Ogni tanto mi consolo a leggere che anche qualcun altro ha intuito almeno parte delle grandi scoperte del M° Antonietti. Grazie all'amico Bohemien, che me l'ha segnalato, voglio riportare parti di un'intervista al M° Renato Bardi Barbon. L'intera intervista è rintracciabile sul sito: http://tatianacarpenedo.altervista.org/tesi.html
DA QUALI ESPERIENZE DERIVA LA SUA DIDATTICA?
Da allora, dopo quello che mi era accaduto, che avevo subito in prima persona, raccolsi tutte le esperienze che avevo avuto e tentai di rigenerarmi la voce, ma non riuscivo più a garantire la resa per un’opera intera. Conobbi la signora Enza Ferrari, che mi diede di nuovo fiducia. Con lei feci altri concerti, ma sentivo che non ero più lo stesso. Ciò che avevo subito fu un danno irreparabile. Pian piano mi ero cronicizzato. Così, cercando di rigenerare la mia voce, ho analizzato tutti i suggerimenti che mi avevano nuociuto. Anche i più grandi cantanti spesso non riescono ad esprimere la metodica della loro emissione, disorientando l’allievo. Quello che mi veniva chiesto spesso andava contro la naturalezza della mia emissione, che era stata tanto apprezzata proprio dalla più grande interprete pucciniana, la signora Dalla Rizza. Sentivo che la mia voce veniva snaturata, mi sembravano forzature. Ogni cantante cercava di farmi imitare se stesso. Sentivo che questo non mi era congeniale. Dovevo andare contro la mia natura per imitare la loro. Ma volevo a tutti i costi capire. Ero curioso di conoscere tutti gli insegnanti anche per un interesse scientifico: volevo andare a fondo del problema, avere il maggior numero di informazioni che non fossero empiriche. Quella che mi ha dato più informazioni da questo punto di vista è stata la signora Bagagiolo, che ha aiutato ad assecondare la mia natura. Da questo sono partito per la elaborazione della mia didattica.
È stato il seme che ha fatto germogliare le mie intuizione future. Teneva molto alla schiettezza della pronuncia. Lei si era occupata anche di canto gregoriano: aveva rigenerato le voci dei frati di San Giorgio Maggiore, riscuotendo calorosa approvazione dal priore Pellegrino Ernetti.
QUAL E’ IL PRECETTO FONDAMENTALE CHE IMPARTISCE AI SUOI ALLIEVI?
La prima cosa è di avere passione. Se un allievo ha passione, metterà anche l’impegno dato dalla volontà di raggiungere dei risultati. Inoltre raccomando di essere più naturali possibile. La migliore insegnante è la natura. Bisogna seguire ciò che viene
più naturale, ovviamente sotto una guida che sappia riconoscere subito eventuali errori. Per l’audizione mi bastano due suoni senza nessuna formalità. Poi pian piano comincio con dei vocalizzi. Sono sicuro che una laringe normale, come può parlare può anche cantare. Sono le stesse funzioni, lo stesso apparato. È questione di educazione. Già ascoltando qualcuno parlare si possono capire molte cose.
QUALI SONO I PROBLEMI PIU’ FREQUENTI CHE INCONTRA CON GLI ALLIEVI A LIVELLO VOCALE?
Incontro problemi soltanto con allievi che provengono da altre didattiche. Educare una voce vergine è relativamente facile. Non ha di solito abitudini scorrette e, se ne ha, sono facilmente rieducabili. Nella rieducazione dopo altri tipi di studi, spesso scorretti, i problemi invece sono innumerevoli. Devo eliminare i difetti e i riflessi condizionati provocati dai precedenti insegnamenti. Quasi sempre l’orecchio interno è deformato da cattive abitudini, come ad esempio in quelli che sono abituati ad ascoltarsi troppo e a fare troppo affidamento sulle proprie percezioni interne. Le
proprie sensazioni possono ingannare. Certi insegnanti cercano di far sentire all’allievo le stesse sensazioni che essi stessi percepiscono, ma ciò è fuorviante, perché ognuno sente le cose a proprio modo.
Per esempio, Corelli era un grandissimo tenore, ma posso affermare che non è stato un
buon insegnante: non riusciva a trasmettere le sue migliori qualità agli allievi, cioè lo squillo e la proiezione dei suoni. Al contrario incuteva la paura degli acuti e faceva affondare troppo. Ha snaturato il lavoro che avevo fatto con tre miei tenori, che avevano già debuttato da protagonisti nei maggiori teatri. Questi allievi, cercando di sentire quelle vibrazioni nel punto preciso indicato dal maestro, finirono con lo spingere e gravare sulla gola. Infatti quello che mi sorprese nella didattica della Bagagiolo era proprio la leggerezza estrema dell’emissione. Molti allievi tendono a spingere, spesso non per loro innata tendenza, ma nella disperata ricerca di fare quello che gli viene chiesto. Molti dei miei allievi provenienti da altre didattiche mi dicono che è stato insegnato loro di cercare il suono in maschera. Io spiego loro l’inutilità del concetto di maschera.
COSA INTENDE PER «MASCHERA»?
Per me maschera significa mandare il suono laringeo nelle cavità nasali. Questo è l’esito a cui arrivano quasi tutti gli allievi ai quali viene insegnato di mandare il
suono in maschera. Inoltre c’è un grosso equivoco di natura fonetica, che ha fatto supporre in tempi passati che le cavità nasali fossero delle cavità di risonanza utili ai fini del canto. Anche Lauri Volpi credeva che i seni frontali fossero l’origine del suo squillo portentoso.
Ma studiando questi concetti di fonetica con il prof. Croatto, egli mi confermò che
queste cavità sono ininfluenti per la sonorità del canto. Quello che viene percepito a ridosso dei seni paranasali sono solo sensazioni interne date dalle vibrazioni
naturali causate delle onde sonore che vanno a sbattere contro le pareti muscolo-scheletriche. Non c’è nulla di eccezionale in tutto questo. Non bisogna far riferimento su tali percezioni. Questa è la grande pericolosità: ascoltare se stessi senza proiettare la voce all’esterno. Alcuni allievi arrivano da me talmente fuorviati che abbandonano la mia didattica perché non sentono più la propria voce. Sembra loro di cantare nel vuoto, perché abituati ad avere riferimenti interni.
Dalla mia esperienza ritengo l’emissione in maschera un insieme di idiozie. Buttare il suono nel naso è un processo non naturale e dannoso. Attiva coordinazioni innaturali. Negli anni ’40 l’abbé Rousselot, tamponando con garza le cavità nasali e cervicali, ne ha potuto dimostrare la assoluta ininfluenza per la proiezione del suono. Le cavità cervicali non fungono da risuonatori. Lo stesso dott. Fussi, che è stato allievo di Croatto, le ha definite come la «marmitta» della voce.
È dannoso utilizzarle come risuonatori perché attraverso le tube di Eustachio
percepiamo risonanze interne che non vengono proiettate nello spazio e non vengono
avvertite dall’orecchio esterno, con la conseguenza che l’esecutore sente moltiplicare all’interno le proprie sonorità laringee illudendosi di trasmettere la stessa potenza e lo stesso squillo all’esterno. La voce diventa sorda, opaca e non proiettata nello spazio circostante. Per questo motivo insegno all’allievo a non ascoltarsi. C’è un processo di educazione dell’orecchio che bisogna fare. Quello che percepiamo dall’orecchio interno non è il suono reale della nostra voce nello spazio.
Infatti, la prima volta che una persona sente la propria voce registrata non la
riconosce. Bisogna insegnare all’allievo ad ascoltare invece la voce che viene dall’esterno. Il cantante deve far sentire la sua voce agli altri, non a se stesso. La propria voce deve adattarsi allo spazio circostante, esterno, perché la voce è tutt’uno con lo spazio in cui viene proiettata. [... continua]
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