L'utilizzo della cosiddetta "maschera" da parte di molti insegnanti di canto, intesa non semplicemente come sensazione di un buon canto, piacevole, sonoro, omogeneo, ma come "posizione" di suono interno, variamente posizionato, a seconda delle percezioni, in zona nasale, oculare, frontale, ecc., a cosa può servire, sebbene ingannevolmente? Grazie alle esperienze e ricordi dei primi anni di studio e a successive letture, sono in grado di descrivere il ruolo e gli obiettivi di questa metodica, non privi peraltro di controindicazioni appunto perché ignoranti i fondamenti dell'arte vocale e alla ricerca di "tecniche" che in qualche modo superino l'ostacolo, senza conoscere i risvolti. Questo significa "comprendere": una autentica scuola di canto, che di quest'arte conosca i fondamenti, è in grado di comprendere, cioè di annettere nella prospettiva, ogni metodologia o prassi educativa, e di saperle valutare e coglierne aspetti positivi e negativi e di capire gli scopi che si prefiggono da ogni tipo di consiglio-tecnica, con le ricadute possibili.
Per un gran numero di insegnanti di canto, "mettere il suono in maschera" significa cercare di indirizzare la voce, o meglio il suono vocale, nelle regioni alte del capo, come accennavo dianzi. Qualche decennio fa erano gli stessi foniatri a consigliarlo, e si accodarono molti insegnanti, senza aver capito realmente, ma semplicemente perché sembrava logico che la voce dovesse essere indirizzata verso maggiori spazi che secondo un luogo comune dovrebbe dare maggiore intensità e corpo alla voce. Celletti si innamorò di questa visione che illustrò ovunque nei suoi scritti che ambivano a parlare di canto "professionale" e portò ancora a maggior divulgazione questa tecnica sostanzialmente illusoria. L'allenamento più frequente per migliorare il canto in maschera sarebbe il c.d. "bocca chiusa", ovvero il vocalizzo sulla "M". Per la verità non si capisce cosa ci sia da allenare, visto che non si sviluppa niente, ma lasciamo stare. Il dato su cui poco si riflette, e che solo alcuni ammettono candidamente, senza peraltro desistere, è che il vocalizzare a bocca chiusa porta il suono nel naso, con abbassamento del velo palatino (contrariamente a quanti molti di loro credono). La ricerca di voce a livello nasale-maschera comporta uno spoggio della voce, ovvero un sollevamento complessivo della colonna d'aria dal diaframma. Questo illude perché il minor carico su quel muscolo si manifesta con minor impegno per il cantante, ma ignorando che quel minor impegno si traduce con minor efficienza e rischi.
Dunque, vediamo però tra una verità e una tecnica illusoria dove si cela la difficoltà vera e dove la tecnica aggirante ma non risolutiva. Prendiamo l'emissione della vocale "I". E' una vocale per molti assai difficile, perché l'estremo sollevamento della parte mediana-anteriore della lingua comporta un passaggio limitato del fiato-suono. Questo porta molti allievi a spingere per cercare di dare suono, intensità maggiori, ottenendo sempre difetti anche molto evidenti. Mettendo la I "in maschera", cioè nel naso, il problema potrebbe trovare una simil soluzione, perché si toglie una parte di suono e una parte di spinta. Sarà, ovviamente, una "I" che "puzzerà" fortemente di risonanza nasale, ma il fatto di trovare una posizione che tolga un po' di problemi giustifica tutto. Ammettiamo però che invece la I riesca correttamente, e che quindi la sua emissione avvenga regolarmente con il passaggio tra lingua e palato (che poi, è bene ribadirlo, quello è davvero solo un passaggio, la vera I si formerà fuori, come tutte le altre vocali artisticamente pronunciate). Il problema rinasce quando si vuole emettere altre I su diverse note, oppure passare alla "é" (e "stretta"). Il dato comune di chi canta è che per pronunciare altre vocali (o la stessa su altre note), non trova di meglio che dare accenti e pressioni verso il basso, a cominciare dalla lingua stessa. Quindi "ì - ì - ì ..." si realizzerà con una serie di colpi sulla lingua, che la faranno abbassare, producendo varie tensioni, e distruggendo la pronuncia corretta. Peggio ancora se si fa "ì - é - é ..." dove, già ammesso che si abbia chiaro cosa significa pronunciare "é", si assisterà a una maggiore apertura della bocca, rispetto alla "I", con rigidità mandibolare, e abbassamento della lingua. Accenti, colpi che tolgono ogni possibilità di scorrimento del fiato-suono, che quindi non possono rientrare nell'alveo di un'ottima fonazione. Se il passaggio dalla I alla "é" venisse fatto con un passaggio "in maschera", il risultato sarebbe non eccellente, a causa della nasalizzazione (e conseguentemente spoggio), ma toglierebbe il problema della pressione sulla lingua. Ecco dunque che la "maschera" diventa un palliativo, un escamotage per superare un problema ricorrente. Viceversa la correttezza dell'emissione passa attraverso il "togliere" pressione, spinta, alleggerendo e utilizzando il "sospiro" (non la H) che favorisce la dinamica respiratoria senza creare quella valvolizzazione della lingua che tenderà a chiudere lo spazio. Se passiamo poi alla A, cruccio di tantissimi cantanti e insegnanti, che in mancanza di fondamenti preferiscono abolirla, dove è necessario aprire almeno un po' la bocca (cioè abbassare la mandibola), eccoci di nuovo a spinte e colpi verso il basso. Ancora una volta i "mascherari" (ma non solo, anche qualche fautore della vocalità naturale) prediligono il non aprire tanto la bocca (magari sorridendo... "internamente") e spostare il fuoco negli spazi superiori, dove ovviamente non si potrà pronunciare perfettamente la A, ma... che importa? (!!). Invece se si lavora "di fino", togliendo pressione e spinte, l'apertura potrà avvenire con dolcezza e quel "cuscinetto" sonoro dinamico che ha prodotto la "ì" e la "é" proseguirà senza cadute, senza interruzioni e sbalzi (il vero LEGATO), e contribuirà a produrre anche le altre vocali (sempre fuori, cancellando la rozza percezione di anteriori e posteriori). Quindi le tecniche che fanno uso di spostamenti risonantici rispetto la prassi naturale (bocca), sono da evitare in quanto possono dare un momentaneo sollievo, rispetto le difficoltà che si incontrano, ma non risolvono affatto alcun problema, sono sistemi illusori e ingannevoli, che alla lunga (se non già alla breve) creeranno problemi di vario ordine.
Di certo piazzare tutto sul naso o in alto chiudendo la bocca è deleterio. Innanzitutto il suono non è che propriamente si indirizza, pensare di farlo, può creare tensioni.
RispondiEliminaDa quello che ho imparato, la risonanza si sposta naturalmente verso l'alto o in generale verso spazi più piccoli e/o aperti, come si sale. Cercare la risonanza in posti non efficienti, credo possa portare a sforzare. Spesso significa credere per dire di scurire, mozzando in realtà squillo e brillantezza, spingendo per amplificare quel poco che è rimasto di risonanza bassa o "di petto", che forse è la fondamentale o poco più.
Detto questo la risonanza si sposta più su e anche dalla bocca diminuisce, se non sbaglio è per questo, che bisogna anche aprire la bocca come dici, l'apertura abbrevia la cassa di risonanza e questa è una delle strategie a seconda del timbro del genere e del relativo "chiaroscuro" che si vuole ottenere.
Le vocali come sempre si creano in gran parte nella bocca e quindi con la lingua. La A ha lo spazio massimo e la lingua bassa ma non tesa o schiacciata, la I ce l'ha alta. Per le altre vocali, penso che come la risonanza lascia la bocca o parte di essa, gran parte delle vocali si componga nella faringe.
Questo però riguarda note molto alte, credo tipicamente neanche raggiunte dai tenori in su e tradizionalmente non dai baritoni (penso che la risonanza inizi a salire oltre la bocca significativamente da sopo il Sol3, ma forse mi sbaglio). E lì però è ovvio che un mezzosoprano stile Broadway articoli le vocali molto diversamente da uno classico, molto più larghe e faringee il primo.
Anche mi sbagliassi, mi interessa un punto di vista diverso, per rimettermi in discussione e confrontarlo eventualmente con altri.
Le vocali si formano FUORI !!!!
RispondiEliminaAlcune precisazioni, so che la lirica non consiste necessariamente in un canto scuro, tanto più forzato e a costo della dizione, come spesdo giustamente precisi. Forse il moderno non può arrivare a questa raffinatezza, ma l'uso di varianti vocali diverse non è in sė, scorretto, se libero. Però ho messo in conto di sbagliarmi sull'idea delle vocali faringee. Il punto è che le vocali, in acuto, prendiamo i soprani, etc, sembrano formate diversamente, pur con tutte le loro varianti, senza nulla togliere alle loro varianti e al pensarle fuori, anche se non sono sicuro di aver capito cosa intendi. Se per esempio proiettarle e non cercando di ottenerle con movimenti isolati sullo stle delle figure obbligatorie di voicecraft.
RispondiEliminaAnto