Gli esercizi perfetti per arrivare al canto esemplare sono di una semplicità assoluta, ma anche di una difficoltà inimmaginabile per la concentrazione che richiedono. Questo poi si accentua ancora quando dall'esercizio si passa al canto. Dire qualche parola con il giusto significato già richiede impegno; questo si amplifica quando le stesse parole le dico su una o più note, senza perdere nulla della sincerità, della nitidezza del parlato. Salire in questo modo di qualche semitono darà la misura di quanto sia faticoso per la mente. "Guardare" la propria voce e sentirla, riconoscere che ogni sillaba è la tessera che compone QUELLA parola e QUELLA frase, con il giusto rilievo, il giusto peso di accentuazione. La parola, la frase è la tessera di un brano. La disposizione indispensabile per cantare artisticamente è quella di DIMENTICARE che quel brano già esiste e qualcuno l'ha già cantato in un certo modo. La musica nasce ogni volta, e il più grande tradimento che possiamo fare all'autore è eseguirlo "tradizionalmente" seguendo le orme di questo o quello.
Conosco il Requiem di G. Verdi da quanto ero adolescente, ma me ne innamorai a fondo quando ebbi l'opportunità di cantarlo col coro del Teatro Regio di Torino a Nizza M.ma. Ebbene, c'erano due o tre punti che non mi soddisfacevano: il Te decet himnus, all'inizio, e il Sanctus. Li trovavo fracassoni, confusi, poco spirituali. Ne ho sentite decine di edizioni con i più grandi direttori e solisti. Un bel giorno sentii il Sanctus diretto da Celibidache, quando ancora sapevo poco o nulla di lui. Rimasi a bocca aperta e mi venne proprio da dire: "caspita, ma allora non è Verdi che l'ha scritto male, sono gli esecutori che non lo sanno affrontare!". Quindi cercai il disco e lo ascoltai per intero, e ancor più stupefatto rimasi all'ascolto del "te decet hymnus". Ne feci una raccolta di decine di versioni, da Giulini a Karajan, a Toscanini, a Muti, Abbado, Bernstein, ecc. ecc. Ebbene, messe una vicina all'alta risultavano pressochè tutte identiche! Cori di avvinazzati (Toscanini in testa). E quante volte ho letto e sentito costoro affermare che rileggevano e ristudiavano le partiture come fossero nuove. E invece non è così, nessuno di loro ha saputo veramente azzerare la memoria e rimettersi a studiare il brano come non fosse mai esistito ed entrare in quelle parole come se fosse Verdi e ricreare quella musica come una cosa loro, trovare la freschezza, la verità che illumina ogni frase verbale e musicale. In Celibidache ho potuto apprezzare proprio la "verginità" con cui affronta, legge e lavora con l'orchestra, il coro e i solisti al fine di raggiungere il più alto livello di verità possibile, come se tutti insieme stessero creando in quel momento quel brano.
Quanti allievi e cantanti eseguono, per es. "vaga luna" di Bellini, ma quanti la cantano dando il senso giusto ad ogni sillaba (come fosse la più importante), ad ogni parola (come fosse la più importante), ogni frase ... per far sì che il brano diventi, come è, un piccolo capolavoro dove nulla può essere meno importante, ogni cosa deve trovare la propria luce, il proprio colore, la propria magia, la propria corrispondenza nelle corde (cuore) di ciascuno di noi. Son poche note, son poche parole semplici, ma sono anche un cerchio chiuso, perché chi l'ha composto sapeva "chiudere i cerchi" e chi canta e suona deve aver consapevolezza di questo. Cantare andando dietro alle note, buttare le vocali, le parole senza coglierne fino in fondo il senso e le relazioni, significa buttarlo via e buttarsi via. Non comprendere il giusto tempo complessivo e dei singoli elementi vuol dire ucciderlo. Idem per le dinamiche. Nel momento dell'esecuzione conta solo questo intreccio di relazioni che si devono riconoscere e trasmettere, da spirito a spirito. Mal sopporto le minimizzazioni tipo "Ah, quel brano è semplice". Non esistono brani semplici; esistono brani meno impegnativi dal punto di vista vocale o musicale, ma spesso, come sappiamo, la semplicità richiede molto più impegno e concentrazione di brani complessi e molto elaborati. Questo approccio è l'unico che porta all'arte, e vale per l'esercizietto come l'arietta e la grand'aria e un intero oratorio o opera. A lezione mi soffermo per molto tempo su esercizi di parlato dove deve emergere non semplicemente la buona pronuncia, la comprensione, ma la veicolazione di quanto detto. Se all'interno di una frase, per quanto breve e "anonima", non si raggiunge quel SENSO (direzione), dato dalla UNICA possibilità di giustapposizione dei vari elementi collegati relazionalmente tra loro, non posso permettere di proseguire. Diventa un'esecuzione priva, per l'appunto, di senso, quindi sostanzialmente fine a sé stessa, inutile, meccanica, priva di qualunque spirito vitale. Si tratta preliminarmente di comprendere a fondo come e quanto infondere in ciascun elemento verbale e musicale al fine di realizzare un percorso che ha un inizio e una fine, che devo riconoscere, non inventare, e entro cui devo instillare quel minimo di energia affinché possa emergere e coinvolgere tutti. Dall'inizio alla fine.
Ogni sillaba come fosse la più importante!!!!
RispondiEliminaAltro stupendo post!
RispondiEliminaChe dirti Maestro....
RispondiEliminariesci a scrutare nell'anima.
Non so spiegarti, ma ti prego di credermi, ci sono dei momenti in cui canto e penso "ecco questo suono farebbe piacere a Fabio". Posso dire che il canto è pensiero? Mi capita da un pò di tempo, di dare la giusta importanza alle parole, la giusta pronuncia, la giusta energia, il tutt'uno, la fusione. Ma mi accorgo a posteriori, questo non so spiegarmelo, che il pensiero cantato esce fuori, si mostra,come se non avesse leggi, vincoli. Cioè tra l'inizio del canto e la fine c'è come uno spazio unico interamente mio dove sono libero, gioioso, a volte estatico... il bello è che me ne accorgo e ci rifletto dopo. Sicuramente mi sarò spiegato male, sai bene che non sono bravo a scrivere :-) Grazie ancora una volta Maestro!
Arte del canto come flusso mentale operante. Questa la grande lezione del m° Antonietti. Inoltre, come ha ricordato Anna Maria, la fine è contenuta nell'inizio; questa la lezione del m° Celibidache. Ogni momento deve essere in relazione con ciò che precede, ciò che segue, con l'inizio, la fine e il punto massimo.
Elimina"La fine contenuta nell'inizio".
RispondiEliminaFabio Poggi è un grande Maestro, generoso e con un animo nobile!
Mi unisco al coro di lodi: grande Fabio, grazie di dimostrarci che la VERITA' è gratis, non ha fini di lucro nè altri secondi fini!!!
RispondiEliminaEhhh, l'importante è che quanto scrivo possa essere di qualche utilità. Guai se fosse fine a sé stesso o se fosse un modo per "realizzare" me stesso. Ho sempre detto che lo scritto, le teorie, restano un po' inconcludenti, ma possono avere un ruolo orientativo importante, e mi auguro che almeno un po' possano servire a questo. Per il resto... ci vuole la scuola. Grazie a tutti.
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