Qui si può ascoltare un esempio forse anche più chiaro del precedente. E' il tenore La Scola nell'aria "e il sol dell'anima" dal Rigoletto, edizione dir. da R. Muti. Il tenore, qui ancora piuttosto giovane, non è a suo agio nel settore acuto, e lo si sente su un po' tutte le note più alte. Però è molto evidente che quando la frase musicale si "arrampica" decisamente sulle vette, la gola diventa una "cannuccia" e il suono risulta molto stridulo, perde colore e facilità, e si avverte uno squilibrio anche di tipo fisiologico, per cui ci sono come piccolissimi "singhiozzi" che denunciano la carenza d'appoggio. Il fiato-diaframma dovrebbe possedere l'energia per alimentare tutti i suoni nella gamma di un cantante completo. Quando l'energia è insufficiente, può accadere che il suono: 1) si ingoli, 2) si stringa 3) vada indietro 4)"stecchi". L'ingolamento permette al soggetto di appoggiare una parte del suono sulla muscolatura faringea. Questo imbruttisce e limita la sonorità, che però alle orecchie di molti risulterà ricco perché il suono prenderà risonanze tipicamente gutturali, brutte per molti, ma non per tutti. Però questo permette anche di mantenere una parte di risonanze e armonici della cosiddetta "maschera" e la gola può mantenere una discreta ampiezza. Nel secondo caso, cercando di evitare la gola, ma non avendo l'educazione per mantenere l'appoggio corretto e completo, la gola si stringe. Per la verità anche questo può definirsi un suono ingolato, però qui prevale il senso di un suono che perde ampiezza, sonorità, bellezza e ricchezza, e mette a disagio l'ascoltatore, perché risulterà invece povero, stridulo, "impiccato". In altri casi la "stampella" alla carenza d'appoggio può consistere nel lasciare che il suono vada indietro, cioè perda la posizione d'appoggio dietro ai denti anteriori superiori. Il suono risulterà opaco e povero. Anche questo è un suono ingolato, ma meno evidentemente. Quando l'appoggio risulta decisamente precario, subentra la stecca.
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