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giovedì, luglio 21, 2011

Cos'è la libertà

A proposito di libertà in musica, e quindi nel canto, molti ritengono che significhi semplicemente: far ciò che si vuole. Ebbene no, non è questo, e manco gli si avvicina. Pensando di fare ciò che si vuole in realtà non si riesce a fare niente, perché manca qualunque mezzo o strumento per realizzarlo. Accontentarsi ovviamente non può esaudire alcun sogno. Mi spiego: se prendo un bambino e lo metto davanti a un pianoforte, lui comincerà a pestare a caso i tasti. Qualcuno potrebbe anche pensare che fa ciò che vuole, il che sotto un certo punto di vista è vero, ma è incapace di fare qualunque cosa desideri; se ad es. volesse riprodurre un motivo già sentito, dovrebbe arrendersi all'evidenza di non riuscire, o provarci, e rendersi quindi conto che non è affatto libero, ma impedito, quindi prigioniero di ciò che lo lega e non gli permette di fare ciò che vuole veramente. Se questo pensiero può essere abbastanza semplice e condiviso a livello tecnico, non lo è per niente a livello "interpretativo". Quasi tutti sono convinti che bisogna essere ligi alla pagina, ma ci debba essere un margine di interpretazione personale. Questo margine, secondo molti, consapevolmente o meno, ha un lasco di tolleranza molto grande. Ricordo un giorno in cui stavo dirigendo un brano e insistevo affinché una sovrapposizione di terzine e quartine fosse il più preciso e quindi evidente possibile, e uno strumentista, anche molto "navigato" mi riprese dicendo: "ma così uccidi l'interpretazione". Secondo una vecchia concezione, l'interpretazione era "non fare" esattamente ciò che c'era scritto, ma dargli quel tanto di imprecisione che permettesse di esprimere in questo modo i 'tuoi' sentimenti. Ovviamente è un punto di vista del tutto erroneo e da rifuggire, ma direi oggi pressoché abbandonato per lo meno a un livello professionale o semi professionale. Ma, a questo stesso livello, permarrebbe comunque ancora un largo spazio dove il musicista esecutore dà il proprio contributo soggettivo. E l'opinione pubblica avalla questo meccanismo ritenendo che se non fosse così la musica sarebbe noiosa e tutta uguale. Niente di più falso e inesatto. Il brutto è che i musicisti, quelli "famosi", importanti, non sanno o fanno finta di non sapere che le cose non stanno in questo modo. Però: ignorante il pubblico, ignorante, o finto-ignorante, il musicista, si stabilisce una sorta di "patto scellerato", per cui va bene così; a goderne i frutti, ovviamente sono le case discografiche. Ma a farne le spese sono i veri musisisti, quelli che con gravi sacrifici hanno realmente percorso la strada della Verità, e che andando in controtendenza si ritrovano spesso derisi, vilipesi e messi in minoranza. Ma lasciamo stare questo discorso, magari lo riprendiamo meglio in seguito. Come stanno le cose? Le cose stanno che quel modo di sentire e gestire la musica è del tutto superficiale. Ciò significa che deve subentrare un altro livello, più profondo, quello della coscienza. Appena si accenna a questo, subito spavento e presa di distanza, come se si fosse detto: guardate che per ascoltare la musica ci vogliono due lauree e tre master! No, per niente, quella che ci vuole è solo un po' di disposizione, di buona volontà. Ma se si comprenderà cos'è la libertà, per molti si scatenerà la voglia di andare avanti e sapere tutto. Ora mi fermo, nel prossimo post vedrò di dare qualche delucidazione per lo meno legata al canto.

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