Non farò in questa occasione un'analisi musicale di un brano, ma un'analisi vocale, stimolata da Jack con cui ho intrapreso una discussione sui registri. La proposta cade su un brano particolarmente acuto, "Je crois entendre encore" dai Pescatori di perle di G. Bizet (in italiano "mi par d'udire ancora", celebre la registrazione di Gigli), e sulle esecuzioni di Alain Vanzo e Alfredo Kraus. Il nocciolo della questione riguarda l'uso di registri definiti falsetti, falsettoni, testa e via dicendo. Siccome l'uso di questa terminologia da sempre porta scompiglio ed equivoci, cercherò di spiegare queste due esecuzioni evitando di utilizzarle e basandomi propriamente su ciò che accade. Iniziamo da Alain Vanzo.
Attacco pulitissimo e facilissimo. La prima domanda da porsi è: è una voce femminea, quella che udiamo? No, è voce estremamente facile, ma non femminea; non ci ricorda sopranisti o contraltisti imperanti nel mondo dell'opera barocca. Questa è una voce che fa uso praticamente di solo fiato, che sfiora e mette in vibrazione le corde senza alcun apporto di intensità, quindi esse si trovano in uno stato particolarmente rilassato, pur essendo in zona acuta, perché non vi è "peso", cioè intensità. Questo modo di cantare è straordinario, molto difficile da conseguire (alcuni lo hanno in natura, ad esempio talvolta lo si sente nel giovanissimo Di Stefano, ma lo si perde con altrettanto facile rapidità) e soprattutto difficile da mantenere su tessiture impervie. Ascoltando le prime frasi da Vanzo, si può godere del meraviglioso leggerissimo appoggio, che permette alla gola di rimanere ampia e rilassata, il che produce suono sempre bello, vivo, espressivo e controllato. La pronuncia è chiara, precisa, e senza articolazioni dure, ma quasi sempre aerea, esterna; giusto in qualche discesa (de ramiers) si nota un certo indurimento, ma di poco conto. Purtroppo anche lui ha dei limiti. La tessitura che riesce a reggere in quella condizione quasi magica finisce intorno al La3. Il primo si naturale (ivresse) non appartiene più allo stesso tipo di emissione precedente, si è perso l'appoggio. Essendo un valido ed esperto cantante, egli fa un suono piccolissimo, particolarmente suggestivo, ma se lo ascoltate attentamente noterete la differenza. Infatti per proseguire si interrompe e riprende (nonostante ciò un piccolo "scalino" si sente ugualmente). Anche nel secondo Si capita la stessa cosa, la voce (qui sì) diventa femminea, e nuovamente è obbligato a interrompere prima di riprendere la melodia. Anche il La di Charmant perde appoggio (e quindi timbro), e quindi conclude senza il do, che (apprendo adesso) non è previsto. Passiamo a Kraus.
Fin dall'attacco, Kraus, pur instradandosi anch'egli verso un suono leggero, cerca più corpo. E' immediatamente in difficoltà, non regge sul fiato l'innalzamento di tessitura, ed è costretto a stringere e quasi gridare la E finale di "encore" e mantiene questa emissione piuttosto fibrosa sul "cacher"; nonostante la tessitura torni giù, la E non è meno spinta, però è evidente che "palmier" è sulla stessa emissione sul fiato di Vanzo. Quindi il mio pensiero è che cantino esattamente allo stesso modo, ma Vanzo ha una libertà, cioè un appoggio sul fiato, che Kraus, benché eccellente vocalista, non possiede. Devo lamentare, peraltro, da parte di Kraus un fraseggio e un legato assai più deficitario, discontinuo di quello di Vanzo. L'acuto, naturalmente, viene preso a piena voce. L'appoggio non è meraviglioso, la voce un po' indietreggia e la gola, e quindi il suono, non può avere l'ampiezza del collega francese; peccato non vederlo. Tra l'altro, proprio visualmente, si nota in Kraus una rimarcata tendenza a stirare le labbra orizzontalmente, il che, in alcuni momenti, è causa del sollevamento della base del fiato. Mentre la pronuncia di Vanzo è sempre vaporosa e avanti, le varie vocali, in Kraus, si spostano avanti e indietro (le i ad es. tendono a indietreggiare). Lo spagnolo esegue il do, sempre a piena voce e conclude in modo poco espressivo, ma comprensibilmente, perché l'approccio piuttosto meccanico dell'emissione non gli consente altra soluzione, a meno di eliminare completamente il peso, cosa che Kraus non credo abbia mai fatto. Sulla stessa linea di Vanzo è il grande Leopold Simoneau, anche se trasporta il brano un tono sotto. Non è niente male Brownlee, che con poca più intensità di Vanzo riesce a sostenere accettabilmente la tessitura fino al Do4. Gedda è interessante. Canta sul fiato senza avere la piena libertà di Vanzo, con un po' di gola, però, dotatissimo, riesce in alcuni punti anche a intensificare; però alla fine, sul do, non riesce a mantenere l'appoggio, non riuscendo a recuperarlo neanche sulla frase conclusiva. Di Stefano, nonostante fosse il 1944 o 45, e nonostante l'abbassamento di un tono, canta piuttosto perigliosamente non riuscendo quasi mai a trovare la leggerezza e l'abbandono magici di altre esecuzioni giovanili. Un esempio interessante è quello di Yasuharu Nakajima, che vorrebbe... ma non può! La zona centrale è facile e sul fiato, ma non appena deve salire non ha quella fermezza diaframmatica, oggi sconosciuta, che gli permetterebbe di mantenere libertà e leggerezza, quindi ingola e stringe a tutt'andare... (sentite lo sconosciuto - per me - Tino Rossi nel 36 come canta: sembra una canzonetta! per quanto stilisticamente sia orribile). Piuttosto deludente Bjorling, alquanto monotono in un'aria che rischia molto sotto questo aspetto (sentire Domingo, che la deve urlare da cima a fondo). Un vero ascolto-laboratorio è quello relativo a Roberto Alagna. Mi chiedevo, prima dell'ascolto, come avrebbe potuto cantare un brano del genere, ed ecco la incredibile risposta. Attacca in modo che fa spavento, perché sembra totalmente afono. Butta un mare di fiato e canta per l'appunto senza metterci un grammo di peso. Non avendo la disciplina per reggere una condizione simile, consuma barili d'aria e naturalmente si permette una cosa del genere solo perché ha due bei microfoni davanti, però l'esperimento è interessante perché rappresenta un approccio giusto per conquistare il canto sul fiato, ampio e libero, però ci vorrebbe quel dominio respiratorio che lui è ben lungi da avere, però tanto di cappello al coraggio! Tagliavini canta con ottimo legato e buone intenzioni vocali, ma ahimè non aveva il magistero di Gigli e men che meno quello di Schipa, sicché negli acuti stringe e mette di mezzo i muscoli non riuscendo a reggere tutto sul fiato, nonostante anche lui canti un tono sotto.
Lemeshev nel 48 fa un attacco da 10 e lode, un sogno, e dimostra di possedere i mezzi per cantare tutto sul fiato come su una nuvola, ma non lo fa! Rovina tutto andando alla ricerca di timbro e intensità e ogni volta ingolando orribilmente. Un vero peccato (l'acuto - sib, è uno strazio). Florez, devo dire, non è niente male. E' una registrazione dall'opera integrale dal vivo; certamente c'è emozione e timore, quindi corre seriamente il rischio di apparire monotono, monocorde, monocromo. Però qui è nel suo ambiente, e buona parte del brano è cantato con fluidità, anche se non riesce mai a essere realmente espressivo, non diminuisce mai l'intensità, non sogna e non fa sognare, ma forse potrà arrivarci. Ottimo, ma non eccezionale, McCormak, in difficoltà sugli acuti, nonostante canti un tono sotto. Pessimo a mio avviso Kunde, nonostante sia nel 2001, tutto invischiato in artifici muscolari. Piacevole Giuseppe Lugo (un tono sotto), lontano culturalmente da questo repertorio, con vocalità tendenzialmente sempre alla ricerca di squillo e timbro, però sempre facile ed espressiva (ma anche lui incorre in uno spoggio rischiosissimo - ma sappiamo che la stecca diventerà purtroppo la caratteristica dei suoi ultimi anni di carriera). Buone le intenzioni di Rudolf Shock, con anche un buon supporto orchestrale, ma anche qui c'è troppa distanza sia sul piano stilistico che vocale. Celso Abelo, una delle scoperte di questi ultimi anni, non appare all'altezza della situazione, decisamente in difficoltà negli acuti; molto meglio Brownlee. Piuttosto buono Sobinov, in russo, nel 1911, vocalità assai piacevole e fluida. Anche lui soffre per la tessitura, benché col solito tono sotto. Matteuzzi, con voce alquanto artificiosa, fin dall'inizio è in gravi ambasce di intonazione, il suono oscilla nei quarti di tono e produce un effetto mal di mare. Il suono comunque è querulo, ingolato negli acuti e quasi sempre fisso e inespressivo. Non so di quando sia la registrazione, ma probabilmente è tardiva. Deludente Miguel Fleta. Lo sconosciuto Richard Crooks non ha un imposto eccelso ma canta con eccellente gusto. Eccezionale prestazione di Smirnov nel 1911 in un impeccabile italiano. Escluso uno scivolone di gusto nel finale, per il resto è una delle migliori esecuzioni. Deludente anche Lauri Volpi (in effetti non sapevo nemmeno avesse registrato questo brano). Canta in un pessimo italiano, e nonostante abbia le caratteristiche di imposto per poter fare cose notevoli, appare decisamente non a suo agio, indeciso se stare leggero o dare voce, e pasticciando un po'. Le chicche ci sono, come l'acuto finale (che non è un do perché anche lui canta un tono sotto), però da lui ci si poteva aspettare molto di più. Non mi pare granché Osborn nel 2010 a Londra, abbastanza espressivo, ma vagamente ingolato e non a proprio agio sugli acuti. Piuttosto buono Legay (in tono). Meraviglioso Devries (anch'egli in tono); peccato per il vibrato che in disco è alquanto fastidioso (probabilmente in teatro non si notava granché). Voce di omogeneità, facilità, espressività, sicurezza, controllo rari. Nash è molto buono come stile e musicalità, ma non riesce a staccare totalmente la voce, e si sente un continuo controllo faringeo che limita la sua libertà di emissione e il piacere dell'ascolto. Grande Valletti, che copre la mancanza di Schipa. Non è sempre a proprio agio negli acuti (un tono sotto) ma la realizzazione generale dell'aria è superba. Caruso non mi garba affatto. Non ho ascoltato Bonisolli, Licitra e Villazon.