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sabato, novembre 09, 2013

Cartine e modellini

Dando seguito a una indicazione del M° Sergiu Celibidache, faccio questa riflessione. Quando sono in una città che non conosco, posso prendere una cartina che mi aiuti a districarmi tra le strade. Le piantine stradali sono "piatte", vale a dire che non mi danno alcun segno se le strade sono in salita/discesa o in piano, anche perché è una indicazione non troppo importante. Geometri, architetti e ingegneri sanno che dovendo progettare strade, occorre rifarsi a piantine altimetriche, tipo quelle militari, che riportano magari poche o nessuna indicazione di tipo turistico, ma segnano le linee di eguale altitudine, per cui si comprende se determinate località sono pianeggianti o meno. Atlanti e cartine geografiche riportano le altezze con dei colori, sono più intuitive ma molto poco precise. Ora, mettiamo di voler costruire un modellino ad es. con della cartapesta di un certo lembo di territorio. Dovrò per forza avere una cartina altimetrica, e, cosa importante, dovrò saperla leggere. Dopodiché con opportune scale di grandezza cercherò di costruire il modello. Se questo modello mi serve per realizzare un ponte, una strada, un traforo, edifici, ecc., dovrò essere particolarmente attento, bravo e preciso, perché quando si andrà sul terreno a realizzare praticamente l'opera, se le cose non sono state fatte a dovere, ci si ritroverà con problemi rovinosi. Se invece il modello non serve per motivi pratici, in teoria potrei anche fare errori clamorosi: se nessuno conosce quella zona nessuno avrà niente da obiettare! In sostanza questa situazione è analoga a ciò che accade ogni volta che si affronta una pagina di musica; abbiamo una "cartina", che è lo spartito o partitura, sulla quale io dovrei saper leggere non solo le indicazioni "turistiche", che sono le note, le dinamiche, ecc., ma anche le "altimetrie", cioè quegli elementi che permettono di leggere quella porzione di territorio (il brano) in tutte le proprie caratteristiche. Così come l'impiegato pigro che non ha voglia di prendersi la cartina altimetrica e imparare a leggerla, per cui rischia fortemente di infilare delle indicazioni stradali inopportune e persino pericolose, molti musicisti si accontentano di leggere le indicazioni turistiche (e infatti lo potremmo definire un "turista" della musica), e "inventarsi" quelle altimetriche, per cui, come spiega Celibidache nella famosa lezione della RTSI, ma anche in altre interviste o lezioni, può succedere che laddove la realtà prevede una valle o una montagna, le cose si invertono. Se il compositore mette un "p" all'inizio di un brano e non scrive altro per numerose battute, non è possibile eseguire tutte le note con la stessa dinamica; alcune si comprenderà facilmente che sono meno "importanti" perché, magari, sono accompagnamenti, ma molto spesso, specie in brani complessi, orchestrali, di lunga durata, ci si ritrova di continuo con problemi di questo genere; ad es. il tema di una melodia, composto da un certo numero, anche elevato, di note, con un'unica indicazione dinamica, andrà tutto eseguito "piatto", ammesso poi che sia possibile?. Da qui nascerebbe il ruolo dell'interprete, che, in mancanza di indicazioni puntuali, inventa "valli e montagne", cioè intensificazioni, forcelle ad aprire e chiudere, sulla base di soggettive, personali decisioni. In realtà questa mappa esiste, sarà meno evidente, ma non è occulta, non è destinata a menti fuori del comune o destinatari dei "segreti", perché in realtà ciò di cui si occupa è qualcosa che è nell'uomo ed è dell'uomo, non è "invenzione", non è esterno a lui, ma è congruente a come siamo fatti, ovvero alla nostra coscienza. Coscienza che purtroppo non è così limpida e manifesta come auspicheremmo, ma è "sepolta", questa volta sì in modo soggettivo, da questioni familiari, ambientali, caratteriali, per cui non la si riesce a percepire e leggere, proprio come la cartina, perché quelle valli e quelle montagne che dovremmo sapervi scorgere, sono proprie anche della nostra coscienza, che ha bisogno di articolazioni, differenziazioni, contrasti, per poter restituire, alla fine, se sapientemente valorizzate, quell'UNITA' che è sempre il supremo obiettivo. A questo punto qualcuno potrà dire: ma questi criteri come si evincono, chi li dà? Non è che anche Celibidache si sia fatto il proprio orticello di criteri e li spacci come "oggettivi", ma alla fine è un interprete come altri? Su questo si possono dare diverse risposte: 1) in primo luogo è l'unico, che a noi risulti, che abbia ripetutamente esposto i criteri e li abbia insegnanti a centinaia di allievi, non solo di direzione d'orchestra. Non si è mai sentito un esecutore musicale che si sia profuso in dichiarazioni circa le proprie intenzioni esecutive; anche volendo ammettere che siano criteri soggettivi, chiunque ascolti sa quale percorso abbia svolto e a cosa si sia attenuto, cioè NON E' ARBITRARIO!; 2) questi criteri non sono campati in aria! Tutta la fenomenologia che ha elaborato si diparte da studi di tipo filosofico, fisico-matematico, musicale, anatomico, non solo suoi ma anche di altri celebri e importanti autori. Ciò che è riuscito a fare questo maestro è SINTETIZZARE, ovvero RIDURRE OLISTICAMENTE queste diverse componenti in un COERENTE processo di assimilazione e restituzione di un gesto musicale; ciò che ci dice, e che ha fatto, Celibidache, non è studiare a tavolino una determinata pagina, fare delle scelte e poi cercare di metterle in pratica con una qualsivoglia orchestra, ma - dato sicuramente un precedente periodo di studio, questo è ineliminabile - mediante un processo di ascolto, interiorizzazione, presa di coscienza non solo da parte del direttore ma di tutti i partecipanti, RICONOSCIMENTO di tutti gli elementi che, secondo un certo percorso - e non un altro - consentono a chi fa e a chi ascolta di RESTITUIRE la pagina alla propria VERITA', ovvero UNICITA'.
Questo discorso a molti potrà sembrare troppo difficile, ma se lo scartiamo a priori ci abbandoniamo al qualunquismo artistico, al gioco di potere di chi muove i fili del business teatrale e discografico, alla sciatteria e alla decadenza. Con ciò non si può affermare che vogliamo salvare il mondo e che riusciremo a invertire la tendenza, però da qualche parte si deve cominciare; non voglio fare "adepti", ma stimolare curiosità e indurre le persone a sondare, analizzare, provare a fare passi avanti, a non abbandonarsi al "si è sempre fatto così", ma provare a chiedersi se forse c'è un modo più profondo e vero di affrontare l'esecuzione musicale.
Cominciamo da una piccola cosa: esaminate una qualunque pagina musicale, anche molto breve e molto semplice (come può essere: "tanti auguri a te" o "fra' Martino"): anche senza avere le note davanti ci rendiamo conto che determinati segmenti musicali, a volte anche minimalisti, due o tre note, si ripetono. Ponetevi la domanda: essendoci una ripetizione, li dovrò eseguire nello stesso modo, oppure no? E se no, come? Questa può essere una prima domanda, di tante che se ne possono porre. La risposta ovviamente non potrà e non dovrà essere: "io farei così", "io la vedo così", ecc., ma "secondo me va fatto così IN QUANTO....". Non c'è fretta e non ci sono premi, se non la felicità di aver scoperto la verità, e credetemi non è poca cosa!!!!

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