Poco fa stavo rispondendo a un "fuoco di fila" di domande di un mio allievo, e con la solita volontà di trovare sempre frasi utili a spiegare i concetti che stanno alla base del grande canto, mi è venuta questa frase: "noi trasformiamo il nostro fiato in un muscolo". E' una frase davvero fortunata, che non avevo ancora escogitato, nonostante il suo senso sia sempre nelle mie dichiarazioni.
Dunque, noi sappiamo che la cosa più difficile nell'educazione del fiato, è l'eliminazione della componente muscolare faringea, che interviene, direttamente o indirettamente (stimolata dalla reazione dell'istinto, e quindi dal sollevamento diaframmatico indotto) nella fonazione a compromettere l'ampiezza e la scorrevolezza dell'emissione. Fiato e diaframma, nel canto, diventano tutt'uno. Non si può parlare di fiato come di qualcosa a sè stante, giacché a noi non interessa: l'aria è una componente che fisiologicamente non ha qualità utili per il canto. Ciò che rende importante il fiato nel canto è il diaframma, così come per un violinista non è l'archetto in sè, che è immobile, ma il braccio che lo muove. Dunque il diaframma, se opportunamente e artisticamente educato, dona al fiato quelle qualità che lo rendono archetto perfetto di uno strumento che diventa a sua volta perfetto. Questa trasformazione, possiamo anche dire che rende il fiato un "muscolo", ovviamente virtuale, che prende il posto della muscolatura reale della zona glottica, che deve invece essere abbandonata (parola pericolosissima, mi rendo conto, ma non sostituibile), per diventare "tubo vuoto", passivo, elastico e plasmabile proprio dal "muscolo-fiato", che possiede, se lasciato lavorare, tutte le qualità per poter costruire quello strumento perfetto da tutti agognato.
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