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lunedì, novembre 16, 2015

"Bei tempi" - L'illusione

Non so se sia più specifico dell'età moderna, non credo, fatto sta che all'uomo non piace vivere nel presente. E' perennemente in bilico tra un passato - che non c'è più - e un futuro - che non c'è ancora. Indubbiamente il presente, ovvero la realtà, ci può dare l'idea di essere difficile da vivere, fatto sta che questo altalenarsi tra passato e futuro ci fa vivere in una perenne illusione! Vorremmo fuggire o sfuggire alla realtà, configurandola negativamente, rifugiandosi nei ricordi, nelle ricostruzioni di un passato spesso artificiale, per sognare un futuro migliore. Alla fine tutto ciò ci porta alla sofferenza. Purtroppo c'è poco da fare, perché lo stile di vita attuale è talmente costruito e imperniato sull'illusione che per uscirne occorrerebbe una rivoluzione personale insostenibile se non da pochissimi. Cioè o una parte (sostanziosa) dell'umanità comincerà a orientarsi diversamente, escludendo gradatamente determinati aspetti in cui si è cacciata, o dovrà esserci una vera rivoluzione, oppure andrà a perdersi in chissà quale degrado. Ma lasciamo stare, non è argomento da trattare in questo blog. Perché, invece, l'ho tirato fuori? Perché in qualche modo ci riguarda. Se è vero che anche in questo mondo (quello del canto e della vocalità) guardiamo sempre indietro (qui facciamo continui riferimenti a cantanti del passato e anche a maestri antichi), c'è modo e modo di affrontarlo. Un conto è associare uno o più modelli, che ci possono dare un'idea di un obiettivo raggiungibile (quindi non un miraggio), un conto è rivolgersi a un passato virtuale. Mi riferisco in particolare ai cultori degli antichi trattati. Se io sento Gigli, Schipa, Stabile, ecc., posso farmi l'idea di un'estetica vocale e musicale peculiare. Se mi riferisco a un "libro" che parla di un certo modo di cantare, non mi riferisco a niente! Sono parole, liberamente interpretabili e che non mi forniscono alcun modello cui riferirmi. I primissimi trattati, poi, Tosi e Mancini, sono stati addirittura concepiti da cantori castrati, di cui vocalmente non possiamo ormai più immaginare niente di significativo, le cui caratteristiche fisio-anatomiche erano talmente distanti da qualunque altro cantante odierno da considerare quegli scritti cimeli da museo. Ma anche escludendo quelle prime opere, non possiamo non considerare che uno o due Secoli, considerando i mutamenti genetici, da non sottovalutare, le condizioni ambientali rivoluzionate, che non hanno certo lasciato immutate le nostre capacità e caratteristiche sensoriali, modificano profondamente il rapporto con la nostra sfera percettivo-espressiva, perlomeno dal punto di vista della narrazione scritta, considerando poi anche alcuni mutamenti sul piano lessicale e semantico. Con ciò non voglio dire che la trattatistica vocale vada messa in soffitta e rivolgersi solo a quella presente, anche perché faremmo un bel magro guadagno, ma dico di rivoltare il canocchiale. Guardare agli insegnamenti scritti nel passato, vedendoli ingranditi dalla nostra lente di ingrandimento, perché "il passato è bello", ci fa prendere abbagli, ci porta sulla strada dell'illusione. Chi si occupa virtuosamente di canto, di vocalità, deve avere un fondamento, una base intuitiva solida, confrontabile, relazionata, coerente, sintetica e olistica. Se questa poetica, non teorica ma sostenuta da esempi e da pratiche di evidente positività, ecco che può confrontarsi anche con quanto ci ha lasciato il passato, vuoi di tipo teorico che esemplificativo. Però, ripeto, il focus non può e non dovrebbe essere un baule di parole che non si possono più discutere e ampliare perché legate a un tempo passato. Il maestro o è "qui e ora", sa quel che fa, sa quel che fare e far fare, sa dove va e dove arriverà, o altrimenti non sa niente, non può dire: in base a quanto disse tizio e caio si deve fare così e si arriverà là, perché lui si è come deresponsabilizzato e carica di significato parole, concetti e pratiche non sue, e che quindi non può garantire. Molte scuole, compresa questa, apprezzano poco o niente di quanto si sta facendo e vendendo sul piano scientifico in tema di insegnamento artistico e specificamente vocale. Non è poi così diverso vendere competenza vocale di tipo storico-leggendario non proprie, se non c'è una evidente e dimostrabile competenza vocale e didattica fondata su principi e coscienza propri. L'arte si deve giocare sulla pelle propria, non va delegata.

4 commenti:

  1. Ovviamente condivido il discorso riguardo ai trattati antichi. Ma riguardo ai "bei tempi andati", se è vero che non ha senso vivere nel rimpianto del passato, penso che non sia possibile neanche una completa neutralità nel leggere la storia.

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    1. Non sono sicuro di aver compreso il tuo pensiero, puoi declinarlo maggiormente?

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    2. Voglio dire che non si può fare a meno di riconoscere nel presente un regresso (o per alcuni un progresso) rispetto al passato. Non si può essere neutrali. Quando ad esempio si muovono critiche verso lo stato attuale dell'arte del canto, c'è sempre da parte di alcuni l'obiezione intellettualistica secondo cui queste lamentele da passatisti sarebbero sempre state, fin dal Tosi nel '700, e che quindi la decadenza in verità sarebbe solo una fantasia da brontoloni incontentabili e frustrati. Per me questa non è una posizione accettabile, non è realistica. Il calo qualitativo del canto nell'ultimo secolo non si può negare. Ho fatto l'esempio del canto ma lo stesso discorso potrebbe applicarsi a molti altri aspetti della civiltà umana, a ben vedere anche ben più importanti del canto.

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    3. Ah, certo, su questo condivido, credo di aver scritto anche in merito.

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