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martedì, giugno 15, 2021

La presenza di spirito

 Un motto che talvolta viene citato è "ci vuole presenza di spirito". Come gran parte di proverbi, modi di dire, ecc., anche questo viene buttato là senza alcuna riflessione sul suo significato. Questa frase ha un contenuto fondamentale, importantissimo, di cui non è facile cogliere tutta la portata.

In più d'un'occasione ho richiamato l'attenzione di chi si sta accingendo allo studio del canto con serietà a rimanere "presente". La presenza mentale, l'attenzione, è un obiettivo già di per sé molto difficile da ottenere. La nostra mente è perennemente alla ricerca di situazioni distraenti. Più siamo impegnati, più lei ci manda impulsi volti a portarci fuori dall'attenzione verso ciò su cui ci stiamo concentrando. Al minimo errore: "ah, l'altra volta mi veniva"; "a casa l'ho fatto bene", "come mai oggi non riesco?" e via dicendo. A ciascun richiamo del maestro, l'allievo vuol spiegare perché ha fatto quell'errore, che magari una volta non li faceva, che si è dimenticato come si fa e via dicendo. Allora, tutto ciò significa soltanto: distrazione. La mente non accetta volentieri lo sbaglio, per cui si getta nel passato, più o meno prossimo o remoto, per cercare di spezzare la tensione che si crea in momenti come questo. Invece stare presenti significa non dare particolare importanza all'errore. L'errore è passato, via, si prosegue per una nuova prova. Ma l'esecuzione successiva non dovrebbe essere la copia della precedente, e invece il più delle volte lo è, perché la mente ha interrotto la concentrazione, e l'esecuzione diventa una sciocca sfida con l'insegnante, per "fargli vedere" che si è in grado di farlo. E in genere non si ascolta nemmeno cosa dice l'insegnante, uffa, voglio riprovare, far vedere che sono meglio di cosa crede (cioè di cosa io temo che lui creda!). Come se l'insegnante non lo sapesse. Ma proprio l'atteggiamento è il motivo per cui il più delle volte la ripetizione è nuovamente erronea, se non di più. Commentare un'esecuzione, a meno che non sia l'insegnante stesso a richiederlo, significa uscire dal flusso temporale musicale. Quando ci si concentra veramente e si entra nella "bolla" della musica, si esce dal tempo fisico, come se tutto il mondo attorno svanisse o rimanesse solo uno sfondo sbiadito. Conta solo e unicamente ciò che si sta facendo, e bisogna concentrarsi in modo estremo sull'esercizio, cioè sul particolare che il maestro ha indicato come fondamentale. In genere il cantante vuol cantare, vuol far sentire che ha la voce e che sa usarla. Invece non è così, altrimenti non sarebbe lì. Il maestro indica un elementare obiettivo, apparentemente semplice, ma che richiede tanta concentrazione e determinazione. E' del tutto inutile ripetere le cose a caso. La seconda volta che si esegue un esercizio, se il primo non è andato bene, non deve essere uguale al primo. Purtroppo è molto spesso così, e allora vuol dire che non si è abbastanza presenti, non si è concentrati, non si sta puntando realmente a fare arte, ma si fa tecnica, si svolge meccanicamente un rituale ciclico di bassa qualità. Quindi molto tempo già si butta via con l'obiettivo di raggiungere un elevato grado di presenza. Ma anche quando lo si sarà raggiunto, saremo ancora lontani dalla presenza di spirito. La presenza di spirito enuncia che... lo spirito è presente! Se noi partiamo dal presupposto che l'arte è una manifestazione dello spirito, il quale, essendo senza mezzi fisici, deve usare i nostri, cioè quelli del corpo che occupa, non possiamo però garantire che egli sia presente nel momento in cui cerchiamo di fare arte, perché il nostro corpo, con i sensi, l'istinto, la psicologia, ecc., si sovrappone e si antepone allo spirito, che in realtà, pur avendo dato vita a quell'esigenza, si trova messo in secondo piano (e a volte del tutto estromesso) dalle pretese narcisistiche del soggetto. Allora, quando scrivo e dico: "togliere", "non fare nulla", "lascia andare", ecc., cosa sto dicendo, in altri termini? Lascia che il tuo spirito ti guidi, che dia lui i giusti input. Per far questo occorrono alcuni prerequisiti: aver disciplinato, almeno grossolanamente, gli apparati, quindi cantare col e sul fiato, aver eliminato il più possibile le interferenze istintive, avere la voce sostanzialmente "staccata", quindi esterna e con pronuncia esemplare. Poi, come già detto, aver raggiunto un elevato livello di presenza. A quel punto entriamo in quella dimensione distaccata, dove noi ascoltiamo, diventiamo spettatori della nostra voce, perché lasciamo che sia lo spirito a guidare. Nei primi tempi può quasi spaventarci questo stato di abbandono e di delega del controllo a un ente invisibile che opera tramite la nostra mente (disciplinata), quindi lo sentiamo, lo avvertiamo, ci piace e ci fa provare un misto di smarrimento ma anche di grande gioia. Ma non siamo ancora pronti, quindi produrremo alcuni suoni, poi usciremo da questo stato, poi magari ci rientreremo, poi... saremo stanchi! Sì, questo stato, pur così semplice e per nulla faticoso, ci impegna la mente a un livello insospettabile, e quindi è possibile che ci stanchiamo, ma anche questo passa, e sarà proprio l'entusiasmo di questa nuova sensibilità a farci riprovare e a avvicinarsi sempre di più al vero. 

Allora dirò ancora una cosa che spero possa risultare interessante. Per chi segue questa disciplina avvertendo la sua similitudine a quelle orientali, può essere d'aiuto parlare di meditazione. Chi vuole avvicinarsi a questa pratica, spesso non sa come e su cosa meditare. Beh, a parte tutta una teoria, diciamo così, una preparazione e un'apertura mentale e fisica alle pratiche, che non tratterò, non essendo materia di mia competenza, ma che invito ad approfondire tanto più e meglio possibile, però posso indicare una via specifica che riguarda lo studio del canto. L'eseguire in modo perfetto una vocale, quindi sillabe, parole, frasi, può diventare una pratica meditativa. Si parta dall'eseguire su una nota, facile, una vocale in modo perfetto, e rieseguirla più volte senza fallire, poi si cambierà nota, poi vocale, ecc. Quella sensazione di vuoto, di totale mancanza di opposizioni, di ostacoli, di fatica, di coinvolgimento fisico, quindi di distacco totale e di coinvolgimento, pur minimo, solo del fiato, deve diventare talmente proprio, da poter diventare un sogno, un pensiero concreto, per cui in ogni attimo della vita, da quel momento, ognuno potrà sentire di poter emettere infallibilmente quella vocale su qualsivoglia nota della propria gamma, allo stesso modo (anche senza farlo realmente). Questa è la presenza di spirito, cioè non intervenendo personalmente, non "facendo niente", ma lasciando fare, come parlare con il massimo della semplicità. Solo ascoltando e riconoscendo che si sta facendo arte, perfezione, esemplarità. Tutto qua!

1 commento:

  1. Anonimo10:16 PM

    Non so se c'entra questo mio intervento, ma ho notato in alcuni video la faccia dei cantanti dopo la loro performance: alcuni piangono, altri ridono, ma lo loro espressione rivela molto di più del sollievo-compiacimento di aver portato a termine un'esibizione. Solo a titolo di esempio c'è un video della Lina Pagliughi che canta "Qui sola vergin rosa", quando riceve i fiori ha un'espressione trasognata e orgogliosa, come se si fosse risvegliata da uno stato di trance o beatitudine, che dir si voglia. Questo non è il compiacimento dell'ego che si sente appagato dagli applausi, è la gioia pura di aver fatto un'esperienza trascendentale, lo spirito che canta dentro.

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