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venerdì, giugno 11, 2021

La porta chiusa

 Come per altri post di questo blog, dove cerco di spiegare a parole qualcosa che non si può spiegare (e forse non dovrei), chiedo a chi legge di prenderlo con le pinze, cioè di non dargli troppa importanza. 

La porta chiusa quale sarebbe? quella principale, cioè la bocca. Ma, come credo sia noto, rifulgo da consigli tipo vocalizzare a bocca chiusa, che è uno dei peggiori possibili! Quindi quando parlo di chiudere la porta, non intendo in nessun modo chiudere la bocca. L'apertura orale rappresenta un sottile diaframma virtuale tra il dentro e il fuori. All'interno dello spazio oro faringeo avviene la nascita di un fenomeno acustico "normale", cioè la produzione di un suono, una vibrazione regolare di corpi elastici, le c.d. corde vocali, le quali non hanno elevati privilegi sulla qualità di questo suono, e meno ancora su quello che noi poi definiremo voce finita. L'apparato articolatorio-amplificante può recepire quel suono e "sgrossarlo", cioè dare un'impronta e un colore in base allo stimolo neuro-cerebrale, all'informazione, ricevuta. Ma ancora il processo non è finito, e non è e non può ancora essere un elemento perfetto, artistico, esemplare. Esso si può concludere solo oltre quel limite orale costituito dalle labbra. Fin qui sono cose già dette e ridette. Cosa voglio aggiungere, anche se pure queste non sono novità? Ripetendo e ridicendo le cose, magari con parole un po' diverse, può essere che qualcuno colga qualche sfumatura che può illuminarlo. La questione si pone nel tragitto tra dentro e fuori. Se infatti l'idea è di "far uscire" il suono, quindi in qualche modo di premerlo, spingerlo, o altro verbo che in qualche modo possa indicare un transito da dentro a fuori, per quanto delicato, è fuori strada. Si può dire che vi sia una duplicità, una sorta di "razzo" a due stadi, dove il suono possiamo dire che continua a restare dentro mentre la voce vera e propria si materializza esternamente, come fosse indipendente dal suono. Quest'ultimo è la materia grezza, pesante, che decade, che sedimenta; la voce artistica è la distillazione, il vapore, l'elemento puro, impalpabile, senza peso che ne deriva e che si ritrova all'esterno quasi magicamente. Tra il dentro e il fuori bisogna arrivare a credere che non ci sia (più) alcun legame. Ciò che avviene internamente è cosa che non deve interessare, e su cui non dobbiamo in alcun modo intervenire. A noi deve interessare unicamente ciò che avviene fuori. Quindi è utile ritenere che tra le labbra vi sia una sorta di porta che durante il canto si chiude alle spalle della voce; ciò che è dentro è dentro e ciò che è fuori è fuori. Questo perché l'idea di "far uscire" il suono, cioè di aiutarlo in qualche modo a esistere e tenerlo in vita, immancabilmente è legato all'attività muscolare, invece che quella respiratoria. Il fiato esce senza necessità energetica, se noi abbiamo creato le condizioni affinché questo accada. La voce si alimenta, si rifornisce di fiato indipendentemente dalla nostra volontà e dalle nostre azioni, se è veramente voce pura e "staccata" dal corpo, cioè prodotta da una pronuncia perfetta, irreprensibile, continua. Viceversa quel collegamento che si mantiene tra dentro e fuori è in realtà fibroso, materiale, quindi muscolare e dipendente. Questo è un concetto basilare che possiamo verificare in ogni attimo quando parliamo. Il parlato non ha bisogno di niente, se non ha carenze o difetti seri per cause patologiche, ereditarie, traumatiche, ecc. Il grande canto, come il buon parlato è l'unificazione dei tre apparati; mentre noi cantiamo (parliamo), respiro, organo e articolazione diventano un tutt'uno, inscindibile fin quando non commettiamo errori o ci dissociamo da quel flusso mentale. Anche alcuni aspetti su cui noi stessi insistiamo per diverso tempo, tipo l'aprir bene la bocca e l'articolare molto le parole, con la maturazione e i progressi, deve gradatamente sparire, nel senso che il canto non deve generare smorfie, masticazioni, versi, tensioni della bocca, del viso, del naso, della fronte, ecc. Il volto deve restare sereno e partecipare sul piano espressivo a ciò che si canta. Si ASCOLTA la propria voce, non la si produce volontariamente con azioni, si diventa spettatori e ascoltatori, quando si è raggiunta l'evoluzione respiratoria atta a determinare una voce artistica. Si controllano "gli interessi", si canta gestendo gli armonici, lo squillo vocale, che deve rimanere sempre uguale, nell'alto come nel basso, senza gridare, senza cercare di legare le vocali, ma legare pronunciando, ripetendo e ribadendole, sempre, senza distrazioni e senza pietà!

 

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