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venerdì, ottobre 03, 2014

Dans la lenteur il y a la richesse...

Una frase che pronuncia Sergiu Celibidache durante una lezione, e ripresa in un video, e che se da un lato fotografa uno dei punti forti della sua poetica, dall'altro gli è valsa una valanga di critiche per i suoi "tempi lenti". Come sempre le parole si prestano a ogni interpretazione e ognuno quindi ne fa l'uso che ritiene più opportuno; qualcuno esalta, altri puntano il dito. Vediamo un po' di che si tratta.
Come nell'altra frase celebre, sull'oggettività esecutiva e quindi contro l'intepretazione, che ha fatto scatenare i commenti da parte di orde di ignoranti, volendo far credere che in quel modo esisterebbe una sola esecuzione attendibile, anche qui si vuol far credere che, secondo Celibidache, bisognerebbe eseguire i brani lentamente.
Prima un'osservazione e una domanda: avete notato che da una ventina d'anni a questa parte c'è una tendenza sempre più ossessiva all'accelerazione dei tempi di esecuzione dei brani? Vi siete chiesti perché? Tra l'altro questa tendenza è stata assunta da molti ascoltatori e critici, ma anche "musicisti" ("salvo il vero") come una "visione moderna" dell'esecuzione musicale, per cui i vari Furtwaengler, Klemperer, ecc. sono considerati i "dinosauri" dell'intepretazione, sepolti ormai sotto la polvere del tempo, mentre le nostre giovani gazzelle loro sì che sanno come va suonata quella musica. Ma la questione non è riservata al genere sinfonico. Ieri ascoltavo alcune registrazioni del "Vien Leonora" dalla Favorita da alcuni baritoni di inizio 900. Esecuzioni di una lentezza impressionante! E quindi si darebbe ragione a quei critici che dicono che una volta si faceva tutto lento. Il che, però, non è vero! Ci sono molti brani, vuoi cantati che suonati, di cui esistono registrazioni, eseguiti a una velocità sbalorditiva. Non è che i nostri nonni dormissero e non avessero il ritmo nel sangue. Mio papà spesso mi diceva che i giovani d'oggi sono tutti addormentati e che ai suoi tempi c'era ben altra vivacità (lo diceva anche con metafore di spirito toscano un po' forti che non sto a riportare). Semplicemente c'era un altro spirito con cui si viveva il tempo musicale.
Molti pensano che Celibidache imponesse i suoi tempi. Non è affatto così, anzi, l'unico riferimento al tempo che ho sentito in un video di una prova, è esattamente al contrario; durante la concertazione della sinfonia n. 1 di Prokofiev fa notare che sono un po' lenti! Dunque, come si raggiunge il tempo "giusto"? Sì, c'è la questione dell'acustica, che è fondamentale, ma da sola non giustifica niente. Ci vuole la "ricchezza". L'orchestra tendenzialmente non ascolta, e fa oggettivamente fatica ad ascoltare il prodotto complessivo, per cui non si rende conto se stanno correndo o stanno arrancando. Ognuno sta un po' sul proprio strumento, su ciò che lo riguarda. Se al direttore va bene ciò che sta avvendendo, sarà schiavo degli umori dell'orchestra. Nei passi difficili si tenderà (ma guarda..!) ad accelerare. Sì, perché nella confusione si avrà maggior agio a nascondere le difficoltà (lo sa chiunque si sia trovato a dirigere un complesso dilettantistico o di non eccelso livello). Laddove ci sono passi lirici ma la qualità del suono dei professori non è eccelsa, si tenderà, nuovamente, a tirare un po' via, se no, specie nei passi a solo, lo strumentista mediocre rischia di essere scoperto! Ma, in particolare, se il direttore non ha niente di particolare, di importante, da chiedere agli orchestrali, sarà inevitabile che l'esecuzione prenda la strada della velocità! Invece se il direttore comincia a far notare pregi e difetti, comincia a chiedere di tirar fuori determinate cose, non perché "lui la sente così", ma perché stanno nell'oggettività del tessuto musicale, ecco che anche la sola attenzione con cui i singoli orchestrali impiegano nell'adempiere a quella necessità, porteranno facilmente a un certo rallentamento. L'ho vissuto io stesso durante un corso di direzione, quando, avendo spiegato che un certo intervallo discendente del tema necessitava una diminuzione del volume, e che il pizzicato dei contrabbassi e violoncelli andava fraseggiato (e non buttato là una nota dopo l'altra tutto uguale), che poi c'era una imitazione che doveva emergere, dopodiché la frase doveva indirizzarsi verso un punto di maggiore enfasi per poi chiudere, ecc. ecc.; ebbene l'esecuzione, che era già stata provata da altri più d'una volta, è risultata molto più lenta, ma non per questo meno interessante, profonda, cioè noiosa! (e non l'ho chiesto esplicitamente io quel tempo). Ecco, il timore della lentezza è quello della noia, ma è giusto solo quando? quando manca L'ENERGIA, ovvero L'ALIMENTAZIONE. Ciò che ho esposto qualche post fa sulle parole. Cos'è l'alimentazione e l'energia nella musica, quindi anche nell'esecuzione di un brano cantato? E' l'interesse, l'attenzione e quindi la concentrazione che insuffliamo in ogni frase, in ogni momento, non disgiunto da quello generale e unitario. I grandi cantanti del primo 900, non erano scemi per cui eseguivano un brano lentamente, rischiando di star senza fiato! Un po' esibizionisti, forse, un po' romanticamente enfatici, probabilmente, ok, ma musicalmente! Cioè il loro obiettivo e scopo era quello di far comprendere e comunicare tutto ciò che c'è in un brano, quindi la "richesse" di cui parla Celibidache, che nel suo caso era un valore ancora più enorme, perché lui ci mette anche la fisica del suono, la psicologia e la filosofia degli intervalli attivi, passivi, estroversi ed introversi, gli armonici, ecc.Quindi, prima di proclamare che un brano è "lento" o "veloce", facciamo tesoro di questi insegnamenti, e consideriamo se stiamo mettendo in luce obiettivamente tutto ciò che il brano, nelle sue varie articolazioni, promette, e non dimentichiamo soprattutto che il tempo non è la velocità! Il tempo di esecuzione di un brano non si misura in secondi, ma nella condizione di riuscire a percepire l'intero brano come fosse un'unità, e quindi di poter cogliere che la fine è la condizione inevitabile per ciò che era stato promesso all'inizio (e quindi non va fisicamente in una sola direzione, ma è costantemente in relazione tra l'inizio e il punto in cui siamo), e che si è sviluppato nel corso del brano mediante contrasti, tensione che si alza e abbassa in modo da alimentare costantemente l'interesse dell'ascoltatore affinché non perda il filo. Se il cantante pronuncia le parole, seppur bene, ma con superficialità, cioè non rendendosi conto di ciò che sta dicendo, della situazione in cui opera, e di come vanno dette le cose anche da un punto di vista musicale, renderà piatto, sterile, vano il suo canto; magari bello superficialmente, ma breve nell'interesse di chi ascolta.

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