non potrebbe essere che censorio! Lo stesso è capitato e capita con le voci; un modo di cantare palesemente difettoso, basato su "rumori" glottici, nasali o di altra origine muscolare, che impedisca la nascita della purezza vocale e non la valorizzi, che non sostenga la fondamentale espressione della parola vera e sincera, è oggi maggioritariamente apprezzato più che non quello artisticamente pregevole, e lo stesso termine artista o artistico è usato disinvoltamente senza alcun autentico interesse ad approfondirne il significato e quindi la collocazione a questo o quel tipo di espressione o personaggio. Ciò che vorrei suggerire, pertanto, è di scrollarsi di dosso, almeno nel campo musicale, il concetto di ABITUDINE e cercare di ragionare sul proprio stile di ascolto, ammettendo senza alcuna vergogna quando non si riesce a spiegare - a sé stessi - se ciò che si ascolta, al di là del "mi piace" o "non mi piace", che può essere sempre affermato - anche se col tempo muta - ha riflessi di qualche tipo sulla coscienza o rimane a livello prettamente percettivo, di sensazione. Dopodiché decida se vuole, se è il caso, di entrare in quell'universo che si andrà a dischiudere.

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