La rilassatezza corporea è un dato fondamentale nell'approccio a un grande canto. E' del tutto impossibile poter emettere suoni validi se manca questo requisito. Ma se questo può essere già un elemento imprescindibile affinché gli apparati possano lavorare correttamente e dare il meglio, l'aspetto ancora più importante, diciamo il passo successivo e teso alla fase di perfezionamento, riguarda il fatto che solo grazie a un totale rilassamento sarà possibile alle nostre forze endogene, spirituali, assolvere il loro compito. Dobbiamo considerare che un'arte consiste nel lasciare che sia il nostro spirito a lavorare, a svolgere la missione; noi dobbiamo "lasciarci andare" affinché egli possa operare al livello supremo di cui è capace. E' una questione di modestia, di umiltà, ma anche di reale appagamento. Noi discipliniamo il nostro corpo affinché egli possa operare in totale libertà. Le nostre membra sono legnose, ingessate, dure, i nostri movimenti meccanici, discontinui. Gli anni di apprendistato a cosa servono? ad ammorbidire, a slegare, a liberare tutti i nostri tessuti dalla situazione "animalesca" cui sono costretti dalla nostra natura. Ma la natura umana, seppur a un livello incosciente, prevede questa libertà e questo stato divino, però entra in conflitto con quella primaria, che ci assicura la vita e la difesa. Dunque il tempo della preparazione, non è imparare la tecnica, cioè trucchi e manovre per aggirare le difficoltà senza sapere a cosa le dobbiamo e quindi come debellarle, ma portare il corpo a quello stato di quiete e di inerzia per cui è possibile lasciare l'iniziativa a colui che ci ha spinti a fare arte. E' purtroppo una disavventura dell'uomo. Noi abbiamo imparato, con l'evoluzione scientifica, a debellare o mitigare i sintomi dei mali. Abbiamo mal di testa? c'è quel farmaco. Abbiamo mal di denti? C'è l'antibiotico (quasi per tutto). Però i mali persistono e anzi aumentano, perché non interessa realmente andare alle cause, perché nella nostra civiltà la salute è un business fondamentale, per cui dobbiamo dipendere il più possibile da farmaci, integratori, esami, terapie. Meno si conoscono le cause, meglio è, per il nostro ciclo economico, al punto che trovare le cause può anche risultare pericoloso, e ancor più trovare reali rimedi. Ma lasciamo stare questo discorso, che alla fin fine è inutile. Però, per analogia, diciamo che nel canto è la stessa cosa; non interessa capire perché cantare è difficile, perché ci sono determinati ostacoli, difetti e carenze; ogni scuola ha i propri metodi per cercare di superarli, salvo il procurare altri difetti, perché se la causa non è realmente superata, entreranno effetti secondari, come le medicine.
Perché facciamo arte? E' una domanda sempre da porci. Ogni volta che andiamo a lezione bisognere chiederci: "perché siamo qui?" L'arte è inutile, non serve, dunque la motivazione, spesso forte, una vera esigenza, che nasce in noi e talvolta ci perseguita, viene da qualcosa di profondo. Se non accettiamo e non prendiamo coscienza di questo, stiamo facendo qualcosa di fine a sé stesso, destinato a scomparire. Se lo facciamo solo per fare qualcosa che ci può dare un'occupazione retribuita, bene, ma questa scuola è del tutto fuori luogo. Se non vi interessa raggiungere la perfezione, anche. Se ci rendiamo davvero conto che la nostra passione e il nostro desiderio di fare un'attività come un canto di qualità proviene da qualcosa di indefinibile, ma potente, che opera in noi, bene, ma allo stesso tempo dovete considerare che voi siete un mezzo, uno strumento biologico che dovrà mettersi da parte e far sì che quella forza possa utilizzare i nostri mezzi per operare. Quando questo comincerà ad avvenire, voi vi stupirete, e forse reagirete, perché cantare come se stesse cantando qualcun altro, è un'esperienza che può anche scioccare all'inizio. Percepire la quasi completa mancanza di attività volontaria nei muscoli e nelle ossa, non è cosa che può lasciare indifferenti. Però bisogna entrare in questa dimensione, altrimenti il tempo passerà invano. In un certo senso possiamo dire che chi fa, chi cerca di fare, chi vuole attivamente cantare, non fa che ostacolare e impedire che emerga il vero canto. Dico spesso: accontentati di un risultato che ti può apparire modesto, semplice, ingenuo. Gli allievi dicono sì con la testa e magari con la voce, ma restano distanti anni luce. Non solo non riescono, ma non vogliono farlo, alcuni inconsciamente, altri anche volontariamente, perché vogliono dimostrare, vogliono intenzionalmente "fare" la voce, ingrossarla, spingerla, potenziarla. E' così passa il tempo e i risultati tardano, addirittura si arrestano e talvolta pure arretrano. Quando si ottiene un vero risultato, non è raro che si contesti, si dica: "tutto qui"? "così semplice"? e via dicendo. Il tubo vuoto, il galleggiamento (a corpo morto), sono analogie elementari di ciò che dobbiamo ottenere nella prima fase di studio per far sì che si apra la porta sull'universo della vera arte che potremmo persino definire "senz'arte", cioè talmente libera e fluida da apparire senza alcuna necessità di pensiero volitivo, di intenzione. Il cantante diventa un ascoltatore e un uditore di sé stesso ma come fosse qualcun altro. La passività delle membra deve diventare l'imperativo. Ma sembra un obiettivo impossibile, le forze istintive prevalgono e la concentrazione, la presenza, non è mai sufficiente neanche per avere dei timidi risultati. Purtroppo in una scuola d'arte non c'è un piano B, una seconda opzione, una via compromissoria. O si segue e si ha fiducia, e si sa che quella è l'unica strada per noi, o è meglio lasciarla, e prima la si lascia e meglio è, perché le ripercussioni psicologiche diventano più pesanti nel tempo. Non si deve aver paura di lasciare la strada dell'arte, se la si trova troppo impegnativa e lunga da apprendere. E' un percorso fortemente filosofico, diciamo così, ci coinvolge (ci DEVE coinvolgere) nel profondo, ci deve turbare i sonni, ci deve perseguitare in continuazione. Se no non è quello, è solo voglia di fare una cosa che ci piace, e allora bisogna rivolgersi a chi ci può seguire in quel tipo di attività, cioè ricreativa e di "buon" risultato. Qui si coltiva la perfezione. Se non si crede alla perfezione, si è sulla strada sbagliata. Bisogna fare esame di coscienza. Non si tratta di "accontentarsi", anzi, come ho già scritto, è qui che ci si accontenta, e che "non si fa", si "toglie"; se si vuol fare, o se si riesce solo a "fare", allora bisogna andare dagli insegnanti che fanno fare.
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