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giovedì, novembre 28, 2013

Storia e scrittura sul canto

Cosa si può scrivere ancora sul canto? Di canto e voce si scrive dal Rinascimento in percentuale esponenzialmente crescente; se si dovesse disegnare una linea la vedremmo salire sempre più, così come quella che segna i progressi scientifici; viceversa vedremmo decrescere sempre più la linea riguardante la qualità del canto. Ho assistito a una conferenza di Giorgio Gualerzi, che diceva una cosa sacrosanta: in questa società c'è sempre meno posto per la Storia; sono sempre meno le persone che ricordano i grandi cantanti del passato, e se lo fanno è spesso più per una questione di "fuga" dal presente che non un autentico desiderio di approfondimento. Il passato non deve svolgere un ruolo mitizzante e acritico, per cui ogni cosa fatta nel passato è grande, è unica, è imprescindibilmente importante. Dare valutazioni, se non giudizi, sui reperti giunti sino a noi è difficile e delicato, ma non di rado abbiamo modo di ritenere che alcuni cantanti sia di un passato lontano che recente non rappresentino sinceramente un esempio illuminante.Quindi l'invito è sempre quello di analizzare con spirito costruttivo e il più oggettivo possibile. Alcuni libri trattano di cantanti del passato, e sono sicuramente di interesse storico, anche se occorrerebbe analizzare quanto viene scritto, che talvolta può avere più un valore millantante, però anche solo il fatto di sapere quali cantanti hanno partecipato alle Prime importanti delle opere, quali repertori e quali teatri hanno frequentato è già di per sé un dato più che interessante per chi si occupa, a qualsivoglia titolo, di canto. Altri libri, direi i più diffusi, si occupano del canto, e più marginalmente dei cantanti.
La pubblicistica sul canto a quale criterio si è andata uniformando? naturalmente a quella del consumismo e della pigrizia, per cui si acquista un libro nel desiderio di non dover andare a lezione di canto per anni! Si pensa di imparare a cantare seguendo delle indicazioni, come se lo si potesse fare come nel caso di una tastierina o una chitarra, con gli immensi limiti che anche questo comporta. La differenza di fondo è che, una volta ancora, si è tentato di ribaltare la situazione: non gli strumenti che hanno tentato di imitare la voce con mezzi meccanici (gli unici che l'uomo riesce ad impiegare), ma la voce che assomiglia agli strumenti, per cui si è cercata la meccanica laddove la meccanica non c'era! (ricordo un mio allievo che un giorno mi chiese dove si cambiava la nota!). L'elelemento meccanico nella voce - corretta - è pressoché NULLO! In particolare ogni strumento possiede un meccanismo che consente di cambiare nota; i pianoforti hanno tasti e corde, i cordofoni hanno le tacche e diverse corde, gli strumenti a fiato pistoni cilindri e chiavi, ecc. L'uomo non ha quasi nulla di meccanico, ma solo IL PENSIERO e LA VOLONTA'. La persona che stona e non se ne rende conto, non può essere "accordata" meccanicamente, ma mentalmente!. Le modificazioni a livello laringeo sono esigue e non devono interessare il cantante se non culturalmente. Se non si parte con l'idea fondante che la voce si allena grazie alla volontà e NON per azioni meccaniche, la partita è persa in partenza. In ogni modo ribadiamo che NESSUN LIBRO e NESSUNO SCRITTO potranno mai insegnare a cantare, proprio perché nessuno scritto può influenzare correttamente la volontà; gli scritti sono utili per ORIENTARE, per evitare danni e problemi grossolani mettendo in guardia le persone dai alcuni dei tanti tranelli nei quali si può cadere, ma poco di più. Un grosso problema che la letteratura sul canto ha innescato, invece, è quello del CAOS! Più si scrive e più il caos aumenta. Se nel 700, con pochissime pubblicazioni, abbastanza in linea tra loro (ma già nelle riedizioni il Mancini polemizzava con chi lo contestava, quindi un certo livello di caos già c'era), qualche linea di chiarezza poteva esserci; man mano che passava il tempo le linee andavano intersecandosi, contraddicendosi, scontrandosi e annullandosi, creando quindi il grande caos nel quale siamo immersi. Questa considerazione non deve però generare solo sconforto. Sono piuttosto sconfortato io, da una certa posizione che occupo e dall'età, ma chi ha il sincero desiderio di studiare canto con finalità realmente artistiche non deve demordere e abbandare il progetto o scegliere subito la via della mediocrità. La strada c'è sempre, è davanti ai nostri occhi e dobbiamo riconoscerla: è la strada della semplicità. E' la più difficile che esista, ne siamo consapevoli e bisogna esserlo, ma non si è persa ed è e sarà sempre percorribile. Quindi, anche se può sembrare assurdo, vista la mole di scritti che ho già prodotto, il mio obiettivo supremo è quello di cercare di sintetizzare e semplificare, ovvero ridurre (anche nella concezione fenomenologica) e quindi aiutare ad uscire dal caos.
Il fatto è che chi legge e si occupa di canto, per lo più si trova immerso in quel caos suddescritto, ed è indotto a ragionare e a porsi in quell'ottica, per cui finisce per chiedere sempre le stesse cose: come si appoggia il suono, che diversità c'è tra voce leggera e voce potente, come si compie il passaggio di registro, ecc. Tutte domande legittime, ma che presuppongono il più delle volte in chi le pone intanto un una sorta di pregiudizio, cioè ritiene di avere una risposta ma necessita di conferme, quindi un desiderio di risposta "meccanica": "fai così e cosà"! e cioè quasi tutte le risposte che spesso vediamo su forum e trattati: alzare il velopendolo, far rientrare - oppure sporgere - la pancia; abbassare la laringe, buttare la voce in mezzo agli occhi, sorridere, ecc.. Insomma tutti quegli orripilanti, nauseanti, consigli che però danno una sorta di sicurezza in chi li riceve, perché appena ricevuto si mette all'opera facendo quanto consigliato e in qualche modo magari si sentirà anche appagato e contento. Allora sarebbe bene fare tabula rasa! Dimenticare tutto quanto si è sentito, si è letto, si è imparato, e dedicarsi all'arte della semplicità! A qualunque stadio educativo siate giunti, tornate per un momento alle "aste" (ai miei tempi per imparare a scrivere, nelle prime settimane, si riempivano paginate di quaderni di aste variamente disposte); cercate di ascoltarvi quando volete dire con assoluta bontà una parola o una frase, valutate cosa succede alla bocca, alle labbra, alla lingua, magari registratevi anche e riascoltatevi, cercando di capire cosa non convince. Ma non cantate subito, iniziate da una parola ripetuta lentamente. E' o sono giusti gli accenti? (imparate, se non lo sapete già, a consultare il dizionario e a diversificare l'accento acuto da quello grave - molti non sanno nemmeno che esistono! magari imparate anche a leggere la scrittura fonetica, QUESTI SONO STRUMENTI DEL MESTIERE, non arzigogoli per fanatici!); si comprende, arriva a destinazione il SIGNIFICATO? La parola è formata da tanti suoni, ma se non si dà credibilità al significato unitario, resta rumore, è come parlare in una lingua sconosciuta! Solo successivamente si passi a dire queste stesse parole con una intonazione; all'inizio una intonazione fissa (una nota comodissima). L'intonazione fissa non dovrà però creare "fissità", cioè non un canto stereotipato, cantilenante, noioso, ma dovrà sempre vincere la forza della parola, quindi, con o senza intonazione, ciò che deve passare dovrà sempre essere il contenuto. Non si vuol dire con questo che si deve rendere la parola piena di espressività, di chissà quali effetti per renderla efficace, perché in questo modo la si renderà meno credibile, costruita, superficiale e artefatta. La parola deve essere semplice, diretta, franca e sincera. Sincera non significa che dobbiamo PROVARE qualcosa. Se dico "amore", non è che devo essere innomarato, ma devo dirlo con una scioltezza che consenta a chi ascolta di cogliere che non ho detto "odio" o qualunque altra parola, ma allo stesso tempo non è necessario che senta in me l'insorgere di un sentimento; quello è un tema più elaborato che si lascia all'arte del canto o della recitazione. La perorazione pertanto è: lasciate le astrusità meccanicistiche, tornate alla semplicità e alla dimensione umana, alla dimensione volitiva ed esercitatevi con quella. Con i mattoncini potrete costruire il Colosseo, la Muraglia cinese, immensi acquedotti!

2 commenti:

  1. Bellissimo post.
    Già, la semplicità....
    Io credo di aver raggiunto un buon livello grazie proprio a questa parola che per funzionare però ha bisogno prima di un lungo (almeno per me lo ha avuto) periodo di disintossicamento, di una riflessione introspettiva vera, sincera. Cosa vogliamo nella realtà? E' inutile continuare a cercare la risposta nella semplicità se prima non ci "sgrassiamo" noi da tutte le incrostazioni, le convinzioni, gli assolutismi, i pregiudizi che abbiamo non solo per il canto ma soprattutto nei confronti della vita... di ciò che relamente vogliamo diventare, crescere, sviluppare. Il percorso di crescita deve essere o meglio può essere fatto solo se c'è questa volontà di imparare con umiltà e sincerità a confrontarci quotidianamente con gli altri, cercando di capire soprattutto i nostri limiti ed accettando nella semplicità un modus vivendi che ci aiuterà a vivere meglio e quindi a riconoscere nel canto, nella voce, nei suoni, ciò che stiamo diventando. se i nostri stereotipi non vengono demoliti ricostruiti nella semplicità rimarranno tali e l'illusione rimarrà tale. Siamo disposti a farci anche del male, a rimboccarci le maniche e costruire duramente questo percorso così arduo? Semplicità, una parola che a volte può sembrare anche sinonimo di ingenuità in questo mondo, ma è invece, per me, equivalente alla forza, alla vera energia che c'è e forse abbiamo perso, in ognuno di noi.

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  2. Sacrosante verità, caro Salvo. Ho scritto più volte che la semplicità è la cosa più difficile da conquistare, e tu hai descritto molto accuratamente in cosa consiste questa difficoltà, che io trovo realizzata in molti cantanti del passato, e trovo molto assente in quelli odierni, almeno mi pare, nella quasi totalità. Sentire Lauri Volpi che tuona contro insegnanti e giovani presuntuosi, non dà il vero senso della sua umiltà, che invece si percepisce quasi sempre quando canta (quando non lo faceva steccava, e ben gli stava!). L'umiltà deve essere, giustamente, nella vita, ma in primis nei confronti dell'arte, della nostra arte, verso cui siamo microbi, e che possiamo rappresentare solo se sappiamo percorrere con pazienza e umiltà quel percorso che ci porta ad essa. E' un discorso da pazzi, oggi, lo so, ma se c'è la spinta interiore che agisce non possiamo esimerci dal portarlo avanti e dal cercare di diffonderlo. Sarà per pochi, ma pazienza.

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