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domenica, ottobre 26, 2014

Pronuncia e amplificazione 2

CONTINUAZIONE DEL POST PRECEDENTE, DA LEGGERE PRIMA...

Come in molti casi, la storia della voce e del canto e l'intuizione artistica ci portano a comprendere qual è la verità di un canto esemplare, e cioè di NON CERCARE una soluzione artificiale, pseudo scientifica, intellettualistica del problema amplificante, ma consentire al nostro corpo di svolgere i compiti cui è preposto senza interferire. Da qui si potrebbe pensare un mio avvicinamento o adeguamento alle scuole "naturalistiche". Il mio pensiero in merito è sempre stato molto chiaro: il canto non è naturale, ma lo è POTENZIALMENTE. Il canto non serve alla vita "animale" dell'uomo, come non serve alcuna arte, che devono, pertanto, essere conquistate disciplinando il corpo o la parte del corpo a quella determinata pulsione artistica. Questa dichiarazione non deve essere arbitrariamente intepretata come un avvicinamento a teorie meccaniciste, scientifiche o variamente tecnicizzate, peraltro mi sento di dichiarare che, nella discussione, in fondo sono più "naturalista" dei naturalisti. Infatti il mio punto di vista, ovvero della mia scuola, è che è una conoscenza profonda di come siamo fatti, di quali motivazioni stanno alla base delle difficoltà nell'affrontare una determinata attività, delle osservazioni storiche anche di tipo pubblicistico e registrografico, che portano alla soluzione che consiste nel permettere al nostro corpo di modificare i propri comportamenti nei riguardi di una nuova necessità e non nel pretenderla coercitivamente; la soluzione naturale non è quella di estorcere dal nostro corpo dei risultati forzati, di dare il 150%, ma al contrario, di stimolare uno sviluppo GIA' PREVISTO, presente, ma occulto, non manifesto perché non gradito dal nostro sistema di funzionamento che non ama modificare o aumentare l'impegno complessivo o di parte dei propri apparati. Dunque, cosa c'è di più naturale, nell'uomo, della parola nel manifestare la voce? Niente, perchè il "vociferare", cioè emettere suoni inarticolati è proprio delle altre specie animali. Se gli animali possono emettere suoni di grande intensità e capacità diffusiva, perché la natura avrebbe moderato, limitato questa possibilità nell'uomo nel donargli una possibilità in più, quella del parlato? Se vogliamo credere nella superiorità dell'uomo rispetto le altre specie, non possiamo non credere che questa sua prerogativa, il parlato appunto, non abbia un valore, una qualità ma anche una potenza "in sé" superiore che gli permetta come e più di ogni altro animale di farsi valere in ogni condizione. E' quello che, senza forzature, desumiamo dalle registrazioni e da scritti e pensieri lasciati da valenti maestri del passato; poco ci riguardano invece quelli di personaggi anche celebri che non si sono contraddistinti per il loro carattere didattico e della diffusione di un pensiero artistico.
Il pensiero che ci conforta è che la parola ha in sé un potenziale sia di significato che di significante in grado di richiamare l'attenzione di chi ascolta. Manca la disciplina per lo sviluppo, la quale NON PUO' passare per altre strade, quindi, riportandoci all'inizio del post precedente, non è come si produce il suono ciò cui bisogna prestare attenzione, ma cosa abbiamo come risultato. Pensare di mettere insieme volontariamente la parola con l'amplificazione, non può portare che a un "divorzio", una divisione, uno scollegamento tra l'uno e l'altro. Siamo dotati di un apparato che è nel contempo articolatorio e amplificante, se io voglio o penso di esaltare in qualche modo il secondo, distruggerò il primo e viceversa. Questo per dire che anche la cura della parola non è casuale o esaltatrice di effetti, perché come giustamente si osserva, si può giungere a declamazioni, a schiacciamenti, a storture foniche e semantiche del tutto inappropriate. Quindi, per concludere: la parola è parola, ed è su quella che si deve basare la disciplina. La pronuncia è AVANTI, e non è possibile, è sbagliato, deleterio, non bio-logico, pensare o tentare di pronunciare correttamente, nel canto come in altre attività cercando un'amplificazione in altri luoghi, siano essi "la maschera", la gola, il torace o dove altro si possa pensare. La parola si amplifica da sé, in quanto frutto di un processo evolutivo che non possiamo credere essere limitativo. L'amplificazione della parola nel canto è il massimo che l'uomo possa esercitare vocalmente, ed è già compresa nell'uomo, occorre esercitarla, e quindi svilupparla, con pazienza e tenacia NON CERCANDO, NON COSTRUENDO, NON SPINGENDO o GONFIANDO, ma con la semplicità, la pazienza e soprattutto TOGLIENDO da essa tutti gli errori, le distrazioni, le enfasi, le storture di un'accentazione impropria, gli "arrotondamenti", i biascicamenti, le "uniformazioni" che altro non sono che maldestri escamotage per cercare strade facili (non semplici) per risultati rozzi o incompleti. Solo persone prive di pregiudizi e buona disposizione all'ascolto e al dialogo possono imboccare questa strada. Le altre è meglio che seguano altri percorsi.

10 commenti:

  1. Bellissimi post.....
    Sfido chiunque a poter dimostrare che non sia vero quanto asserisci, che poi è una "salomonica" giustizia della nostra natura. La Natura elargisce in maniera anche generosa ma vive di un equilibrio così semplice, che più vogliamo contrastarlo con forza più ci si ritorce contro. E' tanto assurdo, difficile, comprendere che non è con la spinta o gli artifici che si ottengono risultati....? capisco la voglia e la fretta di giungere a risultati in breve tempo, ma la Natura e quindi l'Istinto ha i suoi tempi. Come creature, noi siamo nati immersi nella natura e quindi siamo natura;ogni singola cellula che ci compone noi e l'Universo, ha al suo interno un codice con un proprio regolamento, cioè con un autodisciplina, dei tempi e degli equilibri che la sostengoni in maniera sinergica. Nel caso del canto, ad esempio, possiamo ottenere dei risultati solo mettendo, sul piatto della bilancia, quei parametri quali ad esempio la pronucia, la qualità del fiato, che devono avere pressocchè peso uguale a zero, perchè sull'altro piatto della bilancia c'è assoluta mancanza di peso... almeno per come lo intendiamo noi.Una pressione, una spinta, un affondo, un allargamento, provocherebbe solo la caduta del piatto... con tutto quello che ne consegue. Grazie Fabio, ancora grazie.

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    1. Grazie, credo di capire il senso del tuo intervento, ma bisogna anche capire che le parole possono avere molteplici "sensi" e dunque si prestano a interpretazioni e manipolazioni, nonché fraintendimenti. Per entrare più a fondo nella materia dobbiamo sempre coniugare natura & arte, che non sono in contrapposizione, non sono nemiche, stanno in uno stesso universo, ma allo stesso tempo non sono immediatamente in consonanza e scopo della disciplina è quello di trovare il linguaggio con cui metterle in comunicazione.

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  2. La parola è ciò che "umanizza" i suoni che emettiamo, ciò che li nobilita, che li eleva al di sopra di quelli degli animali, o che li distingue da quelli degli strumenti musicali. A coloro che, anche senza ammetterlo esplicitamente, considerano la pronuncia nel canto un dettaglio secondario, vale a dire un optional, bisognerebbe ricordare come, togliendo le parole, qualsiasi strumento musicale potrebbe eseguire le medesime note con ben maggior volume, precisione e definizione di qualsiasi pur dotatissima voce. È la parola ciò per cui cui vale la pena di utilizzare un cantante, anzichè un flauto o un violino o un pianoforte... Leggevo l'altro giorno una recensione a mio avviso scandalosa di Celletti a proposito della Sutherland nel repertorio belliniano. Costui arriva addirittura a giustificare la non-pronuncia della cantante australiana, sostenendo che la chiarezza di dizione sarebbe un tradimento della melodia elegiaca di Bellini (sic). Ho personalmente constatato che tra gli appassionati che si sono formati sugli scritti di questo critico, c'è una repulsione, un vero e proprio fastidio nei confronti della comprensibilità del testo; storcono il naso se sentono un soprano antico dire le parole con nitore e verità, lo snobbano dicendo che bamboleggia o semplicemente che "parla". Il verbo "parlare" avrebbe già di per se' una connotazione negativa, in quanto si vuole la commutazione che deriva dall'impostazione lirica, senza avere la più pallida idea di come questa "impostazione" si realizzi. È tutto un crogiolo di luoghi comuni, pregiudizi e ignoranza fomentati da cent'anni di dischi e di critica sciagurata. Se il disco è senza dubbio la piu' importante causa della decadenza del canto e della musica, recensioni come quella sopraccitata meritano senz'altro un posto nella top ten.

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    1. Grazie, post molto appropriato, condivisibile al 100%

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  3. Anonimo7:19 PM

    Buongiorno (anche se è sera), vorrei capire se l'intensità della voce, la sua capacità di correre per lunghe distanze e avere pienezza armonica, sapendo che non viene nè deve essere ricercata con spinte di diaframma o ingolature, dipenda almeno in parte dalla cavità della bocca.
    E' chiaro che non si devono cercare risonanze nasali o espansioni che leghino la pronuncia, foriere tra l'altro di tensione. Però le vocali sappiamo come dipendano dalla forma della bocca e dalla posizione della lingua e delle labbra. Più volte abbiamo affrontato il tema dicendo che le vocali vanno ricercate solo col movimento della lingua e mai con la gola come spesso siamo abituati, alcuni marcatamente, a fare parlando, a seconda poi delle situazione, della tensione, etc.
    Vorrei capire tuttavia se è lecito un riadattamento graduale delle vocali alla risonanza ideale per una determinata altezza tonale e massa cordale, ad esempio nel falsetto pieno. Ne consegue che su un Do4, Fa#3 e Do3 potremmo avere tre modi sottilmente diversi di gestire la risonanza.
    Ho letto come le labbra influiscano sull'appoggio, così come influisce qualsiasi cosa che comporti un cambio di pressione del fiato.
    I canti tradizionali mongoli insegnano, per quanto spesso in forma gutturale, come la forma della bocca sintonizzi le varie formanti e ne enfatizzi diverse.
    Per cui mi chiedo se lo squillo va comunque costruito in bocca.

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  4. Anonimo7:24 PM

    La gestione ottimale della colonna d'aria e della sua pressione inoltre, acusticamente parlando, produce un suono potente, perchè incanala in modo altrettanto efficiente l'energia invece di disperderla e talvolta tenerla dentro come si suppone accada con un canto di fibra?
    Grazie mille

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  5. Le vocali non vanno "ricercate" in quanto la nostra mente già le conosce, quindi bisogna VOLERLE FARE con determinazione. Nei primi tempi di studio può essere necessario verificare che le forme chiave siano manrtenute. Non si tratta, come erroneamente qualcuno ha accusato, di forzare le forme a essere cercate o mantenute, ma di evitare le deformazioni causate dalle reazioni respiratorie. L'intensità della voce dipende dal perfetto rapporto tra l'alimentazione, fiato, strumento e forme; quindi non si tratta di ampliare le forme per ottenere più intensità, ma di favorire la più fluida emissione mediante l'articolazione spontanea.

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  6. Anonimo8:45 PM

    Grazie per le argute indicazioni.
    Per quanto fosse chiaro che le vocali debbano essere il più vicino possibile a quelle che spontaneamente si userebbero, tuttavia mi chiedevo se le vocali che la mente conosce non siano per molte persone vocali ingolate, e quindi la rieducazione di cui parlavo era volta a cercare una vocale ed un fraseggio che non perda la propria identità individuale, ma che la cerchi senza più fare uso della gola come rinforzo espressivo e la cosa non è scontata, mi pare di capire. Inoltre il fraseggio del canto, soprattutto se lirico, è diverso da quello parlato. Se però questo approccio si adatta anche al "verismo" tanto meglio. Quindi queste stesse vocali, che la mente sa come fare, dovranno comporsi col solo uso di lingua, gola e labbra, forse anche l'apertura della mandibola, altra cosa a cui tu dici di fare attenzione ma che nelle vocali istintive può aprirsi molto, la lingua poi può contrarsi troppo e chiudere la gola. Molti poi dicono che il variare dell'apertura dello sfintere ariepiglottico (non le corde false), può essere utile all'espressività nel cambio di vocali. L'osservazione sul riadattamento delle vocali nelle varie tonalità l'ho fatta anch'essa perchè noi non parliamo eufonicamente a alle altezze a cui potremmo cantare, per cui la I di un La3 potrebbe avere bisogno di particolari accorgimenti, inoltre col falsetto, tu dici che perchè le vocali siano chiare il fiato deve essere esemplare, quale potrebbe essere il compromesso nel frattempo, quindi, un suono lievemente oscurato ma che non tolga intelleggibilità?
    Mi chiedevo poi se, come accennavo prima, tale tecnica possa essere applicata anche ad un canto "moderno" (parlerei semplicemente di diversi stili e fraseggi), pur se ovviamente escludendo i suoi eccessi. Ad esempio nell'R n' b, è caratteristico un alternarsi di vocali aperte e chiuse, che possono piacere o meno, sia chiaro, ma sono una forma di espressione.
    E tu stesso dici, contrariamente al luogo comune, che l'emissione esemplare è tutt'altro che nemica della'espressività, declinabile in diversi stili oltre a quello lirico. E che anzi è spesso il canto "moderno" che quando rifugge dalla respirazione e si basa solo sul "forte" e sulla fibra, si nega tutta una serie di nuances, dinamiche di volume e sottigliezze. Di conseguenza suppongo che tale canto possa prestarsi a fraseggi non lirici e più veristi.

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  7. Le vocali che la mente conosce sono quelle perfette, l'ingolamento può subentrare per i nostri cattivi usi, la pigrizia, le cadenze dialettali e/o ambientali, ecc. Ecco perché occorre l'insegnante che faccia notare tutte le imperfezioni e ne curi la correzione.

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  8. In sintesi: è sempre una questione di tempo legato agli esercizi mirati; se l'esercizio si basa su un perfezionamento del parlato (la qual cosa significa un allineamento tra il parlato spontaneamente utilizzato e quello "ideale", cioè che la mente conosce), il fiato man mano si adatterà o meglio si svilupperà in funzione di quell'esigenza, quindi nel tempo si avrà modo di cantare su tutta la propria tessitura con esemplarità. La questione del colore può essere necessaria nelle prime fasi di studio, ma con molta parsimonia e attenzione, perché facilmente conduce verso errori grossolani, come ho spiegato qualche post fa.

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