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mercoledì, febbraio 20, 2013

Il fiato minimo

Da un sito di fisica relativo alla musica (http://fisicaondemusica.unimore.it/Voce_umana.html), traggo queste due affermazioni:
  1. La quantità d'aria necessaria alla produzione della voce è molto piccola rispetto a quella necessaria alla respirazione. Ce ne si può rendere conto facilmente espirando a fondo, ed osservando che anche a polmoni "quasi vuoti" si può ancora produrre e modulare suono per diversi secondi. Questa osservazione rispecchia il fatto che l'onda sonora non consiste nel trasporto del fluido (in questo caso l'aria) che la propaga, ma dall'oscillazione del mezzo. In linea di principio, quindi, non sarebbe nemmeno necessario che l'aria fisicamente uscisse dalla bocca; tuttavia questo accade perché ad ogni apertura periodica delle corde vocali un po' d'aria sfugge (un parametro detto debito glottideo). Un cantante ben addestrato è tuttavia in grado di produrre note anche di grande intensità senza che una fiamma di candela posta davanti alla bocca si muova sensibilmente. La capacità di un cantante di mantenere un suono molto a lungo, quindi, dipende più dall'educazione dei riflessi respiratori che dalla sua capacità polmonare, e comunque è molto più difficile mantenere a lungo un suono grave che uno acuto, perché il debito glottideo è molto maggiore per il primo che per il secondo.
  2. Anche la pressione dell'aria necessaria alla fonazione è piccola rispetto, per esempio, a quella necessaria per suonare uno strumento a fiato. Ad una pressione maggiore, tuttavia, per mantenere la frequenza invariata, deve anche corrispondere una maggiore tensione delle corde vocali. Esiste quindi un intervallo di pressione ottimale, determinato dall'impedenza acustica del tratto vocale.
Senza addentrarci troppo nelle questioni prettamente scientifiche, riporto queste frasi perché riportano sostanzialmente aspetti cui ho già fatto riferimento numerose volte, e sulle quali è bene riflettere e che sono alla base della disciplina vocale che propongo. Il redattore dell'articolo non si sofferma, anche per non complicare troppo l'esposizione, su questioni di altezza del suono e intensità, ma credo sia facilmente intuibile che più la nota è acuta o intensa, più le corde si tenderanno e si ispessiranno, necessitando perciò di maggior apporto energetico da parte del fiato. Se si leggesse astrattamente questo articolo, potrebbe sembrare che l'emissione vocale sia estremamente facile. L'articolo non fa nemmeno distinzione, a dire il vero, tra un suono di voce parlata e uno di voce cantata. Ma, in fondo, si può dire che così sia, cioè la facilità dell'emissione non sia molto difficile. Ciò che la rende tale, come ripeto, è la resistenza del nostro corpo fisico a impegnarsi in un'attività "inutile". Ciò che impedisce alla maggior parte delle persone di cantare bene non è la reale difficoltà di produrre suoni di qualità e sonorità elevati, ma è l'opposizione che il nostro corpo fisico produce. La cosa che può sembrare molto strana e quindi suscitare perplessità e scetticismo, consiste nel fatto che il nostro corpo sembrerebbe rifiutare e opporsi a qualcosa che lui stesso produce. Ma, a ben pensarci, la cosa non è poi così strana. Ciò che crea l'opposizione non è in sè la generazione del suono, infatti nel parlato non succede, ma la VOLONTA' di modulare quel suono secondo parametri che esulano dalle necessità fisiologiche e di uso comune. Insomma, anche camminare è normale e quindi perfettamente incluso nelle possibilità del nostro corpo, ma se mi metto a danzare, senza esercizio, cioè a muovere il corpo e segnatamente le gambe, oltre le esigenze di vita comune, ne avrò conseguenze di stanchezza e persino dolori e anche peggio, se non mi fermo in tempo. Anche qui, dunque - e gli esempi potrebbero essere molti - abbiamo un'attività fatta dal corpo, quindi del tutto "naturale" che in determinate condizione può essere ostacolata e creare problemi. Il canto va molto più in là di questo esempio, perché riguarda un'attività che CONTRASTA la normale attività fisiologica, in quanto il fiato non è previsto che funga da "archetto" delle corde vocali, cioè che alimenti continuativamente suoni vocali di lunga durata, intensità costanti, frequenze molto variabili da molto alte a gravi, ecc. Questa attività è evidente che sottrae, distrae, il fiato alla propria fondamentale e vitale funzione. Questo non può essere normalmente accettato, quindi i casi sono due: o si forza in vario modo il fiato a compiere quest'azione sfruttando la tolleranza di reazione del nostro organismo (approccio tecnico), ma si vivrà sempre con la necessità di continuo allenamento, "manutenzione" e rischio di perdere progressivamente tonicità vocale, estensione, sonorità, oppure aderire a una disciplina semplice ma molto più impegnativa sul piano cognitivo, mentale, e coinvolgente e profondo su quello psicologico ed emotivo, richiedendo molta più introspezione, analisi, meditazione e pazienza. Al termine, però, ci si troverà in quelle condizioni descritte dall'articolo, cioè un consumo minimo di aria e una necessità esigua di pressione da impiegare.

5 commenti:

  1. Mi lascia perplesso il passo in cui si dice che mantenere a lungo un suono grave sia più impegnativo e dispendioso per il fiato di mantenerne uno acuto.

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  2. Si, sulle note particolarmente basse si spreca molta più aria; se si canta correttamente c'è più impegno, e allora la maggior parte "soffia", cioè spreca più aria per diminuire l'impegno.

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  3. Non mi è chiaro il meccanismo per cui nei gravi lo spreco di fiato è maggiore.

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  4. Scendendo nelle note gravi, la massa cordale aumenta, quindi l'impegno è maggiore (parlo di note decisamente basse, cioè quelle più basse della propria estensione). Poi una certa quantità di aria sfugge a causa dell'oscillazione più lenta. Il tutto però è appena notabile quando la fonazione è corretta, mentre si presenta con evidenza quando l'emissione è scorretta.

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  5. A proposito di pazienza, caro Fabio, come la mettiamo per i tempi sempre più vorticosi di oggi dove un artista anche se all'inizio, deve correre da una parte all'altra senza riposare, meditare, e quindi maturare correttamente il prorio canto artistico? A me sembra che questo fattore sia, come giustamente hai sottolineato, importantissimo per un canto artistico proprio perchè influenza il nostro modus vivendi e quindi mette a nudo la nostra psiche, ci chiede tempo, conoscenza di se stessi, confronto, misura, tolleranza... Ah, quanta pazienza!!!

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