Translate

martedì, agosto 17, 2021

La doppia appartenenza

 Un concetto fenomenologico fondamentale della musica, su cui più volte il m° Celibidache è tornato, è quello della "doppia appartenenza", che si attaglia molto bene, oltre che nella sua componente musicale, anche a quella prettamente canora su cui sono intervenuto ultimamente. In cosa consiste questa "doppia appartenenza"? Il suono appartiene al cosmo, però può nascere solo per precisa volontà dell'uomo. Però la musica non è un prodotto della volontà, nel senso che la volontà umana può solo creare e favorire le condizioni affinché la musica nasca, ma non ne è artefice diretto. Il suono sottostà alle leggi relative alla materia e alle sue condizioni di esistenza, quindi è indipendente dall'uomo. Questo è o dovrebbe essere tanto più vero nel canto, ma con maggiori difficoltà. Gli strumenti meccanici hanno caratteristiche maggiormente indipendenti; pensiamo a un pianoforte. L'uomo ha molte possibilità di azione, però di fatto è il suo meccanismo che agisce sulla corda, con una variabilità limitata, rispetto al canto, dove l'azione diretta dell'uomo ha una quantità di possibili azioni molto maggiore. Dunque, come spiego sovente, noi dobbiamo mettere solo un atto di volontà relativo all'attacco, che comunque non deve essere violento, spinto, brutale, ma già in questa fase neutrale, cioè lasciare che si sviluppi autonomamente, in base a acquisizioni legate alle studio. In pratica, se ho studiato un brano con opportuni criteri musicali, so quali caratteristiche ha il brano in termini di dinamica e agogica, pertanto non devo essere io volontariamente a somministrare determinate forze per ottenere quel risultato, ma ormai devo considerarle acquisite, quindi "so" come e quanto dare e devo lasciar fare, anche se la nostra mente fa fatica a non intervenire e a non considerarsi lei artefice e padrona della situazione. Questo è sicuramente uno degli scogli più ardui da superare. E', in fondo, il concetto di semplicità. Ci chiediamo spesso perché le cose più semplici sono così difficili, nonostante siano quelle più appaganti e che ci conducono alla verità. E questo riguarda anche il concetto di naturale. Vorremmo che il canto, come tante altre cose, fossero "naturali", cioè avvenissero in modo automatico, senza impegno e forte volontà. Ecco qua la spiegazione. Determinati fenomeni esistono in natura, ma richiedono l'intervento umano per manifestarsi. Questo intervento però non si vuole limitare al puro accadimento iniziale (cioè toglierlo dall'inerzia in cui si trova) ma condurlo e manovrarlo per tutto il tempo della sua esistenza. Questa condizione vessatoria lo toglie da quella naturale e veritiera e ne fa un prodotto che potremmo definire artificioso e che quindi sfugge alle leggi e ai criteri cui dovremmo sottostare. Quindi lo studio, lungo e molto impegnativo, in fondo consiste nell'eliminare il più possibile l'intervento razionale, possessivo, aggressivo, manipolativo della mente per far sì che restituisca il suono, o la voce nel nostro caso, alla natura cui apparteniamo (per l'uomo è una natura più ampia, comprendendo anche una forte componente spirituale, che è poi quella che ci spinge e ci guida nella creazione). Però se si pensa che possa essere sufficiente il "lasciare agire", non si è ugualmente sulla giusta strada, perché dobbiamo considerare le forze fisiche, che comunque appartengono alla natura, che si oppongono a quelle spirituali in quanto non riconosciute dall'ecosistema. Quindi è necessario il lungo lavoro di acquisizione di uno stadio fisico più evoluto, di un passaggio di una necessità spirituale a vitale, affinché si superino le opposizioni istintive, per poi arrivare alla fase di "abbandono", cioè di acquisizione di quella naturalezza che giustamente ricerchiamo, che ci affascina e ci conquista.

Nessun commento:

Posta un commento