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martedì, novembre 10, 2020

La rivoluzione vocale

 La proposta di questa scuola di canto, che deriva da un pensiero profondo, da riflessioni lungo decenni, fondata su esperienze, risultati, osservazioni, dovrebbe essere la normalità, e invece finisce per manifestarsi come una rivoluzione laddove la normalità è rappresentata da un coacervo di formule meccaniche (perlopiù mal masticate e mal digerite) senza fondamenti e strumenti artistici e soprattutto antropologici. Se così non fosse non sarebbero ignorati due aspetti ineliminabili del percorso propedeutico: la parola e l'istinto. La parola è considerata un "di più", una necessità per aderire al testo dei brani, e spesso pure un impiccio, di cui non tenere in considerazione più di tanto, e quasi sempre da piegare, cioè da modificare, in virtù delle necessità del suono. 

Il suono è un "pezzo" della voce, un elemento comune a gran parte del regno animale, che non ci contraddistinguerebbe se non avesse potuto contare su un'aggiunta evolutiva, appunto la parola. Essa ha un costo in termini di energia, e per questo motivo l'istinto, l'altro grande dimenticato, la tiene al minimo regime. Come tutte le cose nell'uomo questo "minimo" non è uguale per tutti (anche questo ha precise ragioni gnoseologiche), per cui alcuni sono in possesso naturalmente di voci già molto poderose, sviluppate, oltre a possibili doti musicali, ritmiche, espressive, drammaturgiche, ecc. Questo può aiutare ma non automaticamente proiettare nel regno dell'arte, perché l'istinto è sempre in agguato. Per poter accedere al mondo dell'arte, dobbiamo fare i conti con lui, che è progettato e funziona per preservare le nostre condizioni fisiche, cioè la nostra parte animalesca. Questo è lo scoglio imponente che dobbiamo affrontare. Ogni tentativo logico, scientifico, ragionato di cantare artisticamente si risolverà in un compromesso, più o meno fortuito, per cui si potranno avere risultati eccellenti, ma mai perfetti, mai esemplari. Per la maggior parte delle persone questo probabilmente basta e avanza. Ricordo un ragazzo che venne a farsi sentire, e a un certo punto disse: "a me non importa diventare perfetto, mi basta poter cantare". Non commentai, e non ho nulla da rimproverare. Ognuno deve e può scegliere la propria strada, se ne ha le opportunità, ovvero se si mette nelle condizioni di trovarle. Ma in realtà non è una scelta, cioè non è una scelta ragionata, è una NECESSITA'! Se non avverti tale necessità, c'è poco da cercare, ti interessa il "lavoro", ti interessa l'impiego, l'occupazione, lo stipendio. Non ti interessa realmente l'arte, il tuo completo coinvolgimento, non ti interessa dare, ma prendere. 

L'istinto è una intelligenza, rozza, grossolana, ma molto rapida e cieca. Non interviene in basa a ragionamenti elaborati (non è in grado di elaborare), ma ogni qualvolta percepisce, tramite i sensi, un seppur lontano accenno di minaccia al funzionamento regolare e preordinato del corpo. Il canto interviene sulla respirazione, non funziona con il normale ritmo e ciclo respiratorio, necessita di tempi, quantità e qualità proprie, che non collimano con quelle fisiologiche. Il ciclo respiratorio regolare dura un paio di secondi, assorbe rapidamente aria contenente ossigeno per restituire anidride carbonica e in questo ciclo non vi è alcuna pressione né verso l'interno né verso l'esterno. Un ciclo vocale invece può durare molti secondi,

ed emette suoni e parole, quando è perfetta VOCE PURISSIMA, avente tutte le caratteristiche potenziali del nostro corpo e del nostro spirito, ma crea o può creare pressioni sia verso l'interno che l'esterno. Questi due fattori mettono in allarme e in reazione l'istinto, che crea i problemi e i difetti. 

La componente metafisica è indispensabile. Chi ritiene che il mondo del canto riguardi solo aspetti fisici è del tutto fuori strada. E molto probabilmente questa è la causa principale di quanto dicevo all'inizio, cioè si vuole entrare nel campo dell'arte vocale ma senza impegnare la sfera creativa, che è difficile ma anche problematica, perché ci induce a guardarci dentro, a capire chi siamo, come siamo fatti (non anatomicamente, intendo), cosa vogliamo, i nostri problemi, i nostri desideri, perché, e cosa siamo disposti a fare. Ci induce, e questo è il lato più "rognoso", a essere umili, ad abbattere il nostro ego, e questo, anche se non è il nostro istinto, si comporta nello stesso modo, ci guida e ci sprona in una direzione, che è esattamente all'opposto di qualunque obiettivo artistico. 

Stamattina in televisione c'era un'opera, come quasi tutte le mattine. Purtroppo quasi ogni volta sono costretto dopo un certo tempo, a spegnere, perché mal sopporto un certo modo di cantare che ormai accomuna quasi tutti, che non è solo vocalità, come qualcuno può pensare; manca tutto un insieme di aspetti indispensabili alla creazione di un evento operistico, dall'aderenza musicale, a quella gestuale, quindi recitativa, drammaturgica, espressiva.. e poi anche vocale! Ma, per esempio, ieri è stata data un'opera registrata nel mica poi tanto lontano 1980 in un teatrino di tradizione. Beh, l'ho ascoltata tutta e con gusto! 40 anni fa si potevano ascoltare grandi cantanti, anche se la decadenza era già in corso, perché molti di quei cantanti, che in quella rappresentazione erano veramente notevoli, hanno poi concluso malamente la propria carriera. Ma, per tornare a stamattina, a parte alcuni, più o meno modesti, a un certo punto entra un basso, di corporatura notevole. Mai sentito prima. Apre la bocca e... ne esce un RUGGITO (beh, del resto ieri ho sentito un paio d'atti di una edizione delle Nozze di Figaro dove Bartolo GRACIDAVA! a riprova che l'uomo ha ancora molto in comune col regno animale). Quello che mi è saltato all'orecchio è che a parte il suono orrendo e l'impossibilità di comunicare alcunché, quello, che non si può nemmeno definire suono essendo molto più vicino al RUMORE, era lontano, dico proprio in termini di misura di lunghezza, dalla parola. Veniva da dentro proprio come quando vediamo un leone ruggire; per potersi avvicinare alla parola, il suono avrebbe avuto bisogno di avanzare un metro!! E' evidentissimo, lo colgo in modo immeditato quando ascolto i geni del canto, che tutto il processo vocale meraviglioso è ATTACCATO alla parola, e la parola sta DAVANTI a tutto. Il suono è dietro, è la sua riserva, è come il tender nei treni a vapore, è il suo rifornimento, ma non è la voce. La voce per l'uomo è la parola. PUNTO E BASTA! Ma anche nei migliori cantanti di oggi, rarissimamente sento la parola davanti al suono, perlopiù sento suono, dietro al quale si sente, più o meno bene, la parola. 

Qualcuno può pensare che io stia solo facendo una crociata in favore della comprensibilità del testo, ma non è questo (o solo questo), anche se è un dato fondamentale. Ciò che sto dicendo è che la parola è la MOTRICE della voce, è ciò che accende, aizza, eccita, istiga, scalda, agita il suono madre provocando la sua trasformazione in una cosa diversa, indefinibile come tutti gli oggetti d'arte, e la trascina nello sviluppo musicale di una frase, di un'articolazione musicale, ecc. Come sempre, bisogna stare accorti con la scrittura. Nello scrivere questo già penso alle possibili conseguenze negative su come tutto ciò o parte di ciò può essere interpretato. Parlare è veramente parlare, cioè ciò che facciamo normalmente quotidianamente, SEMPLICEMENTE. Invece il primo, spesso lungo, ostacolo da superare, è correggere il gridare, l'esagerare la pronuncia accompagnando con spinta, con forzature. Parlare ci pare troppo semplice, banale, che non può portare a niente, non è canto, non è voce lirica. Non riusciamo a intuire la forza propulsiva, ma anche trainante, svegliante, stimolante della parola, ma ciò che fa e deve fare la differenza è la componente interiore, l'intenzione, la sincera adesione al suo contenuto, che non vuol dire esagerare o contornarla con effetti o smorfie, ma comprendere ciò che si sta dicendo nell'ottica che tutti possono comprendere. 

1 commento:

  1. Anonimo2:24 AM

    La rivoluzione - in negativo - l'ha sancita il disco ormai un secolo fa e oltre. Prima dell'avvento della riproducilità di suoni registrati, era impossibile che la prassi dei cantanti si potesse discostare dal cantare come si parla. Sulle tavole di un palcoscenico, di fronte ad un pubblico di orecchio puro, vergine, non viziato dall'ascolto di dischi ingannevoli e fuorvianti, non ci sono scappatoie che tengano: o sei cantante-attore, o comunichi, o DICI, oppure non sei nulla. Ci sono milioni di recensioni che i collezionisti raccolgono da archivi di vecchi giornali, riviste... Fino almeno al primo Novecento, è quasi difficile distinguere se l'articolista stia recensendo uno spettacolo lirico oppure di prosa! "Tizio ha detto bene la sua aria", "Caia ha detto la tal frase con particolare edpressione" ecc... Del resto, almeno fino al 1950 è possibile riscontrare i rimasugli di quella perduta civiltà vocale, tramite le incisioni di molti cantanti vissuti a cavaliere tra Ottocento e Novecento. Ascoltavo anche io in questi giorni un po' di opere, tra cui il Turco in Italia di di Rossini. C'è una scena in cui la protagonista deve recitare una lettera leggendola con voce parlata (come in Traviata). Lì cascano tutte le somare! Il più delle volte infatti sembra che quella che canta e quella che legge siano due persone diverse, tanto la voce cantata è falsificata, alterata, contraffatta rispetto alla naturale voce parlata. Una oscenità da caricaturiste! Viceversa, la celebre edizione di Gavazzeni presenta nel ruolo del poeta il grande Mariano Stabile, ormai vecchio negli anni Cinquanta, ma degno rappresentante dell'età aurea dell'opera. Nonostante l'età senile surclassa di gran lunga le altre due voci gravi, assai difettose (Rossi Lemeni e Calabrese).

    Francesco N.

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