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lunedì, febbraio 20, 2017
Fare musica
Cosa significa davvero "fare musica"? Il musicista suona uno strumento, mettiamo pure bene, e crede di far musica, cioè produce "suoni", solitamente in base a uno scritto prodotto da un compositore (ma può essere anche diverso, per ora lasciamo stare). Ciò che per molti significa far musica consiste nel cercare di suonare il meglio possibile quelle note, cioè in modo "pulito", oltre che esatto. Dare significato alle molte indicazioni dell'autore... come? Il brano inizia "p" (piano), in tempo "andante". Cosa significa? Oppure non c'è scritto niente. Come ORIENTARSI? Allora uno spartito non è un progetto di una casa o di un oggetto, dove c'è scritto il materiale, dove ci sono misure esattissime, varie viste, in modo che, con gli strumenti idonei, tutto venga realizzato in QUEL modo. Si pensa generalmente che una partitura sia la stessa cosa, cioè si debba realizzare ogni indicazione come se fosse univoca. Ma siccome ci si rende facilmente conto che così non può essere, perché se un oggetto deve essere lungo 25 cm, non è la stessa cosa che indicare il tempo di esecuzione di un brano, anche se qualche autore un po' ingenuamente ha pensato anche di indicare la durata! Le stesse note, rispetto a un'indicazione tecnico-meccanica, sono oggetti alquanto generici e sostanzialmente errati, se riteniamo davvero che dovrebbero avere identica durata; può essere vero in teoria, ma non quando andiamo a eseguire un brano che auspichiamo diventi musica, dove il SIGNIFICATO fraseologico delle singole cellule componenti difficilmente può essere realmente identico, ma assume una durata, oltre che un accento, una dinamica, in relazione al tutto di cui fa parte e che deve assumere un RUOLO specifico all'interno di quel contesto, non estraibile dallo stesso. Ordunque, quando realizziamo un insieme di suoni con cui vorremmo far musica, dobbiamo considerare che questi suoni, esterni a noi, non possono mai diventare musica, essendo mere realizzazioni fisiche, vibrazioni regolari di corpi elastici. Quando queste vibrazioni entrano nell'uomo, principalmente mediante l'udito, possiamo riconoscerne una natura diversa da quella di semplici suoni, cogliendone significati reconditi, cioè che non siamo in grado di tradurre verbalmente, ma che ci comunicano qualcosa di profondo. Questo però lo potremmo definire un "tentativo"; cioè la nostra coscienza cerca di carpire da quell'insieme il significato complessivo, ma può riuscirci solo se il "cerchio si chiude", cioè se il brano è sintetizzabile in un UNO (cioè se riusciamo a coglierne l'intero), ovvero ancora se le singole parti di cui è composto, sono a loro volta cellule chiuse in sé relative al tutto, cioè all'uno complessivo. Il musicista esecutore, quindi, deve saper reagire al suono che produce potendolo far diventare musica, cioè una volta eseguito il primo suono, dovrebbe sapere come eseguire il secondo affinché possa relazionarsi col primo al fine di costituire un'unità; dopodiché questa dovrà relazionarsi col terzo suono, che entrerà a far parte dell'unità... e così via, fin quando il tragitto giungerà al suo punto massimo per poi tornare a zero, cioè chiudere il cerchio e diventare un'unità complessiva. Ciò che muove la coscienza in questo tragitto è la tensione, per cui occorre seguire il tragitto tensivo che si dipana man mano, grazie ai contrasti messi in campo dal compositore, per realizzare ciò che esso non ha inventato, ma ha scoperto a sua volta. Se non si sviluppa la "bussola" per seguire questo tragitto, non si hanno elementi per sapere come vada realmente eseguito il brano, e a questo punto si "interpreta", cioè si eseguono i vari elementi non graduabili meccanicamente (ma quasi nessuno lo è) in base a teorie più o meno scientifiche o più o meno assennate, ma in ogni modo molto soggettive e dunque non UNI-VERSALI, ma poli-versali. Si deve considerare che un brano musicale non è un "linea" con un inizio e una fine posti linearmente, quindi agli estremi, ovvero nei punti più lontani tra loro, ma su una linea curva, dove l'optimum è che il punto finale coincide con l'inizio. Affinché ciò sia possibile occorre che gli elementi di cui è costituito il brano non si allontanino continuamente, ma mantengano costantemente una relazione con quanto è avvenuto, diventando premessa per ciò che avverrà, che già possiamo prevedere, non nel contenuto ma nello sviluppo. Quando leggiamo un buon giallo sappiamo che ci sarà il momento in cui verrà scoperto il colpevole, questo è un dato scontato, ciò che ci appassiona è scoprire chi è e le varie trame. Il compositore, consapevolmente o meno, dovrà portare al parossismo l'elaborazione tematica mediante tutti gli strumenti a sua disposizione. Se questo sviluppo sarà mal condotto, il brano non "decollerà", non porterà soddisfazione e facilmente cadrà nell'oblio. Spesso ci si meraviglia che un brano con un bellissimo tema, ben strumentato, molto fascinoso e coinvolgente, venga dimenticato. Non basta il "bel tema", anzi, spesso diventa una "zavorra"; Mozart e Beethoven hanno composto i loro più grandi capolavori con temi di una semplicità che sfiora la banalità. Ma come hanno saputo elaborare quelle poche note, come sanno prenderci per mano e portarci nell'universo. Ma se chi esegue non sa riconoscere il percorso, ecco che dopo un po' qualcosa comincerà a sfuggirci, non seguiamo più, pensiamo ad altro, ci distraiamo, per poi tornare e poi ri-distrarci, sentire "qualcosa" e non tutto. In quella condizione la nostra coscienza non chiude cerchi, non unifica, non coglie il senso e i nessi. Sarà un insieme di pezzi, gradevole, ma non ci avrà comunicato il suo messaggio. Naturalmente anche il canto non può essere insegnato come fosse un progetto tecnico, cioè pensando di applicare formule e osservazioni scientifiche. Alla scienza sfugge l'extrasensorialità. Nelle nature umane che si trovano a utilizzare risorse di "doppia appartenenza" (cioè suono che può diventare musica, o voce che può diventare canto), la scienza si trova di fronte a un enigma, che cerca di spiegare con le conoscenze di cui dispone, che sono di natura fisica e fisiologica, ma ignora o non comprende quelle artistico-spirituali. Una speculazione fisico-razionale tenterà sempre di spiegare con questi strumenti il fenomeno vocale, per cui non penso che anche i foniatri che studiano canto riescano a entrare nel giusto alveo di riconoscimento della natura vocale, ma tenteranno sempre di conciliare canto e foniatria (e lo posso comprendere), rimanendo estranei all'unica natura dell'arte, che è gnoseologica, spirituale e trascendente (in senso fenomenologico, il m° Antonietti direbbe sublimante) la fisicità. Il vero canto può portare alla vera musica.
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