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giovedì, novembre 27, 2014

"Ognuno per diversa via..."

"Ognuno per diversa via", dice Colline nell'ultimo atto di Boheme. E questo ribadisco io. Nel delirio di internet tra siti, blog, forum, video yt, le occasioni e le sollecitazioni all'apprendimento del canto sono pressoché infinite. Se mi mettessi a cercare e commentare tutto ciò che si discosta o si avvicina alla linea della mia scuola, dovrei dedicarmi interamente a questa attività... e con quale finalità? Ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero, possibilmente entro i limiti della civiltà, e ognuno è libero di dar credito a chi ritiene più convincente, più aderente alla propria sensibilità e alle proprie idee. Può dispiacere sapere che qualcuno campa, pubblicisticamente, estrapolando gran parte del materiale da questo blog o dagli scritti di questa scuola, ma pazienza. Ho deciso che tutto ciò che appartiene al mio pensiero sulla vocalità e sull'insegnamento del canto non è un segreto e quindi intendo condividerlo con tutti coloro che hanno la possibilità e l'interesse di leggerlo, indipendentemente da possibili futuri progetti, o meno, di pubblicazione che non sarebbero comunque da considerare operazioni speculative ma solo di più ampia diffusione, e ognuno è quindi libero di commentarlo, purché non distorcendone il significato. Al di là di situazioni di curiosità, di legittimo interesse, di informazione e dialogo, ma solo se utile ai fini di una crescita individuale o collettiva, ribadisco il concetto: ognuno prosegua per la propria via, e buona fortuna a tutti. Io navigo il mio mare, e se naufragherò... mi sarà dolce!

martedì, novembre 25, 2014

Della virtù com'aquila sui vanni m'alzerò

Si lavora sulla tecnica canora ponendosi, nel migliore dei casi, su due piani: il centro vocale, detto "registro di petto", e la zona acuta, detta falsetto o testa. In molte scuole e teorie si fa riferimento a una zona di transizione detta "mista" (più che altro nelle donne). Poi per anni e anni si lotta con il passaggio di registro. Questo lo potremmo definire: il mondo piccolo, il regno della contingenza, delle necessità pratiche, del minimo indispensabile. Il salto consiste nel considerare che si può superare questa condizione per elevarsi a una regione superiore, quella del canto artistico, dove questa condizione contingente viene lasciata alla sua funzione di necessità fisiologica e di relazione quotidiana mentre il cantante che vuole elevarsi, grazie a un specifica disciplina respiratoria artistica, scoprirà che la vocalità va oltre questi due registri, si proietta verso la conquista di una "nuova" corda, una corda unica, senza passaggi, senza salti, senza scalini. Questa corda è davvero oltre, nel senso che sembra di dover "passare" a un ulteriore registro, quello della purezza, dell'assenza di materia, di ostacoli, di resistenze e attriti. Questo richiede naturalmente un consumo d'aria e un equilibrio fonico inimmaginabili; richiede molta fiducia, coraggio, volontà. Ma tutti ci potrebbero arrivare.
Il mio maestro mi faceva spesso cantare l'aria dell'Ernani "Ah, de' verd'anni miei", e mi spiegò che quella parola, credo ignota anche alla gran parte dei baritoni che l'hanno più volte cantata, i "vanni", indica la parte più estrema delle ali dell'aquila. Allora, cantanti, allievi, anche voi insieme alla vostra voce spiccate il volo, abbiate coraggio e virtù, ed elevatevi ed elevate la vostra voce spianata come le grandi ali dell'aquila e non richiudetele, ma percepite l'aria che sorregge voi come la vostra vocalità pura e libera, e abbandonate le sciocche, banali e effimere velleità del canto materiale e muscolare, incomprensibile e rumoroso. Dite e fondetevi con la grande musica che fu scritta insieme alle parole.

PS: noto che spesso c'è la tendenza da parte degli allievi a far convergere le vocali - compresa la I - nella parte centrale della bocca. In questo senso ben venga il sorriso che aiuta a distendere e orizzontalizzare (con le dovute cautele). Allora, in riferimento al tema, librare la voce con le ali aperte, divergenti, e nel cielo libero.

lunedì, novembre 24, 2014

La società specchio della mente

Quando penso al tempo che richiede lo studio del canto artistico, alla immensa pazienza, all'energia, alla ripetitività delle parole, degli esercizi, degli errori... mi vengono in mente quelle persone che ti dicono: "ma sei matto? ma non hai niente di meglio da fare?" La cosa impressionante è che spesso queste persone... sono i nostri genitori!! A volte lo dicono con un fine benevolo: evitare di farci finire in una situazione idealistica distaccata dalle necessità pratiche della vita; altre volte proprio perché non riescono a comprendere che una persona (un loro figlio!) possa essere attratto da passioni così poco redditizie, poco rassicuranti sul piano economico, pratico, politico, ecc. Ma quest'ultima condizione è molto diffusa a livello sociale. Gli artisti spesso sono additati come dei matti, degli originali, ma anche presuntuosi, inavvicinibili, scostanti, asociali, ecc. Non che in molti casi questo non sia vero, e in quasi tutti questi casi si tratti effettivamente di originali che con l'arte hanno poco o niente a che spartire, però si fa di tutt'erba un fascio, anche perché mancano del tutto i criteri per poter riconoscere e individuare chi veramente ha un rapporto diretto con l'arte e chi solo con l'estro fantasioso e chi, nei casi migliori, con l'abilità. Ma questo atteggiamento della società non è altro che lo specchio della mente, della mente di ognuno. Essa ha un ruolo e una funzione: deve occuparsi di tutte le problematiche del nostro corpo nella dura lotta alla sopravvivenza quotidiana. Noi non ce ne rendiamo conto, ma le funzioni sono veramente tante, e non per nulla l'uomo d'oggi va incontro a problematiche mentali non trascurabili. Come può il nostro cervello permettere che un'attività del tutto superflua alla vita pratica come può essere svolgere un'attività artistica possa assorbire tanta energia, come può essere l'impegno di esercizi quotidiani, studio, coinvolgimento corporeo e mentale? Ed ecco quindi che essa si comporti come certi genitori e come gran parte della società, cioè cerchi di allontanarci da quella attività, cerchi di convincerci sulla sua inutilità, sulla astrusità e utopia delle nostre passioni e dei nostri obiettivi.
Anche se noi lo consideriamo un elemento negativo, può subentrare una motivazione trainante: l'ego! L'ego o meglio ancora il narcisismo crea una motivazione forte per indurci a lavorare a una finalità artistica. Si tratta, a un certo punto, di realizzare il limite fortissimo di questa spinta e superarla per far vincere l'esigenza spirituale più profonda e avvincente... se c'è!

domenica, novembre 16, 2014

Il trattato - 13

Iniziamo la pubblicazione del secondo capitolo: La respirazione.

La respirazione applicata al Bel Canto, quale alimentazione dei suoni emessi da uno strumento (quello umano) opportunamente formato attraverso una seria e feroce disciplina (giacché lo strumento perfetto in natura non esiste mai), concorda con la respirazione fisiologica solamente in quanto azione intesa come scambio gassoso,
perché se noi vogliamo intenderla come alimentazione dei suoni, osserveremo che mentre la respirazione atta al Bel Canto è una conquista sensoria applicata a produrre suoni in purezza in uno strumento perfettamente formato e docile in tutto la sua motilità ed elasticità, ovvero non condizionato nella maniera più assoluta dall'istinto, la respirazione fisiologica (cioè quella istintiva o di relazione, idonea alla sopravvivenza della specie), per quanto tecnicizzata, quando viene utilizzata per alimentare i suoni vocali conseguenti una certa conformazione pseudo-strumentale segue la logica dell'azione istintiva stessa entro quei limiti di tolleranza elastico-motoria che sono propri dell'istinto medesimo
.
Il passaggio credo possa risultare molto chiaro nella sua stesura originaria; in ogni modo provo a esporla sinteticamente: il fiato fisiologico ha in comune con la respirazione artistica, cioè la respirazione che consente un canto esemplare, solo il materiale, cioè l'aria; lo studio condurrà a qualificare il fiato in modo da renderlo idoneo all'esigenza vocale. La tecnicizzazione respiratoria opera entro i limiti posti dall'istinto (tolleranza), cioè non può condurre a una assoluta libertà.
Questa tolleranza ha, ovviamente, dei limiti invalicabili soggettivi, perché vi sono esigenze comuni di sopravvivenza e condizioni esistenziali diverse che favoriscono o meno la sopravvivenza stessa. Quindi qualsiasi condizione esistenziale porta con sé una respirazione fisiologica relativa, una respirazione che è comunque difettosa se confrontata con quella da noi intesa come artistica.
Le differenze tra le persone coinvolgono sempre anche la respirazione, e questo spiega perché alcuni riescono a esprimersi vocalmente a buoni livelli già spontaneamente mentre altri, pur con tutta la buona volontà e anni di studio (tecnico), non riescono a esprimersi a livelli accettabili.
Con la respirazione artistica si possono ottenere suoni in purezza che non hanno e non possono avere un oltre per tutta l'estensione vocale; nella respirazione fisiologica, invece, il difetto è sempre più o meno in atto, anche se non evidenziato se non da chi ha sublimato l'atto. Ciò significa che, per ottenere una respirazione artistica atta al Bel Canto, si devono superare quelle condizioni di sopravvivenza comune che tendono a soddisfare l'esigenza respiratoria contingente di ogni singolo.
La frase è eloquente, ma nondimeno può sembrare iperbolica. In realtà non c'è alcuna contraddizione o esagerazione; "superare le condizioni di sopravvivenza comune" significa semplicemente che occorre sviluppare la respirazione, che conserverà naturalmente tutte le caratteristiche fisiologiche, ma perderà alcuni aspetti reattivi che rendono difficoltosa la fonazione in quanto non compresa nelle condizioni di vita contingenti. Sviluppare però non significa semplicemente "più fiato", cioè maggiore quantità, ma una qualità. Questa è la differenza significativa tra una scuola tecnica e una scuola artistica.
Per superare l'istinto è indispensabile sottoporsi alla disciplina.

mercoledì, novembre 12, 2014

Dell'allineamento

Ho già espresso questo concetto in una risposta, ma penso che sia degno di una collocazione più visibile. E' stata fatta una critica a questa scuola relativamente all'azione di "perfezionamento della pronuncia". Confermo che è così e non avrei niente da rivedere o modificare in merito a ciò; chiunque presti un po' di attenzione - e non mi riferisco a esperti di nessun tipo - a come si parla, si renderà conto che le abitudini, l'ambiente familiare, le cadenze dialettali o linguistiche, la pigrizia, le necessità legate a particolari ambienti di lavoro (scuola, cantieri, fabbriche, ecc.) non fanno altro che distorcere e rendere la pronuncia difettosa, carente, povera. Dunque l'azione correttiva non è solo necessaria, ma indispensabile. Però chi critica può obiettare - come obietta - che l'azione correttiva può togliere la spontaneità, la naturalezza, la sintonizzazione tra gli apparati. Vero, ma non necessariamente è così; si tratta di farlo nel modo corretto, e cioè non cambiare le proprietà fondamentali del parlato, e quindi non trasformarlo in declamato o parlato "impostato", cioè non renderlo artificioso, irreale, imitativo, falso nel suono quanto nel significato, ma, anzi, rendere l'allievo sempre più consapevole del rapporto tra significante e significato. Adesso posso dirlo anche meglio.
Ho, in diversi post, scritto che la nostra mente possiede già la vera e corretta pronuncia; i bambini, ad esempio, emettono le vocali con molta maggior disinvoltura, genuinità di quanto non si faccia in seguito; questo anche perché il loro fiato è molto più tonico e adeguato e tutta la struttura muscolare e dei tessuti elastica e pronta. In definitiva, quindi, noi ci troviamo a fare un lavoro che possiamo definire di ALLINEAMENTO della pronuncia operativa, che si troverà in una condizione di impoverimento per le motivazioni suddette, a quella ideale, cioè mentale. Detto ciò, preparatevi a lavorare per almeno un paio d'anni a condizioni durissime e sotto una abilissima guida, perché questo concetto elementare è uno dei più difficoltosi da mettere in pratica e raggiungere.

giovedì, novembre 06, 2014

Il limite melodico

Dire, pronunciare una frase senza intonazione ci pone, solitamente, in una dimensione di libertà che non riusciamo a ritrovare nella stessa frase melodicizzata. O meglio: non sempre. Ci sono brani ai quali si accede con una certa facilità e una certa tranquillità. Questo è dovuto per lo più alle nostre caratteristiche personali. Si potrebbe dire che ognuno di noi ha una sua "tonalità" soggettiva, una propria tessitura di elezione e così via (per la stessa ragione troviamo brani agevoli ed altri ardui) ( è anche vero, però, che ci sono degli standard, gli stessi che determinano le "classi" vocali (tenore, baritono, ecc.), che rendono "scomodi", difficili, perigliosi determinati passaggi, piuttosto unanimemente riconosciuti). Questo si comprende anche nei primi esercizi e, peggio, tra coloro che hanno un cattivo studio alle spalle. fate dire con linguaggio parlato una qualunque frase, poi la fate intonare e perderà immediatamente ogni traccia di spontaneità, di chiarezza, di intenzionalità. Da qui possiamo trarre qualche indicazione didattica. Due, direi, sono le conseguenze interessanti da desumere: qual è l'area tonale più indicata al soggetto e come fare a migliorare la "posizione" (avanzata) del canto dove questo non avviene facilmente. Sono efficaci ed utili esercizi il far dire frasi con dinamiche molto diverse, dal bisbigliato al detto ad alta voce, come se si parlasse a qualcuno che si trova dall'altra parte della strada. Il passaggio successivo sarà quello di adeguare a ciascuno di questi esempi a uno nota o comunque a un'area tonale. In questo modo la facilità e la spontaneità del parlato semplice potrà trasferirsi alla melodia.