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mercoledì, luglio 15, 2020
Quel "di più"
L'uomo si trova sul confine tra la Natura - l'ecosistema, la materia - e il regno della metafisica, della creatività, dello spirito, dell'inconsistenza. A questo secondo insieme appartengono tutti i manufatti e le opere dell'uomo, vuoi dell'ingegno che della fantasia. Ciò che esiste in natura sarebbe destinato alla caducità se non ci fosse l'uomo che ne può valorizzare l'essenza. Un albero muore e il suo legno è destinato a marcire e a sfamare varie specie animali e vegetali quindi a sparire, oppure a incendiarsi, se viene colpito da un fulmine o attaccato da un incendio, o ancora a trasformarsi in carbone, in un lungo tempo, se ne ricorrono le condizioni. Ma anche in quella forma, senza l'uomo rimane senza scopo. Una enorme montagna di marmo resterebbe lì a consumarsi nei millenni, se non fosse arrivato un uomo a pensare di crearci una scultura. Cosa distingue un pezzo di marmo qualsiasi staccato da una montagna con un pezzo di marmo scolpito? Quantitativamente si tratta sempre di un pezzo di marmo. L'uomo vi ha infuso... che cosa? la qualità. Cioè la Conoscenza. Come ho detto, l'uomo sta su un confine tra due insiemi, due regni. Anche le arti si trovano su quel confine. Un'arte per potersi manifestare ha bisogno degli strumenti per poter forgiare le opere, e ha anche bisogno delle materie da forgiare. Sicché anche il canto sta in mezzo. La parte di uomo appartenente alla Natura possiede il corpo e gli strumenti fisici per produrre il suono. Questo suono però è puramente fisico, può servire solo per attirare l'attenzione, per spaventare, piangere, comunicare (ma in modo alquanto sommario) e poco altro. Già la parola non farebbe parte della Natura, ma per esigenze esistenziali ataviche, questa, non senza difficoltà, entrò nel quadro naturale, richiedendo un notevole sforzo da parte della natura stessa, che dovette modificare diversi parametri posturali di non poco conto per consentire l'aggiunta di questo senso. Entra quindi anche la parola nel panorama dell'uomo-animale, ma solo ad un livello minimale, cioè quello che consente il minor impegno fisico possibile. L'altro "pezzo" (cioè la parola attoriale e artisticamente cantata) resta nell'insieme extra naturale e quindi per poterla conquistare è necessario quel "di più" che solo una elevata conoscenza può infondere. Non c'è quantità, ma qualità, e questa qualità non richiede sforzo fisico, muscolare, pressioni e conoscenze scientifiche per potersi manifestare, ma ingegno, creatività, intuizione, fantasia, e proprio del contrario del lavoro fisico, cioè di "togliere" gli attributi muscolo scheletrici che di fatto ostacolano, impediscono quel flusso creativo che da solo è in grado di plasmare il suono e di attribuirgli quei caratteri di elevatezza spirituale che ognuno di noi possiede. Per cui non potrò mai smettere di insistere sul fatto che per conquistare la grande voce artistica bisogna lavorare sul piccolo, sul poco, sul sospirato, sul semplice. Ogni pressione, ogni spinta, ogni forza, ogni movimento indotto non fa che allontanare dall'obiettivo. Poi dietro a questo c'è bisogno anche di un pensiero (non mentale) che sostenga questa possibilità, perché la nostra mente ci allontana, ci distoglie e ci fa provare sensazioni negative. Più noi ci riconosciamo e ci immedesimiamo in questo corpo mentale, meno possibilità abbiamo di entrare nella nostra parte creativa e metafisica e quindi di dar vita a questa straordinaria creazione che è la voce sublime ed esemplare.
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