In fondo è la fondamentale differenza tra scoperta e invenzione. Nel Medioevo gli ecclesiastici che si occupavano di comporre i canti per ogni tipo di cerimonia religiosa, guidati da un "senso" che più correttamente possiamo definire coscienza, provavano e riprovavano vari tipi di sequenze finché una di questa soddisfaceva, appagava, il sentimento suscitato dal tipo di contesto in cui quel canto si inseriva. Nacquero quei canti che oggi genericamente definiamo Gregoriano. Si pensa che fossero monodie, e si eseguono oggi quei canti solitamente in tal modo. Ben difficilmente poteva essere così. Pur escludendo le donne, anche tra i prelati che eseguivano i canti c'erano i giovanissimi novizi, e anche tra gli adulti c'erano bassi e tenori che solo in alcuni casi potevano ritrovarsi esattamente sulla stessa lunghezza d'onda. Nel migliore dei casi quindi erano canti ottavati, ma molto spesso i canti procedevano per quinte, inferiori o superiori. La quinta è l'intervallo più vicino all'orecchio umano, anche più dell'ottava (che è un intervallo grande). Infatti i primi esempi di polifonia scritta, cioè con linee di canto differenti, ci riportano parallelismi di quinte (quelle che in seguito furono decisamente vietate!). Quindi nessuno inventò la polifonia, ma fu scoperta. I Cantor si misero a comporre questa volta distinguengo ruoli più acuti da ruoli bassi o medi, dapprima parallelamente, poi separatamente, scoprendo, ancora una volta, quanto poteva essere efficace non far cantare a tutti la stessa linea contemporaneamente ma facendole procedere con melodie diverse oppure uguali, almeno in parte, ma sfalsate nel tempo (in questo senso si scoprì, o riscoprì, un valore musicale più alto della comprensibilità generale del testo, che in effetti fu sacrificato). Ma nel fare questo si resero conto che gli incontri delle voci potevano dare luogo a sonorità "sgradevoli". Perché sgradevoli? Cos'è che suscita questo sentimento? Pur essendo già stato scoperto il fenomeno dei suoni armonici, nel medioevo difficilmente se ne aveva cognizione, specie nell'ambito di musicisti di chiesa, quindi fu solo per tentativi che si arrivò a codificare che alcuni intervalli tra note eseguite contemporaneamente creavano disagio e altre piacere, e con lo stesso sistema empirico si arrivò a comporre con un sistema che creava situazioni di tensione e di distensione (questo già c'era in ambito melodico). Questa lenta evoluzione arrivò a codificarsi compleatemente solo nel XVIII Secolo! Cioè ci vollero circa 600 anni, anche se già tra 3 e 400 si può dire che il senso complessivo dell'armonia tonale era sostanzialmente compiuto. Nel corso del tempo si cominciarono a mettere per iscritto delle regole (quindi ben successivamente all'applicazione pratica). Cos'erano queste regole? Niente; sistemi rapidi per fornire informazioni su ciò che funzionava e non funzionava nella composizione di un brano. Prendere coscienza è un percorso lungo e faticoso, anche per chi insegna, per cui il sistema "economico" dell'uomo cominciò a elaborare scorciatoie. In realtà i buoni insegnanti partivano magari da "metodi", cioè sistemi rapidi per l'apprendimento di regolette semplici per iniziare composizioni di base, poi, però, l'alto insegnamento avveniva mediante lo studio dei capolavori, cioè delle grandi composizioni che suscitavano ammirazione e coinvolgimento da parte del pubblico e dei musicisti stessi. Andando a verificare cosa quel certo musicista aveva utilizzato per risolvere un certo momento vuoi drammatico, vuoi gioioso o riflessivo, ecc., si poteva constatare se aveva o no rispettato determinate regole o stilemi del passato, come e quanto le aveva derogate, oppure se aveva creato un nuovo stile, un nuovo modo di affrontare un certo impatto sonoro (e vennero considerati innovatori; il musicista però non è che innovava per un puro piacere personale o per "apparire" nuovo, ma perché "sentiva" - da 'senso' - che per risolvere quel determinato passo era indispensabile quella determinata soluzione). Dunque si prende atto, a un certo livello, che in realtà le regole in arte non esistono, esiste la coscienza che ci guida, ma la coscienza è occultata e lo studio e l'impegno sono il costo, a volte salatissimo, da pagare per svelarla.
Dopo un certo tempo ecco che subentra la logica "meccanica" e scientifica; le regole diventano la legge, e chi non le rispetta, sbaglia! Fin dal Seicento (ricordiamo le dure critiche a Monteverdi) ma in particolare tra Sette e Ottocento la trasgressione diventa errore e si perde, sostanzialmente, il contatto con la sorgente vera della creatività, cioè la coscienza. Naturalmente non alcuni grandi compositori, che si pongono anche in antagonismo con la critica e con alcune correnti imperanti. Si arriva quindi al paradosso! Un compositore e teorico solitamente saggio, Arnold Schoenberg, scrive un manuale di armonia dove sapientemente ripercorre la nascita e lo sviluppo dell'armonia... dopodiché compie il gesto più assurdo e contraddittorio che sia possibile in arte: INVENTA! cioè sopprime del tutto (o per lo meno ci prova) secoli di sviluppo cosciente delle strutture musicali, e decide di creare delle nuove regole ferree da seguire per il "futuro" sviluppo della musica. Un colossale imbroglio (non in senso legale) che di fatto rallenta, frena una reale e possibile continuità nella composizione musicale artistica; questo avviene anche perché si crea una rete, non disgiunta da fasulle ideologie anche politiche, che confina ed esclude diversi compositori, anche eccellenti, "non allineati", alcuni dei quali riscopriranno il successo solo in tarda età o addirittura post mortem.
Tutto questo sarebbe un preambolo! e perché?
Rileggendo un vecchio post, in cui parlavo del "tubo vuoto", e quindi delle masse contrapposte, mi è sorto anche il ricordo di una critica che venne posta da un utente: "ma il tubo vuoto "unico" non può esistere, perché ci sono le corde vocali in mezzo, che dividono il tubo". Qui ci si trova in presenza della stessa "malattia" che si diffuse nei secoli passati e in tempi recenti: si vogliono imporre le regole e cavalcare le logiche "stringenti", scientifiche e meccaniche. Non è che la logica non ci sia o non si debba considerare, ma esistono logiche superficiali, di facile contentatura, buone per i giochetti meccanici, ma esistono logiche più profonde, più sottili e più nascoste, più laboriose da analizzare e portare alla luce. Anche nel canto sono esistiti uomini che hanno SCOPERTO come funzionava la voce, hanno preso coscienza, dopo un lungo lavoro di perfezionamento, assecondando la propria vocazione e la propria insopprimibile esigenza di coltivare l'arte, che quando si raggiunge l'acme della proiezione vocale, il "tubo" si percepisce come unico e vuoto. Non è così importante sapere il perché (che però in questo blog adesso abbiamo analizzato e spiegato), e difficilmente potevano saperlo persone del tutto a digiuno di informazioni scientifiche e fisiologiche, ma quello era il loro credo, e quello sapevano che dovevano far raggiungere quando insegnavano, e sapendo che quella era anche la situazione di partenza, cioè la condizione del parlato quotidiano, per una semplicissima intuizione, non poteva che esserci uno sviluppo costante che da questo portava a quello. Invece a un certo punto nell'Ottocento si cominciò a parlare e scrivere di meccanismi, e più passava il tempo più si voleva indurre la scuola di canto a seguire logiche meccaniche e non bio-logiche artistiche, e quindi siamo arrivati ai paradossi attuali, che più si scrive, più si parla (o si blatera) di canto e di tutto lo scibile scientifico che ci sta(rebbe) dietro, e meno si raggiungono risultati decenti. Alla fine potremmo dire che la coscienza è andata in pensione.
Splendida riflessione.
RispondiEliminaQuindi ritorna il problema dell'insegnamento che deve assecondare gli aspetti "teorici","scientifici" del canto e armonizzare, far sviluppare, invece, la coscienza artistica, il senso critico, e quindi l'ascolto ancor prima, secondo me, dell'emissione...
RispondiEliminaSecondo me, già l'atto di "cercare il tubo" ha di per se una contraddizione, un paradosso. Non bisogna cercare nulla. L'importante è trovare la propria coscienza e lavoraci su... sempre con le stesse parole che non ti stanchi mai, giustamente, di enunciare: umiltà, disciplina, umanità.
La riflessione è interessante, ma rischiosa. E' assolutamente vero che non bisogna cercare nulla, indiscutibilmente! Però resto un po' dubbioso quando dici: "già l'atto di cercare il tubo è contraddittorio, un paradosso", non perché non sia vero e condivisibile, ma perché suscita una ulteriore riflessione: viviamo il nostro tempo e dunque anche tutto ciò che è ad esso relativo, per cui se cento o meglio ancora duecento anni fa non c'era nemmeno da esortare a "non cercare nulla", perché non si sarebbe neppure potuto immaginare cosa cercare, oggi, col bombardamento di informazioni esistente, cui è sottoposto chi in genere pensa di studiare canto o lo sta facendo, è piuttosto fuori discussione. Tutti cercano e tutti pensano che si debba fare qualcosa, o anche molto! Dunque mi pongo il dilemma se accanto all'esortazione di non cercare nulla possa essere accettabile orientare comunque verso qualcosa che porti a quel niente sicuramente molto difficile da immaginare...
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