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sabato, maggio 30, 2020

Mi son dimenticato di crescere, ovvero... semplificare.

Un essere vivente che nasce e si sviluppa, qualunque cosa accada non è che a un certo punto possa dire: "mi son dimenticato di crescere!". Vale anche nell'apprendimento di una qualunque arte; si fa frequentemente riferimento alla memoria quando non si riesce a fare bene un qualcosa, ma tale riferimento non è corretto se riguarda lo sviluppo, anche se un ruolo ce l'ha, ma propriamente opposto! Cioè la nostra indole mnemonica, avvalorata da una scuola sempre meno del pensiero e sempre più della memoria, vuol ricordare fatti, sequenze, sensazioni... ma noi in realtà dovremmo dimenticare gran parte  delle cose che ci accadono in questo percorso, per vivere la maturazione, l'evoluzione che si verifica quando esso è correttamente esperito (per la verità alcune cose potrebbero servirci, e infatti le classifico come "cassetta degli attrezzi"; dimenticare in questo senso vuol dire: smettere di fare). Potrebbe giovare, per contro, ricordarsi di ciò che NON bisogna fare, ciò che l'insegnante ci ha ripetutamente invitato a togliere, a evitare. Crescere, evolversi, è un dato insito nella nostra natura, che non ha bisogno della memoria, ma deve solo essere lasciato libero. Arte è liberare! Non è che l'uomo non si evolve perché lo dimentica o perché è una cosa tremendamente difficile, ma perché non lo lascia avvenire (il che è altrettanto difficile!).
Un bambino di sei anni con una penna in mano che impara a scrivere, si trova ad affrontare una prova durissima, già non riesce a tenerla bene in mano, dopodiché fare i "ghrigori" che insegna la maestra è una tortura; il risultato sono segni tremolanti, insicuri, vacillanti. Così come quando si impara a camminare. Ma se lo stesso accadesse a 20, 30, 40... anni, non sarebbe diverso, anzi! E così ogni qualvolta si impara un'arte. Così come passando gli anni la scrittura diventa fluida, semplice, anche il canto lo può diventare, ma per molti questa "tecnica" resta dura e necessitante di esercizi lunghi e impegnativi. Tanto di cappello a quanti vivono per decenni nella quotidiana necessità di fare ore di vocalizzi, curarsi mal di gola e raffreddori, ma se noi dovessimo ogni giorno fare esercizi di scrittura per mantenerla, credo non scriverebbe più nessuno (cosa da cui non siamo così lontani, con il passaggio a computer e cellulari). Allora non nascondiamo che i primi tempi in cui si studia canto le cose vanno un po' allo stesso modo, bisogna imparare a perfezionare il parlato (quindi consideriamo che rispetto a scrivere o camminare, nel canto partiamo da.. +10, e non proprio da zero!) e questo ci crea ansia, dubbi, insicurezze, e si riflette sul canto che risulterà vacillante, spezzettato, diseguale. Questo è dovuto a un fiato inadeguato a ciò che dobbiamo affrontare. Ma gli esercizi che si fanno, se sono quelli giusti e affrontati nel giusto modo, fanno sì che il fiato cresca, si evolva, si sviluppi secondo quella esigenza, dunque... cresce. Non abbiamo bisogno di ricordarlo! ma viceversa, dobbiamo ricordarci di... TOGLIERE, di semplificare. E' come una trave di cemento armato, che per circa un mese ha bisogno di un'armatura che la sostenga, perché la presa e l'indurimento sono lente, hanno bisogno di tempo per raggiungere una sufficiente resistenza, ma dopo vanno tolte. E così nel canto bisogna togliere tutte quelle affettazioni che nei primi tempi possono essere necessarie, quando non si pronuncia bene una certa vocale, quando non si apre bene la bocca, quando si prendono posture inidonee, ecc. ecc. Tutto deve diventare come quando si parla normalmente. Solo in momenti particolarmente impegnativi può essere necessario fare ricorso a qualche accentuazione, ma sempre nello spirito di togliere, cioè di eliminare ogni artificio, ogni meccanicità, ogni esagerazione. L'unico elemento che invece sarà da consolidare è la postura "nobile", cioè lo star ben diritti con sostegno del petto, come dicevano i militari (e le antiche scuole di canto). Ricordiamoci che se il canto è avversato, almeno per un certo tempo, dal nostro istinto, è perché esso è pigro, ed è maestro di pigrizia. Tenere un profilo nobile non è per niente riposante, ma necessario.

martedì, maggio 26, 2020

L'elenco telefonico

E' d'uso, specie nel mondo teatrale, usare la metafora: "non stai recitando l'elenco telefonico" per dire che c'è monotonia, mancanza di colore, e di senso. Si potrebbe anche dire: non stai recitando la tabellina del cinque! In effetti una gran parte dei cantanti, anche importanti, celebri, e persino tra quelli storici, la recitazione quasi non conta, si limitano a cantare le note e le parole. Quando si dice pronuncia bene, sembra che il compito sia finito. A parte che per moltissimi pronunciare è dire le parole, che, grossomodo, si comprendano, spesso dovendo anche fare dei compromessi con la "tecnica". C'è un'aria che a me è sempre piaciuta molto: "infelice e tuo credevi", cantata dal basso, Silva, nell'Ernani di Verdi. Un giorno ascoltai un basso, che mi lasciò di stucco. Una vocetta fissa e incolore. Sentii anche dei commentatori radiofonici dileggiarlo. Va bene, forse la vocalità poteva essere migliore, però c'era un fatto capitale: in quell'esposizione si sentiva Silva! cioè un vecchio fragile, se pur nobile e pieno d'orgoglio, a cui era appena cascato il mondo sotto i piedi; credeva di poter amare una fanciulla giovane e illibata, ma improvvisamente si accorge che non ha speranze e torna a contarsi gli anni e dover vivere solo col suo orgoglio e poi con la sua sete di vendetta. Quale basso può cantare con la stessa sincerità questo testo, con la musica sublime di Verdi? Tutti presi a far sentire un vocione, la "cavata"... Sicuramente ci prova Christoff e Chialiapin ci va anche un po' più vicino, Pinza è molto bravo, ma nessuno rinuncia a mettere una bella massa di suono e di colore. Non fanno male Lawrence Tibbett e Marcel Journet, ma in ogni modo siamo ancora piuttosto lontani dal vero. Cantare un'aria come questa vuol dire davvero avere un'umiltà infinita e aver messo del tutto a tacere la voce dell'ego. Impresa quasi impossibile. Chi canta opera in primo luogo pensa alla voce, a far sentire la voce, a far sentire quanta ne ha, poi come sa ben cantare, che begli acuti ha, che bei bassi ha. Poi, magari, anche che sa pronunciare e magari che sa fare piani e forti. Per molti cantare bene quest'aria significa al massimo cantarla un po' piano, ma quanta intenzione c'è nelle parole. Poca, anche pochissima. Qualcuno per cantar piano arrotonda tutto fino a far diventare "unfuluce, e tuu crodovu". Comunque, non volevo soffermarmi su quest'aria, ma solo a prenderla ad esempio di un problema gigantesco, che coinvolge vocalità e spiritualità. Noi possiamo cantare benissimo ma se davanti a tutto ci siamo noi, non si arriverà mai alla musica, al teatro, e alla verità. Verdi voleva la parola scenica. Ecco qua. Povero Verdi, illuso utopista. Non sapeva con chi aveva a che fare, e fu ancora fortunato da avere alcuni cantanti realmente meravigliosi, figuriamoci se avesse sentito ancora i cantanti successivi... beh, probabilmente avrebbe fatto come Rossini, si sarebbe fermato a metà e avrebbe continuato a gestire il podere di Sant'Agata.

venerdì, maggio 15, 2020

La sequenza degli eventi

Riprendo un vecchio post, perché lo ritengo particolarmente importante, con qualche variazione lessicale.
Si è portati a pensare al canto come a una sequenza temporale di avvenimenti: si prende fiato, il fiato si immagazzina, si atteggia una postura, inizia un'emissione d'aria che incontra le c.v., si attacca il suono che risale, si pronuncia, eventualmente, e alla fine il risultato si diffonde nell'ambiente. Questo modo di pensare sequenziale ci porta quasi fatalmente a un attacco interno e a un trascorrere del tempo prima che le cose accadano. Infatti noto che molti allievi provenienti da altre scuole spesso impiegano qualche secondo prima di attaccare. Facciamo caso al fatto che noi parliamo in modo istantaneo; anche senza prendere fiato noi possiamo attaccare un suono direttamente sulle labbra o fuori. Voler emettere un suono e farlo può essere istantaneo. Questo è un dato fondamentale! La sequenza delle azioni che noi facciamo per cantare, è spesso frutto di una errata coscienza, di tipo meccanico, e non corrisponde a una verità artistica, ma che è anche nella Natura umana più evoluta, cioè la parola. Si potrebbe dire che il procedere degli atti è quasi opposto a quello che immaginiamo, cioè l'aria che permea tutto l'ambiente si mette a suonare nel momento stesso in cui lo vogliamo, prelevando (come una pompa!) l'aria dai polmoni. Se noi, quindi, immaginiamo il funzionamento come istantaneo e "al contrario", cioè che nasca da fuori e si alimenti automaticamente (come il motore nei confronti del carburante), avremo un approccio più morbido, molto più spontaneo e quindi molto meno meccanizzato e sequenziale. Del resto il cantante nel pieno impegno di un'opera, di un'aria, non pensa certo a cosa sta succedendo, canta e basta (anche se non sempre è così, ho potuto vedere e sentire cantanti talmente "costruiti" da essere imbarazzanti per quanto mostrino di pensare continuamente a ciò che ritengono di dover fare, eliminando ogni spontaneità e ogni senso espressivo e artistico dalla loro attività). Quindi, non si pensi che sia l'aria che risale dai polmoni a far vibrare le c.v.; esse sono attorniate da aria, che nel momento stesso in cui lo desideriamo, possono vibrare, e a quel punto non c'è più la modesta velocità di un fluido in movimento, ma la velocità del suono! (circa 340 m/sec nelle condizioni normali), quindi, per la nostra percezione, le cose avvengono pressoché istantaneamente, non c'è alcun tempo.

giovedì, maggio 14, 2020

La fame d'aria

Capita abbastanza spesso che gli allievi di canto non sappiamo gestire il fiato e respirino troppo frequentemente, spezzando le frasi o comunque facendo percepire un certo disagio, nel senso che si avverte il timore di non farcela ad arrivare a un punto corretto per respirare (per la verità ci sono anche coloro che sembrano voler vincere una gara dimostrando di poter tenere il fiato più d'un sub). Sulla questione pesano diversi punti.
1) non si inspira bene. Inspirazioni molto frettolose, rubate, rumorose, solo col naso, non riforniscono sufficientemente, per cui dopo pochi secondi il cantante avverte già lo stimolo a riprendere fiato. Il fiato va preso sempre con la bocca (E col naso) il più silenziosamente possibile, il più tranquillamente possibile, rilassando in particolare la zona tra il mento e il collo.
2) si canta "strizzando" i muscoli addominali. Nei primi tempi di studio (primi tempi che possono anche durare più d'un anno) è bene lasciare rilassata la parete addominale; quando si passerà alla respirazione costale, si dovrà stare "alti" sul fiato, tenendo appena tonici i muscoli della parte alta della parete addominale (plesso solare) ma senza pressioni, il fiato, ovvero i polmoni, non vanno mai compressi, il fiato deve poter "galleggiare". Premere può causare problemi anche gravi e comunque non darà mai un buon canto. Se si spinge il fiato contro la laringe, essa per proteggersi comincerà a svilupparsi, ingrossando i tessuti muscolari, e questo non va bene, perché si perderà elasticità, tonicità, flessibilità, indispensabile a un canto di qualità.
3) si canta premendo la voce verso l'esterno. E' un errore che può essere indotto anche in buona fede pensando di mettere fuori la voce. Non è affatto così; la voce deve fluire scorrevolmente come un alito, senza la minima pressione, soprattutto sulle note lunghe, appena passato l'attacco (che non dovrebbe comunque subire pressioni, ma diciamo che può essere tollerabile per qualche tempo) ci si deve rilassare e lasciare che il fiato vada ad alimentare come un sospiro le vocali che si andranno a formare distanti, staccate da noi.
4) si spreca fiato pensando di dare carattere alla voce. Molti cantanti per sottolineare i momenti più coinvolgenti, fanno sospironi e versi di vario genere che non fanno altro che sprecare fiato e sporcare la voce e involgarendo il canto. In questi casi bisogna ripulire tutto, cioè imparare a cantare con sobrietà, con esattezza, evitando anche legature troppo accentuate, portamenti, ecc. Quando si sarà imparato questo si potrà riprendere utilizzando la giusta espressione, senza affettazioni.
5) non si bada ai fraseggi e si respira a caso e si dà troppa retta agli stimoli istintivi. E' evidente che l'istinto vorrebbe che si respirasse spesso, perché questa è la Natura. Quindi bisogna anche forzare un pochino, però questo si può fare se si sta attenti a ciò che si fa! Quindi segnare sullo spartito dove respirare e ancor più vistosamente dove NON respirare. Bisogna dire che ci sono persone che hanno un intuito particolare per respirare nei punti giusti, così come ci sono persone che sembrano fare apposta a respirare dove non devono!
6) Si pensa di risparmiare! Grave errore; non bisogna mai pensare o mettere in atto strategie per consumare meno aria, anzi, al contrario, la tensione deve essere a consumare, persino a sprecare aria, ovviamente non mettendo aria nella voce, ma considerando che la voce è fiato.

Quando si è pronti a passare alla fase 2, il fiato dovrà essere percepito orizzontalmente nel petto, con le punte sotto le ascelle, e il mantice quindi dovrà essere percepito come un dilatarsi e contrarsi orizzontale della massa polmonare, senza spinte dal basso, cercando sempre di sostenere il petto alto, senza rilasciare le costole. E' difficile e non deve portare tensioni di alcun tipo. Non farlo anzitempo e senza controllo dell'insegnante, si rischia la pressione sottoglottica.

Le corde vocali hanno un ruolo anche nella tenuta aerea. Se si sono forzate per qualunque motivo (urlare spesso, cantare a squarciagola, parlare scorrettamente e a lungo, fumare....), possono aver subito delle deformazioni, cioè ispessimenti muscolari. Questo farà sì che per metterle in vibrazione occorrerà maggior quantità e maggiore energia. Però è anche una trappola, perché in questo modo non se ne esce. Quindi ci vuole un periodo di parole nitide, ben scandite, ma anche a bassa intensità. In questo periodo, che comunque non è da considerare sotto i sei mesi, le c.v. potranno riprendere la loro elasticità e dimensione corretta e quindi l'espirazione dovrebbe tornare a consentire lunghi fiati. Se così non fosse occorre valutare se c'è una "perdita d'aria", e dovuta a cosa. Se si è formata, come può capitare, una imperfetta adduzione (ma un orecchio esperto l'avverte), si possono fare esercizi appositi. In questi casi comunque non nuoce una visita specialistica per verificare. In ogni caso è bene non farsi troppe preoccupazioni sulla durata del fiato. Se si studia correttamente si andrà incontro a un ritmo respiratorio regolare e sufficiente a cantare qualunque cosa, perché il buono studio può anche nascondere respiri rubati. Ciò che spesso tradisce non è il respirare spesso, ma lo stress generato dalla propria paura di far sentire che si respira.

martedì, maggio 05, 2020

La voce che cade

"Tieni su la voce, che cade", dicono molti insegnanti, e la cosa parrebbe anche avere senso, quando, soprattutto passando da una vocale all'altra, la seconda perde rotondità, nitore, morbidezza, per diventare più sguaiata, schiacciata, fissa e magari anche calante. E l'allievo, in sintonia con l'insegnante, cerca di "tener su", cioè di dare un sostegno alla voce dal basso, cercando di alzarla (poi c'è l'idea che così si perde la "maschera"! Aiuto!!). Alcuni suggeriscono, nel passaggio da una vocale all'altra, specie se verso vocali più ampie, di non aprire la bocca, perché abbassando la mandibola il suono segue questo andamento e quindi scende, o cade. In questo c'è un po' di verità, fin quando la voce è "attaccata", cioè non fluisce liberamente, non è pura; diciamo, citando il post precedente, fin quando non entra nella seconda onda. La verità, che ho più volte raccontato, è che non c'è niente da tener su, perché la voce non è un oggetto, è un flusso; ma soprattutto non c'è un qualcosa che possa tener su, non abbiamo gru, montacarichi e funi! Ciò che può determinare la bontà dell'emissione, oltre alla purezza, è la costanza, la continuità della stessa. Quindi ciò che dà l'impressione che la voce "caschi", è la minore fluidità, il frenare, non permettere la scorrevolezza, il che poi dipende anche dalla libertà che ha la stessa e dalle caratteristiche dell'alimentazione aerea. Purtroppo anche certe affermazioni empiriche miranti all'appoggio della voce, hanno esiti quasi sempre controproducenti. Uno dei più ricorrenti è: "quando vai giù pensa su e quando vai su pensa giù". Se anche questo può avere qualche effetto positivo, trovo particolarmente negativa, invece, proprio la prima affermazione, cioè il "pensare su" quando si scende. La prima cosa che capita è che le note basse siano crescenti. La seconda cosa, specie nelle donne, è che non si rientri più nel registro di petto. Questo può essere anche un esercizio da fare, ma consapevolmente! Se d'abitudine si scende con la corda sottile e non si rientra (cioè non si riesce a rientrare) in quella spessa, le cose non vanno bene. Gli allievi (soprattutto le allieve) spesso acquisiscono una vera paura nelle note discendenti, come se potesse capitare chissà cosa; e questo perché molte insegnanti mettono in guardia proprio contro il far suonare la corda di petto e lo squilibrio che si crea. Vero, ma questo squilibrio, che è istintivo, si risolve; non facendolo fare invece no, si rimane sulla corda sottile e questo comporterà davvero uno squilibrio e la mancata acquisizione di una voce realmente completa. Se ogni volta che cambiamo vocale, specie se da vocali strette a vocali larghe, noi pensiamo di alleggerire, alitare, entrare in seconda corda, o seconda onda (che non ha nulla a che vedere col "tenere su"), ci accorgeremo che tutto può essere più semplice e soddisfacente, senza manovre, ma togliendo!

domenica, maggio 03, 2020

La seconda onda

Sono piuttosto in dubbio sull'opportunità di questo post. E' comunque destinato a chi è già avanti nello studio, in prossimità della terza fase; gli altri possono leggerlo per curiosità e per farsi un'idea. In teoria con la giusta volontà potrebbero anche averne dei risultati, ma bisogna comprendere cos'è questa giusta volontà, che di solito viene interpretato come mettere qualcosa in più, mentre si intende il famoso "togliere". Questo però non basta, perché alla base c'è una determinata evoluzione respiratoria atta all'alimentazione vocale, in ogni modo in situazioni privilegiate può funzionare anche prima, però non ci si illuda troppo.
A cosa mi riferisco? All'emissione. Potremmo dire che la vocalità si contraddistingue con due "onde", che fanno riferimento alla purezza del suono di base. La voce normalmente emessa, compresa quella parlata quotidianamente, nonostante già goda di buone premesse, la associo a una "prima onda", che è più "pesante", è più impura, lenta, irregolare... La seconda onda è come se scivolasse sopra la prima, è più leggera, rapida, costante... è come l'aria calda che scorre sulla fredda (e non per nulla noi suggeriamo di associare alle vocali una emissione paragonabile all'alito, cioè aria calda). Questa seconda onda, che col tempo deve diventare l'unica, nel canto, la si percepisce anche più lontana, più distaccata da noi; percepiamo il risultato quasi unicamente tramite le orecchie, e sempre meno tramite le percezioni fisiche. Salire in questa modalità non ci darà quasi alcun senso di fatica, di immissione energetica, perderemo persino una chiara percezione (fisica) dell'intonazione, che sarà mentale e da controllare uditivamente. Perderemo il senso del limite acuto, il che non ci deve portare a fare sciocchezze! Inizialmente, quando entriamo nella seconda onda (e in un certo senso ci aiuta anche a entrarci), la voce ci apparirà debole, molto chiara, poco sonora, dissipante il fiato. Avremo la sensazione che il fiato non duri niente, sia una situazione quasi inconsistente, e avremo anche paura di pronunciare, come se questa potesse "rompere" l'incantesimo; perderemo ogni sensazione di appoggio tradizionalmente inteso. Il primo successo sarà la capacità di rilassarci. Il secondo successo è che cominceremo a sentire la nostra voce che suona (magicamente) nella stanza dove cantiamo. Il terzo successo sarà che riusciamo a parlare in quella modalità e percepiremo la nostra voce molto più sonora, più omogenea. Poi tutto ci sembrerà più facile, la nostra voce per poco o niente che facciamo la sentiremo subito ricca, sonora, ampia, riconosceremo immediatamente gli errori e impareremo a correggerli... togliendo! La voce che "plana", che come un meraviglioso uccello distende le ali e senza movimenti compie lunghe trasvolate fidandosi ciecamente dell'aria che lo sostiene. Così anche noi, che spingiamo, premiamo, sosteniamo la nostra voce pensando di aiutarla, smetteremo di farlo, ci fideremo finalmente del nostro fiato che saprà fare la sua parte, e ci renderemo conto che non dobbiamo intralciarlo. Come si raggiunge questa condizione, che può apparire utopistica? In primo luogo alleggerendo, togliendo forza e ogni contributo attivo, sospirando. Per quanto ci si sforzi, questa condizione è impensabile, e quasi nessuno riesce a togliere realmente per anni! non si riesce a immaginare che la voce possa uscire pressoché da sola, eppure è qualcosa che capita di fare anche nella vita comune, però tutto ciò che facciamo spontaneamente, che quindi la mente conosce, non è nella nostra coscienza, quindi non sappiamo riprodurlo volontariamente. Occorre tantissimo studio assistito da chi questa condizione possiede, conosce e sa come arrivare ad ottenerla. Non esiste nessuna teoria, nessun metodo e nessuna scienza. E' arte e basta, è qualcosa che trascende la fisicità e la fisiologicità. Fa parte della creatività, della spiritualità. La possibilità di accedere alla seconda onda è anche legata alla unicità cordale, cioè alla sparizione dei registri. La prima onda è legata in primo luogo al cosiddetto registro di petto ma anche alla corda sottile laddove essa è slegata dall'altra; la seconda onda ci apparirà anche come una sorta di "fischio", cioè le vocali suoneranno come una brezza leggerissima e scorrevole che prende suono uscendo dalla bocca proprio come un fischio, ma senza atteggiamento labiale (alcune persone sanno anche fischiare in questo modo). Altra questione importante, molto importante, riguarda la modificazione della pronuncia. Essa perde lentamente il carattere fortemente articolatorio delle parti dell'apparato orale (lingua, labbra, mandibola...) per diventare puro pensiero, come se tutta l'articolazione (ma ridotta nei movimenti dell'80%) si spostasse un metro avanti a noi. Questo spesso lo facciamo naturalmente parlando (anche se a scapito della comprensibilità), e diventa possibile, ma con perfetta pronuncia perché alimentata perfettamente. Ovvio, che tutto dipende dall'evoluzione respiratoria, cioè quella condizione del fiato inimmaginabile che nel canto perde la sua funzione respiratoria in senso stretto (pur mantenendola) per diventare flusso alimentante strumentale. E' ciò che definiamo respirazione "galleggiante", cioè priva di ogni appoggio, spinta, pressione, ecc. Ultima cosa: è fondamentale l'attacco. Non si può entrare nella seconda onda correggendo o modificando un'emissione impura, imprecisa, indecisa, insicura. O si entra o si sta fuori. E l'attacco, pur nella levità, nell'assoluta leggerezza, deve avvenire con decisione ma a distanza, lontano da noi, sulla cosiddetta "punta" del fiato. Nella rozza immagine che inserisco, che sinceramente è piuttosto distante da quanto vorrei rappresentare, si vede la seconda onda che esce e scorre sopra la prima. Per la verità la sensazione non sarà più che la voce esca dalla bocca, perché si forma direttamente fuori e in una posizione più elevata, subito sotto l'attaccatura del naso (ma, ripeto, ben più distante). Bene, concludo con qualche esitazione sulla pubblicazione, e mediterò se lasciarla, anche se quanto ho scritto non dovrebbe causare alcun problema vocale. Ma non si sa mai!