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martedì, maggio 26, 2020
L'elenco telefonico
E' d'uso, specie nel mondo teatrale, usare la metafora: "non stai recitando l'elenco telefonico" per dire che c'è monotonia, mancanza di colore, e di senso. Si potrebbe anche dire: non stai recitando la tabellina del cinque! In effetti una gran parte dei cantanti, anche importanti, celebri, e persino tra quelli storici, la recitazione quasi non conta, si limitano a cantare le note e le parole. Quando si dice pronuncia bene, sembra che il compito sia finito. A parte che per moltissimi pronunciare è dire le parole, che, grossomodo, si comprendano, spesso dovendo anche fare dei compromessi con la "tecnica". C'è un'aria che a me è sempre piaciuta molto: "infelice e tuo credevi", cantata dal basso, Silva, nell'Ernani di Verdi. Un giorno ascoltai un basso, che mi lasciò di stucco. Una vocetta fissa e incolore. Sentii anche dei commentatori radiofonici dileggiarlo. Va bene, forse la vocalità poteva essere migliore, però c'era un fatto capitale: in quell'esposizione si sentiva Silva! cioè un vecchio fragile, se pur nobile e pieno d'orgoglio, a cui era appena cascato il mondo sotto i piedi; credeva di poter amare una fanciulla giovane e illibata, ma improvvisamente si accorge che non ha speranze e torna a contarsi gli anni e dover vivere solo col suo orgoglio e poi con la sua sete di vendetta. Quale basso può cantare con la stessa sincerità questo testo, con la musica sublime di Verdi? Tutti presi a far sentire un vocione, la "cavata"... Sicuramente ci prova Christoff e Chialiapin ci va anche un po' più vicino, Pinza è molto bravo, ma nessuno rinuncia a mettere una bella massa di suono e di colore. Non fanno male Lawrence Tibbett e Marcel Journet, ma in ogni modo siamo ancora piuttosto lontani dal vero. Cantare un'aria come questa vuol dire davvero avere un'umiltà infinita e aver messo del tutto a tacere la voce dell'ego. Impresa quasi impossibile. Chi canta opera in primo luogo pensa alla voce, a far sentire la voce, a far sentire quanta ne ha, poi come sa ben cantare, che begli acuti ha, che bei bassi ha. Poi, magari, anche che sa pronunciare e magari che sa fare piani e forti. Per molti cantare bene quest'aria significa al massimo cantarla un po' piano, ma quanta intenzione c'è nelle parole. Poca, anche pochissima. Qualcuno per cantar piano arrotonda tutto fino a far diventare "unfuluce, e tuu crodovu". Comunque, non volevo soffermarmi su quest'aria, ma solo a prenderla ad esempio di un problema gigantesco, che coinvolge vocalità e spiritualità. Noi possiamo cantare benissimo ma se davanti a tutto ci siamo noi, non si arriverà mai alla musica, al teatro, e alla verità. Verdi voleva la parola scenica. Ecco qua. Povero Verdi, illuso utopista. Non sapeva con chi aveva a che fare, e fu ancora fortunato da avere alcuni cantanti realmente meravigliosi, figuriamoci se avesse sentito ancora i cantanti successivi... beh, probabilmente avrebbe fatto come Rossini, si sarebbe fermato a metà e avrebbe continuato a gestire il podere di Sant'Agata.
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Ciao Fabio! Penso che il maggior difetto di tutti i cantanti è propriamente l'ego. Ho studiato canto già piú di venti anni, e non sono riuscito ancora ad arrivare sulla strada giusta. In questo lungo percorso ho avuti molti momenti in cui c'è stato qualche "illuminazione" e la voce veniva quasi da sola, per dire. E mi sentivo molto bravo di farmi sentire con piú libero e con più volume che i miei amici, sognavo ogni notte di cantare in tutti i teatri famosi del mondo. Questi momenti "illuminati" non duravano più di tre o quattro settimane. Cosi come venivano da soli, si sfummavano lo stesso. A un certo punto mi ho quiesto il perchè di questi succesi e sono arrivato alla conclusione che il mio ego era cosi tanto che se avessi affermato in mé questa illuminazione e maggia, sarebbe finito non so dove.
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