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giovedì, settembre 02, 2021

Accettare?

 Da tanti anni soglio individuare se nei miei allievi c'è un reale interesse e quindi un'accettazione del tipo di educazione vocale che impartisco, oppure no; quando mi pare che i progressi stentino, soprattutto in un certo ambito, mi permetto di far presente che forse non stanno accettando questo modo di cantare o questo tipo di educazione vocale. La risposta che ottengo è sempre "noooo", perché tutti coloro che vengono animati da autentico spirito di miglioramento e di fiducia, sono convinti di aver abbracciato con anima e corpo questa disciplina, il che non è sempre così, anche se lo credono. Oggi, leggendo una frase di Aristotele, mi rendo conto di dover modificare qualcosa. La frase è: "Solo una mente educata può capire un pensiero diverso dal suo senza bisogno di accettarlo". La frase è cristallina. Si potrebbe dire che è quasi una violenza voler far accettare un pensiero, ovvero una intera scuola di pensiero, se non si è ancora raggiunta una sufficiente, matura educazione mentale (vocale), la quale non ha bisogno di essere accettata, perché sarà essa stessa a palesare la propria verità. Ma questa condizione riguarda ogni cosa del nostro vivere dove si passa o si deve passare da uno stato abitudinario, tradizionale, indotto e quindi "indossato" in modo passivo a uno che definisco artistico (ma potrei dirlo in molti altri modi), cioè che richiede una notevole energia (quindi attività) per elevarsi a un livello superiore, vero, sincero, spirituale. Chi ama il canto, l'opera, la lirica, che frequenta teatri, che fruisce dischi, radio, tv, è ormai assuefatto a un certo modo di cantare. Sono pochi coloro che si rendono conto autonomamente che oggi sono rare come perle le voci realmente educate ad alti livelli. Io stesso indico come "buone" alcune voci che si staccano dalla media tremendamente bassa di questo tempo, anche per non fare sempre il "bastian contrario" o il brontolone, ma realmente di voci realmente valide se ne sentono molto ma molto poche. Dunque non si tratta di accettare ma di attendere che l'evoluzione che si è accesa in noi faccia la propria strada e si porti a compimento. Naturalmente, pur basandosi su istigazioni tipo "non fare niente", "lascia andare", "togli", ecc., non è che richiede una totale passività; la passività può essere di tipo fisico-volontario, ma richiede una partecipazione, una adesione meditata, un'attenzione non comuni. I grandi maestri, come Antonietti e Celibidache, all'inizio di ogni lezione (guarda un po' le somiglianze) chiedevano: "domande?". Certo, la curiosità, la necessità di capire ciò che sta avvenendo, di interrogare su ciò che non si è percepito chiaramente e su tutto ciò che resta da sapere, dovrebbero indurre a chiedere, porre domande, osservare, ecc. Da quindici anni gestisco questo blog, scrivo più o meno frequentemente, faccio passare allievi... ma quante domande credete che mi siano state poste? Pochissime, nell'ordine delle unità o di una o al massimo due decine. Una miseria. Il m° Celibidache non era molto gentile con chi frequentava a lungo e non poneva domande; Antonietti insisteva, e ricordo in una registrazione che prima di terminare eslcama: "chiedete, chiedete, chiedete". Certo, è l'unica vera forma in cui possiamo realmente fare passi avanti. Però anche questo non è un obbligo; è del tutto inutile insistere affinché si pongano domande, se queste non vengono da dentro di noi. O forse mancano le abitudini a relazionarsi in questo modo, e forse è anche una mia carenza, chissà. Ogni tanto bisogna anche rivedere i propri strumenti comunicativi. 



1 commento:

  1. Non fare richiede una attenzione senza tensione, senza aspettative. Lasciarsi stupire da ciò che accade in quella pausa dell’azione.

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