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lunedì, aprile 12, 2021

Dell'omogeneità

 E' comune opinione che l'omogeneità vocale sia tra i requisiti importanti nella valutazione di una voce. Sono sostanzialmente d'accordo, vediamo di cosa si tratta e cosa implica.

Per cominciare c'è da osservare che esistono diversi aspetti da esaminare, ovvero ci sono diverse omogeneità, eventualmente, da conseguire.

1) omogeneità della gamma vocale; ovvero la zona centro grave dovrebbe essere omogenea rispetto alla zona centro acuta. 

2) omogeneità del colore; ovvero la voce deve restare omogenea nel corso del canto, perlomeno su un medesimo registro espressivo (drammatico, lirico, comico, ecc.). 

3) omogeneità delle vocali; ovvero la voce deve restare omogenea nel cambio delle varie vocali che si presentano nell'articolazione.

Cominciamo ad esaminare le varie situazioni:

1) si vorrebbe che le varie fasce della voce (i cosiddetti registri), restino omogenee. Mi pongo una domanda: se è stato stabilito a un certo punto della storia che ci sono dei registri vocali, che sarebbe necessario "passare" da un registro all'altro e che per far questo necessiterebbe "coprire", ovvero oscurare il suono, mi domando come si possa poi pretendere omogeneità. La risposta potrebbe essere, e spesso è, oscuriamo anche i centri, così è tutto oscuro. Certo, è una risposta lapalissiana, ma c'è da chiedersi... perché, oppure c'è da chiedersi, perlomeno, se ha davvero senso cantare tutto scuro, qualunque repertorio, qualunque brano. La risposta è altrettanto lapalissianamente: no! In effetti noi, anche oggigiorno, possiamo sentire soprattutto i soprani leggeri e tenori di grazia che non oscurano affatto il registro acuto, e godono di ottima salute e successo. Dunque è evidente che ci sono conti che non tornano. Il fatto è che per alcuni il registro acuto va necessariamente oscurato (con conseguente modificazione della pronuncia di alcune vocali), per altri no. Qui si entra nell'annosa questione dei registri, che ho esposto e commentato decine di volte in questo blog. Vado avanti, cercherò poi di dare una soluzione complessiva.

2) La seconda situazione si collega in buona parte alla prima, ma parte da un altro punto di vista, cioè indipendentemente dalla questione "tecnica", cioè dei registri, se il cantante utilizza correttamente i colori vocali e li rende omogenei. Ad esempio è facile constatare come soprattutto le voci centro gravi, bassi e mezzosoprani-contralti, ma anche molti baritoni, non escano mai da un colore scuro, e questo per non essere indicati come possibili appartenenti a un'altra classe vocale. Io stesso, qualche anno fa, cantando "bella siccome un angelo" dal Don Pasquale di Donizetti, con colore volutamente chiaro, visto il tono ironico e il soggetto comico dell'opera, nonostante la facilità di canto anche nel settore centro grave, mi sentii chiedere alla fine "baritono o tenore?" (e nonostante la persone che me lo chiedeva mi avesse già sentito cantare molti altri brani, dove l'appartenenza era indubbia). Allora la Storia ci insegna che si appartiene a una classe vocale INDIPENDENTEMENTE dal colore vocale. Molti celebri e celebrati bassi e baritoni, ma anche tenori e soprani, avevano un colore chiaro naturale della voce, e non hanno mai inteso scurirla artificialmente, approcciandosi al repertorio drammatico con l'accento, e non con il colore. Uno per tutti: Giacomo Lauri Volpi. 

3) la terza è la situazione più critica, quella dove cadono gran parte delle scuole di canto degli ultimi decenni. E qui, chiedo scusa, ma si parla davvero di ignoranza. Partiamo da evidenti osservazioni: l'arco delle vocali può andare dalla più chiara (la I) alla più scura (la U) o viceversa, ma è un fatto innegabile che la fisica acustica espone in qualunque manuale con dovizia di grafici. Pensare che una U o una O possano "omogeneizzarsi" a una I o una E è da ritenersi pura follia. Però non voglio fermarmi alle prime considerazioni. Ci sono dei fatti comunque che potrebbero dare ragione a chi la pensa diversamente. Se noi prendiamo allievi di canto alle prime armi, salvo rare eccezioni, avremo ad esempio facilmente delle "A" alquanto brutte, sguaiate, molto aperte, e delle "I" e spesso anche delle "é" che potremmo definire aspre, stridule, pettegole o in altri modi poco lusinghieri. Da qui nasce per molti insegnanti la necessità (perché bisogna sempre trovare "il trucco" o "la scorciatoia") di rendere il tutto più piacevole, meno "infantile" e quindi più "lirico". Ed ecco nascere questa assurda necessità di "omogeneizzare" le vocali, ovvero togliere l'asprezza ad alcune di esse; come? Scurendole e rapportandole a una unica, che secondo un noto soprano bulgaro, è la "U". Quindi dovremmo far convergere tutte le vocali verso la U; la I diventa una "Ü" francese, la O una "Ö" tedesca, la A direttamente una O un po' larga, la e diventa una "Ë", anch'essa tedesca o francese... la U finalmente potrebbe restare com'è (ma per molti è troppo stretta e diventa quasi una O) e il gioco è fatto! Del testo non si capirà più un bel niente, ma per l'intellighenzia dei soloni della voce, questa è la soluzione. La verità, che la si voglia o meno, resta che le vocali sono belle e perfette nella loro essenza, nella loro verità, e che se si presentano difettose, come capita alla maggior parte dei principianti o in chi ha studiato male, la causa è solo e semplicemente del fiato che non le alimenta correttamente. Sappiamo bene che per molti insegnanti la A è una vocale "vietata". E magari si riempiono la bocca coi trattati del 700, dove però guarda caso di "omogeneizzare" le vocali non se ne fa il minimo cenno, anzi non si fa che raccomandare la perfetta pronuncia, e tra le vocali utili all'educazione, si cita quasi sempre la A tra le prime! Una corretta disciplina vocale lavora costantemente e senza sosta sulla perfetta dizione, così come è stata raggiunta dai più grandi cantanti della Storia! Senza alcun compromesso. E' proprio il pronunciare perfettamente ogni singola vocale, all'interno di parole e frasi, a educare il fiato e a far sì che si raggiunga la perfetta omogeneità, che non consiste nel mescolarle ignobilmente, ma nel far sì che ciascuna venga espressa senza durezze, senza salti timbrici o di intonazione, il che avviene sempre e solo per carenze respiratorie.

Sostanzialmente quanto ho esposto alla fine per la terza situazione, vale anche per le altre; è sempre l'educazione alla parola a permettere l'evoluzione respiratoria atta a superare ogni difficoltà e ogni disomogeneità, nonché a consentire l'uso di ogni possibile timbratura relativa all'espressività necessaria al brano. La questione delle differenze dovute alla copertura del suono nell'acuto, è anch'essa un falso problema, laddove si deve partire dalla osservazione che ogni "passaggio" deve essere eliminato, cosa non solo possibile, ma necessaria e legata alle caratteristiche biologiche del corpo umano, che non è una macchina e gli apparati non sono meccanismi, ma strumenti che si modellano e si adattano a seconda delle esigenze. Ci vuole, naturalmente, chi abbia cognizione di questo e sappia operare per questo obiettivo con competenza e pazienza. 

Ci sarebbe ancora un quarto punto, che potremmo chiamare "omogeneità di imposto". In un certo senso ho trattato tra le righe questo aspetto. Un cantante ingolato può essere tutto ingolato, altri possono essere nasali, altri liberi ma parzialmente, il che è quasi sempre evidente quando si usano tecniche che si basano sulle posizioni, per cui un cantante che è stato educato a spingere verso il basso, avrà una omogeneità verso suoni scuri ma schiacciati, non modulabili nel piano, nel legato, ma sempre sostanzialmente declamatori e chi alza verso il naso o la fronte (la cosiddetta maschera) che dovrà fare compromessi per la tendenza allo spoggio o al nasaleggiamento. Purtroppo tutte queste metodologie non riescono a uscire da problemi e compromessi, e gli insegnanti migliori sono quelli che riescono a rendere meno gravosa la situazione, ma c'è da notare, con amarezza, che nessuno più vuole avere a che fare realmente con le antiche scuole e con i grandi cantanti del passato, pur raccontando falsamente di ammirarli e di prendere esempio.

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