CHE IMPORTANZA DA’ AL VELO PALATINO O PALATO MOLLE NELLA SUA DIDATTICA? COME LO SPIEGA AI SUOI ALLIEVI?
Non serve sottolineare l’importanza del velo palatino, se non per curiosità di informazione anatomica. Il suo movimento è automatico, a seconda dei fonemi. È un problema che non mi pongo. Se uno canta correttamente, il velo palatino si solleva e si appoggia alla parete della faringe. Ritengo sia dannoso far pensare agli allievi ai problemi del velo, dei registri, e del passaggio. Perché creare i problemi per poi inventare ridicoli e dannosi espedienti per risolverli? Bisogna guidare l’allievo verso la strada giusta, senza dirgli: “Qui stai attento perché c’è un pericolo!”. Così si ottiene solo l’effetto contrario. Si rischia di creare delle tensioni, che sono controproducenti al lavoro. È già spesso difficile controllare l’emotività di alcuni allievi. Ci vuole un po’ di buon senso.
COSA PUO’ AFFERMARE SUI PASSAGGI DI REGISTRO?
La voce è uno strumento unico. Se viene proiettata subito sulle labbra e appoggiata sul fiato, nessuno si accorge di qualche disomogeneità. I registri si evidenziano in chi parte dalla voce di petto, la voce nella tessitura grave, e pretende di completare l’estensione con lo stesso spessore delle corde vocali. Chi passa la voce subito sul labbro non troverà ostacoli, non sentirà né passaggi né registri. Eliminando il concetto di registro, si eliminano i passaggi. Possiamo dire che la voce deve essere tutta ‘passata’. Per «voce passata» intendo voce subito appoggiata sulle labbra, particolarmente sul labbro superiore. Tutto il resto lo fa il fiato, come diceva Schipa, seguendo la normale articolazione di tutti i fonemi. Tutte le vocali possono essere eseguite su tutta l’estensione, nei limiti naturali. Ci si basa sulla facilità dell’emissione, privilegiando la lingua italiana, che ha vocali pure. Quindi è la più idonea alla modulazione del canto.
Le vocali aperte /a/, /è/, /ò/ emesse con risonanze di gola avranno difficoltà a salire nella zona acuta. È così che nasce il passaggio. Imparando a sostenere anche le vocali aperte e ad omogeneizzarle con le altre vocali, si elimina il problema e la voce sarà omogenea su tutta l’estensione. Certo è possibile che ci siano delle zone dell’estensione più problematiche di altre, e ciò varia da individuo a individuo e dal tipo di voce, ma il modo di emissione sarà sempre lo stesso. Con i miei allievi non ho mai avuto grossi problemi ad omogeneizzare i suoni in tutta l’estensione vocale. Appoggiando la voce correttamente fin dall’inizio il problema viene aggirato, non c’è.
CHE COSA SIGNIFICA PROIETTARE IL SUONO?
Significa raccogliere sulle labbra gli armonici che si formano in bocca e sostenerli continuamente col fiato. Significa non trattenere il suono in bocca, ma darlo completamente all’esterno, affinché si propaghi nello spazio. La voce si deve sentire in tutti gli angoli del teatro. Magda Olivero, nel filmato «The art of singing», riporta un’espressione, che anch’io sentivo sempre, di Tito Schipa: «Le parole si formano sulle labbra e il fiato le fa correre». Tutto il resto è confusione e zavorra. È più facile spiegare questo concetto, come tutto il resto, dicendo quello che non si dovrebbe fare. È difficile descrivere i suoni con le parole: sarebbe come voler spiegare i colori a un cieco. Bisogna sentire i suoni, perciò serve un esempio pratico. Spesso non basta neanche l’esempio: bisogna provarli su noi stessi. Ecco perché tutti i trattati di canto non servono a nulla. Sono utili, se corretti, solo a confermare ciò che non si deve fare. Bisogna partire dal principio che le vocali /è/ ed /i/, le vocali strette, sono quelle che aiutano a proiettare il suono. Ovviamente questo vale per i vocalizzi. In esecuzione queste vocali verranno raccolte ed omogeneizzate con le altre vocali. Quasi tutti ignorano o trascurano completamente l’importanza delle labbra, dei muscoli orbitali. Sono i muscoli preposti all’articolazione delle labbra, che vanno sviluppati con l’esercizio mirato. Questo vale anche per la logopedia, alla quale è strettamente legata la mia tecnica. Per recitare e parlare si mettono in atto le stesse funzioni. Il canto non è che un recitativo modulato. Seguendo questa didattica si avrà una pronuncia perfetta, di qualsiasi lingua e di qualsiasi fonema.
PUO’ DESCRIVERE UNA SUA PRIMA LEZIONE TIPO?
Innanzitutto la respirazione è fondamentale. Si parte da questa. Spiego di allargare la base dei polmoni e di provare per esempio a emettere un fischio prolungato. Si attivano in questo modo le labbra e si crea un vortice sonoro. Chiedo all’allievo che cosa ha sentito, se si è accorto di qualche impegno addominale. Di solito sentono una tensione sull’addome. Allora spiego loro che la tensione si ha nei tre principali muscoli addominali addetti alla espirazione (muscolo retto e due laterali obliqui). Al bisogno mostro un disegno anatomico. Spiego il collegamento tra questi muscoli e il diaframma, che accompagna automaticamente i polmoni nella loro posizione iniziale.
Capito questo, faccio emettere un suono centrale con la vocale /ó/ (/o/ stretta), oppure con la sillaba «bó», per dare l’idea del suono labiale. Si comincia con una semplice scaletta di cinque note, tenendo conto che la respirazione sia come quella del fischio di partenza. A seconda della ricettività dell’allievo si passa gradatamente alla vocale /é/ (/e/ stretta). La /é/ di partenza si esegue appoggiando morbidamente l’apice della lingua sui denti incisivi inferiori, tenendo la gola rilassata a sbadiglio, senza temere di sorridere troppo. È il sorriso che forma la vocale /é/ e anche la vocale /i/, che sono naturalmente vocali chiare ed aiutano la proiezione del suono lontano. Sono la base del concetto di proiezione. Sono vocali naturalmente più udibili perché composte di armonici più acuti. Il primo vocalizzo è formato dalla successione di /ó – /é/ – /ó/: la /ó/ per ricordare l’appoggio del fiato sulle labbra e la /é/ per capire la proiezione del suono nello spazio esterno.
Successivamente, quando l’allievo ha digerito questi principi fondamentali di collegamento tra fiato e appoggio labiale, si aggiungono le altre vocali: /i/ ed /u/, e solo in seguito le vocali aperte /ò/ – /è/ – /a/, che sono le più rischiose in quanto abitudinariamente più appoggiate in gola. Da qui parte il processo educativo che porterà alla corretta emissione, attraverso la rieducazione dell’orecchio. È un lavoro delicato e paziente. Se si seguono subito tutte le regole per un’emissione corretta, l’educazione può essere fatta anche in breve tempo, a seconda dei casi, ma sempre sotto la supervisione del maestro, che controllerà ogni minima inflessione scorretta del suono. È importante che anche il maestro abbia un buon orecchio, ma un orecchio specifico per riconoscere dal suono che viene prodotto il comportamento di tutto l’apparato. Un buon maestro riconosce subito se una voce è danneggiata più o meno gravemente: se ha bisogno di una semplice rieducazione, unita al riposo, o se necessita di un intervento foniatrico.
QUALI RISULTATI HA OTTENUTO E STA OTTENENDO CON LA SUA DIDATTICA?
Un cantante in poco tempo apprende la tecnica. Tutto il resto del tempo verrà dedicato allo studio del repertorio, a partire da tutte le materie complementari, quali il solfeggio, l’arte scenica e la cultura musicale in genere. Io ‘costruisco’, o rigenero, lo strumento «voce», e ciò è possibile nel giro di pochi mesi o in un paio d’anni a seconda dell’allievo. Dipende dalla situazione di partenza. Se ci sono tanti difetti da correggere, i tempi si allungano. In pochi anni o in pochi mesi riesco a mettere in condizione il cantante di esibirsi in teatro a ottimi livelli. Spesso si rivolgono a me cantanti in carriera, affaticati dall’intensa attività e che vogliono riabilitarsi. Purtroppo mi è capitato di vedere miei allievi, già avviati ad una brillante carriera, essere completamente snaturati da altri maestri o pianisti accompagnatori. Questi giovani cantanti si presentano da questi individui che sentono la loro voce pronta. Cominciano a fargli confusione con altri termini e cercano di snaturarli. Tolgono la loro proiezione, costruita magari faticosamente. Spesso succede che gli addetti ai lavori non se ne intendano affatto di voci, in quanto è una disciplina particolare e delicata. A volte non riconoscono un suono ben proiettato, perché ad un orecchio inesperto alcuni suoni possono sembrare troppo pungenti, penetranti da vicino. Quegli stessi suoni, invece, ascoltati in un teatro, o in un altro ambiente consono, sono splendidi e assolutamente udibili, perché costruiti per poter superare la barriera dell’orchestra. Io educo i miei cantanti a proiettare tutto il suono fuori: così le voci diventano grandi. Dico loro di pensare ad uno spazio grande, lontano. Bisogna sempre proiettare la voce ricercando quel timbro, quello squillo, indipendentemente dall’ambiente in cui ci si trova. Dico sempre agli allievi di non ascoltarsi. All’inizio, per rieducare l’orecchio, dico di non ascoltarsi per niente, di cercare solo il suono sul labbro. Quindi sarebbe preferibile studiare in un ambiente sordo. Col tempo si impara ad ascoltare la voce che arriva dall’esterno, non quella udita dall’orecchio interno. Se si vuole sentire la propria voce reale, bisogna imparare ad ascoltare il ritorno della propria voce, senza fare affidamento su percezioni interne che sono fuorvianti, e possono essere dannose se mal interpretate.
SECONDO LEI, QUAL E’ LA CAUSA DELLA TANTO LAMENTATA MANCANZA DI GRANDI CANTANTI?
Prima di tutto si è persa la tradizione del canto. E, molto peggio, non ci sono più maestri che lo sanno insegnare. Insegnare canto è molto difficile. È una disciplina molto delicata. Non è come imparare a suonare uno strumento. Per imparare a suonare, per esempio, il violino, la prima cosa che si fa è di andarsi a comprare lo strumento. Lo trovo lì, già pronto. Agli strumentisti può sembrare più facile il mestiere del cantante, perché si nasce con la voce. In realtà il cantante si devecostruire la voce, come se dovesse costruirsi da solo il suo strumento. Inoltre se si rompe una corda di un violino, basta sostituirla. Se un cantante danneggia le sue corde vocali, può essere irreparabile. Non basta nascere con una bella voce; non basta essere intonati. Il cantante per poter interpretare al meglio il repertorio, deve fare un lungo lavoro sul proprio strumento. Non dico che lo studio di uno strumento sia meno lungo e difficile, ma solo che un difetto, un errore nello studio, è più facile da togliere. Un insegnante di violino dirà all’allievo di mettere la mano in un altro modo, di tenere l’archetto in un’altra maniera e gli farà vedere come si fa. Io non posso dire ai miei allievi di ‘mettere’ il suono in un modo o in un altro, non posso mettergli le mani dentro la gola per fargli vedere quello che sta sbagliando. Poi c’è un problema terminologico di fondo: il fatto che è impossibile descrivere esattamente un suono a parole. Forse mi sono ripetuto più volte, ma per insistere sugli argomenti che più mi stanno a cuore. E poi “repetita iuvant”, soprattutto insegnando.
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