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lunedì, aprile 25, 2011

Sentire la gola

Se è vero che il canto esemplare riesce a "saltare" completamente la gola, che assume la massima ampiezza possibile, annullando pressoché ogni pressione sottoglottica e attrito (anche le relative sensazioni), può esistere la possibilità che un allievo abbia la percezione di cantare di gola, o qualcosa del genere, pur emettendo suoni corretti? Ovviamente se ho fatto questo post, è perché esiste questa possibilità. Lo ritengo pressoché impossibile, o molto improbabile, in chi inizia e prosegue uno studio corretto in una buona scuola, però chi ha percorso, per qualche anno, una scuola particolarmente erronea, dove la scarsità di appoggio, il ricorso sistematico alla spinta, a suoni forzati che provocano appoggio esitante e frequentemente insufficiente, con sollevamento del diaframma, della laringe, della lingua, quando finalmente inizierà a rilassare la muscolatura faringea, permettendo al fiato di compiere il proprio lavoro, quell'inattesa e sconosciuta ampiezza glottica, col fiato che può liberamente scorrere e accarezzare le pareti morbide della gola, potrà avere la sensazione che il suono sia basso e ingolato. Non dovrà "cavalcare" questa sensazione, perché rapidamente il suono scenderà veramente in gola, però dovrà abiturarsi a questa nuova sensazione e non ostacolarla temendo di cantare di gola. Sono momenti importanti ma anche difficili per chi si sta ricostruendo una vocalità sana. Come ho già scritto in passato, è spesso molto più difficile annullare anni di studi errati che educare una voce da zero, anche se con minori doti e potenzialità.

venerdì, aprile 22, 2011

Ci vorrebbe una bussola...

Mi rendo sempre più conto di quanto sia difficile comunicare verbalmente con gli allievi per condividere termini come "suono alto" o "basso" o posizione leggera. In particolare i primi due termini sono davvero problematici. In effetti anche il m° Antonietti li usava pochissimo. Cerco di dare un orientamento, ma so di parlare di un argomento molto ostico, che ognuno comprenderà quando arriverà a farlo autonomamente.
La condizione di "suono alto" è legata all'ampiezza, cioè alla capacità del fiato di riempire la "forma" oro-faringea. Questa condizione non è sempre facile da condividere, perché, salvo particolarità, il palato alveolare è più alto di quanto non ci si figuri mentalmente, arriva praticamente all'altezza degli zigomi (da qui tutte le fantasie sulla "maschera"), e riuscire a riempire questo spazio non è facile, specie per chi è agli inizi. Ma anche chi è già in fase avanzata, spesso oppone resistenza a questa verticalizzazione del suono, perché teme di perdere timbro, e teme che il suono vada nel naso (è sensazionale notare come l'allievo riesca a usare armoniosamente ed efficacemente le labbra quando il suono è davvero alto). Senz'altro sono condizioni che da soli è bene sperimentare con molta cautela, solo per cercare di sondare, ma è invece importante provare a lezione, quando l'insegnante può guidare l'allievo ad "alzare" il suono, in modo a volte vertiginoso. Devo ripetere, però, questa condizione di "alto", non deve essere legata ad altezze interne immaginarie ed eccessive, ma, preferibilmente, ad altezze esterne, e non più elevate della linea degli zigomi, dove, come ho detto, è il punto massimo dove può arrivare il fiato.
Ma occorre qualche parola anche su una indicazione, rara ma non rarissima, di suono "basso", intesa positivamente (di solito l'accezione è negativa).
Se è vero che è abbastanza difficile una proiezione rilassata e dunque ottimale del fiato-suono, che determina il giusto suono "alto", è anche vero che molti allievi, con l'idea di "alzare" il suono, finiscono per alzare la base del suono, cioè il fiato dal diaframma. In questo senso spesso si deve ricordare che il fiato deve rimanere rilassato e "adagiato" sul diaframma. E' frequente che facendo un esercizio-vocalizzo, anche di soli tre suoni, spessissimo dal primo al secondo suono già si noti un restringimento della gola, causato dal sollevamento del fiato con conseguente perdita di appoggio. Se il consiglio più giusto ed efficace è quello di pronunciare in modo perfetto, autorevole, senza esitazioni, può accadere, non riuscendo ad ottenere risultati molto significativi, di suggerire di lasciare "bassa" la base del suono, anche indicando l'opportunità di rilassare la gola, la laringe, come nella deglutizione. Solitamente è un'indicazione che funziona, perché si ottiene una condizione di rilassamento generale degli apparati che porta il fiato a funzionare correttamente da solo. Ribadisco, e con forza, però, che queste indicazioni sono solo un generico orientamento, da evitare di provare da soli, o solo come riflessione da provare su suoni semplici, centrali, mai su acuti, e da fermare in qualunque momento si avverta qualcosa che non va!

sabato, aprile 16, 2011

Cos'è l'Arte

Contravvenendo alla mia intenzione di non entrare in questioni filosofiche, mi pare corretto, dopo circa 5 anni di blog, di fare almeno un accenno a una questione centrale per chi segue o intende seguire un cammino artistico, e cioè addentrarsi nel nocciolo di cos'è l'Arte, come si esplica, perché...
Le definizioni in questo campo sono non solo difficili, ma spesso limitate e limitanti, per cui bisogna vedere la questione da più parti. La definizione che più spesso il M° Antonietti adottava era la seguente: "l'Arte è la sublimazione del gesto che la determina". Ritengo sia illuminante e abbia una sua completezza, però dobbiamo esplicitarla meglio se no credo possa risultare ancora troppo "interpretabile".
Partiamo dalla considerazione che in ogni cosa esiste una materia e uno spirito. Non mi addentrerò su cos'è, perché c'è questo spirito, ognuno creda quel che vuole. Lo spirito però può anche definirsi diversamente, e cioè "conoscenza" o, meglio ancora, "livello conoscitivo". Spesso con questo termine si intende ciò che l'uomo impara nel tempo, ma non è corretto. La conoscenza è come un "marchio" che ciascuno di noi possiede, indelebile e immodificabile (ma non solo uomini, ma anche animali, insetti, piante, e anche oggetti inanimati). Ciò che la vita porta con sé, è la possibilità o meno che questa conoscenza possa rivelarsi, svilupparsi a pieno, oppure rimanere allo stato potenziale. Se una persona si trova a crescere in un ambiente ricco di stimoli, con buone possibilità di conoscere persone colte, maestri, artisti, avere a disposizione libri e altri sussidi, avrà molte probabilità di sviluppare interamente il proprio livello conoscitivo. Una persona, pur in possesso di un livello molto elevato, che si trova in un luogo arretrato, povero, avrà minori possibilità, però è da valutare la sua "spinta", che è una vera e propria esigenza, a sviluppare questo sua impellenza, per cui può spingersi in altri luoghi dove trovare le possibilità, o addirittura può riuscire a sviluppare da solo, ma in quest'ultimo caso deve trattarsi di una spinta davvero fuori del comune, da parte di una personalità straordinaria.

Lo spirito, nel caso dell'uomo, si trova relegato in un corpo "animale" piuttosto rozzo, legnoso, limitato. Se io guardo, ad es., Benedetti Michelangeli che suona, vedo un uomo tranquillo, seduto al pianoforte, che, con una calma serafica, muove appena le proprie dita sullo strumento facendone scaturire una cascata di suoni meravigliosi. Se la mia mente è in grado di leggere le note scritte sullo spartito, e conosce bene la tastiera del pianoforte, cosa impedisce di replicare allo stesso livello? Si dirà la genialità, lo studio indefesso, la volontà, ecc., il che è vero, ma questo studio e questa volontà, consciamente o meno, sono finalizzati a "rompere" tutte quelle resistenze che il mio corpo oppone ad essere piegato ai voleri della mente e della mia conoscenza. Il corpo umano è un organismo cui sovrintende, come tutti gli esseri viventi sulla terra, l'istinto di conservazione e perpetuazione. Per esso conta vivere, per cui è necessario cibarsi e riposarsi, con l'unico fine di riprodursi e portare avanti la specie. Pensiamo alle piante, che dopo aver fruttificato, cioè aver prodotto frutti con il seme, in brevissimo tempo muoiono o vanno in "letargo" per riprendere l'anno successivo. Lo spirito, che nell'uomo è più sviluppato che in qualunque altro essere, cerca lo sviluppo concreto di sé stessa, cioè la rivelazione, perché, e qui veniamo a un secondo concetto, l'Arte è il "non oltre" della conoscenza. Però devo fare un po' d'ordine se no rischio di mettere troppa carne al fuoco senza aver spiegato accuratamente i vari passaggi.

Dunque, si parlava, all'inizio, di "sublimazione del gesto". Allora spiego questi termini. In primo luogo il termine "gesto". In ogni Arte c'è un gesto, ovvero un elemento necessariamente fisico, quindi che si fa con uno o più arti o qualunque altro organo del corpo, alla base di un risultato che possiamo definire non comune, cioè non alla portata di essere eseguito con la stessa facilità da qualunque altro essere umano. Per la verità dobbiamo anche aggiungere: "di non essere 'compreso' con la stessa facilità da qualunque altro essere umano". Se infatti noi consideriamo i diversi livelli conoscitivi, dobbiamo pure ammettere che sono disposti piramidalmente, quindi alla presenza di una quantità straordinaria di livelli bassi, che formano la base della piramide, seguirà una quantità un po' più ridotta di livelli più elevati, e così via a descrescere fino ai livelli massimi, diciamo i livelli prossimi a 100, se poniamo 100 come livello massimo, che saranno sempre pochissimi in un tempo lunghissimo. Il problema, piuttosto serio, è che i livelli più bassi hanno difficoltà a comprendere, e spesso anche ad accettare, i livelli più alti, considerati "impossibili", e questo scatena vere e proprie battaglie, non facilmente superabili dai livelli alti, che possono "solo" contrapporre qualità a quantità. Però, fortunamente, esiste la fede ed esiste lo stupore, l'onestà, la genuinità, e altre doti che la Natura ha elargito ai livelli più bassi, per cui l'Arte non è solo appannaggio delle conoscenze elevate, ma anche di quelle più basse, con la difficoltà, però, che la accettano e arrivano fino a venerarla, come un dono, ma senza comprenderla del tutto. Non potendo sviluppare una conoscenza che non hanno, le cosiddette "persone semplici", possono amare, anche con passione e trasporto, le Arti, ma valuteranno i risultati in modo istintivo, cioè non artistico, e potranno decretare il successo di non artisti, ovvero di artisti di basso livello. Questo spiega il perché del successo, nel nostro campo, di cantanti assai modesti. In questo non ci sono mezzi per cambiare le cose: è vero che spesso i giudizi sono anche determinati da ignoranza, che si può elevare, ma il problema insormontabile è che non si può elevare un livello conoscitivo basso, per cui la persona con bassa conoscenza, non accetterà di essere istruita, ritenendosi indegna o incapace, o, pur nel caso accettasse, dimostrerà poi nei fatti di non poter comunque superare un determinato "scalino" di competenza.

Dunque, tornando al gesto: se io voglio suonare il pianoforte, e ho visto un grande pianista e voglio diventare come lui, una volta compresa la lettura dello spartito e il funzionamento del pianoforte, io dovrò rendere braccia, mani, dita (anche piedi) funzionali alla richiesta della mia mente, che avrà mille idee su come suonare un determinato brano, ma non può farlo perché impedita dalla "legnosità" dei muscoli. Perché devo esercitarmi per molto tempo, continuativamente, per raggiungere un elevato grado di scioltezza dei muscoli? perché l'istinto lavora in senso opposto: io rendo plastici, docili, i miei muscoli, pronti alle richieste della mente/spirito, il mio istinto appena smetto tende a riportarli al proprio stato animalesco, cioè "pinze" per afferrare e maneggiare, grossolanamente, oggetti che secondo lui servono per procurarsi il cibo e provvedere alla propria difesa e vita di relazione. Questa è una dura legge, pressoché incontrovertibile. Detta così, potremmo chiederci a che serve saperlo, visto che non sembra esserci via d'uscita? Ma per la verità uno spiraglio c'è. Ma dobbiamo completare prima il ragionamento. Si diceva di "sublimazione" del gesto.

Il termine sublimazione per il M° Celibidache, derivando dalla filosofia fenomenologica, era il trascendimento. E' un termine che nella scuola Antonietti risulta discutibile, perché può far pensare a un essere trascendentale, cioè non appartenente al regno fisico, e qui finiremmo in un ambito religioso da cui invece vogliamo tenere le distanze. Se però si intende, come Celibidache intendeva, il passaggio dallo stato materiale allo stato spirituale comprensibile all'uomo, allora si può accettare. Abbiamo già parlato di "non oltre", e in questo sta il senso di questo discorso. Lo spirito o conoscenza che è nell'uomo, per potersi esprimere in totale libertà senza impedimenti, dovrebbe, per l'appunto, "trascendere", cioè superare la barriera del fisico umano, dovrebbe annullare il corpo. Questo però è impossibile, perché lo spirito non possiede gli strumenti, per l'appunto, fisici, che gli consentono di rivelarsi, di esprimersi. Dunque necessita del corpo, ma, in quanto corpo con esigenze e bisogni, il fisico non può raggiungere quella condizione assoluta che sarebbe prerogativa dello spirito, ma, se disciplinata secondo un ideale di perfezione, può raggungere quello "stop" che definiamo "non oltre", cioè quella condizione oltre la quale il corpo dovrebbe annullarsi, o meglio "sublimarsi" (che come sappiamo è quel processo fisico secondo cui un corpo passa dallo stato solido a quello aeriforme). E' una condizione rarissima, ma possibile. "Non oltre", per un artista, significa aver raggiunto quella condizione di annullamento della resistenza istintiva, perché assunta a livello di "senso".

I sensi si originano, e si modificano nel tempo, in base alle condizioni ambientali della specie. Ciascun essere, e in particolare l'uomo, che è l'ultimo anello della catena, possiede una quantità inversomile di "potenzialità", cioè di capacità che non si esplicano, ma si trovano allo stato nativo, non sviluppato. Questo, in casi straordinari, può anche accadere in singole persone, e allora li definiamo "paranormali", perché riescono a fare cose inspiegabili, tipo piegare gli oggetti, percipire pensieri, ecc. Quando i caratteri dell'ambiente mutano, anche i sensi, o le stesse proporzioni fisiche, si adattano al mutare delle condizioni, tipo sviluppare un dito della mano, modificare la forma degli occhi o il colore della pelle, ecc. Quando avviene questo, il mutamento viene accettato e "incamerato" dall'istinto come necessario alla sopravvivenza. Avvenne, ad es., nella specie "homo sapiens" l'accettazione della parola verbale, inesistente nelle altre specie umane allora esistenti, e ne determinò la vittoria nella selezione. Ma la parola non è il canto, inteso come massima espressione musicale. Il canto necessita di un complesso di impegni fisici, dal diaframma alla laringe al faringe a molti altri organi, più o meno direttamente, che non sono utili alla vita, e anzi confliggono con le esigenze fisiologiche. Dunque, l'unico mezzo per poter arrivare alla massima espressione vocale, superare le resistenze dell'istinto al punto di poter annullare l'allenamento quotidiano, in quanto superfluo, è quello di far assurgere il canto, in quanto Arte, a senso, nuovo senso fonico.

Per far questo non abbiamo bisogno di "tecnica", che è un insieme di regole meccaniche senza un orientamento spirituale, che, se frutto di buoni insegnamenti, riuscirà a tenere "a bada" la reazione istintiva, ma a costo di un esercizio costante, bensì di una disciplina, cioè di esercizi che puntino sempre costantemente al raggiungimento di uno scopo superiore, che è quello di far assurgere la voce cantata a nuovo senso. E' vero che le due cose possono essere simili, ma, per l'appunto, è il punto di arrivo e il punto cui si mira, che divergono. L'Arte punta alla perfezione, intesa come raggiungimento di un "non oltre" del proprio fisico; la tecnica punta a un costante miglioramento, o mantenimento, non considerando (considerando impossibile), il raggiungimento di un punto di arrivo insuperabile.
Per correttezza, è giusto spiegare che due persone che si ritrovino a conquistare il non oltre fonico, non saranno "identiche", ma avranno lo stesso concetto di perfezione, riconosceranno l'una la perfezione dell'altra, ma possono essere alquanto diverse: chi con voce più grande, chi più piccola, più bella, più brutta, ecc. ecc. Ma entrambe avranno sviluppato, con i propri limiti umani, la capacità di rendere sublime, perfetto, il proprio "gesto" sonoro.

Qualcuno, ragionevolmente, può chiedere: ma se io non appartengo a un livello conoscitivo molto elevato, avrò giovamento da questo insegnamento, o serve solo per pochi "eletti"? Partendo dalla considerazione che comunque le conoscenze "100" sono e saranno sempre e comunque pochissime e rarissime, sarebbe quasi assurdo istituire una scuola riservata a costoro; la scuola disciplina ed eleva il fiato di ciascun soggetto quanto nessuna tecnica è in grado di fare; disciplina le forme e mette in relazione i tre apparati (sintonizzazione la chiama il m° Juvarra) come ben pochi riescono; quindi è una scuola che permette a ciascuno di dare il meglio di sè, anche se non raggiungerà la perfezione o "non oltre"; ognuno certamente prenderà quanto ritiene sufficiente per rivelare il proprio coefficiente artistico, ma nessuno mai potrà ritrovarsi con la voce "a pezzi", con difficoltà superiori a quelle iniziali, con disturbi o patologie di vario genere, ma troverà sempre e comunque miglioramenti, e anche il tempo di "messa a punto", non sarà mai particolarmente superiore a quello di norma impiegato da altre scuole, anzi, qui il tempo viene impiegato con tale efficacia che spesso i risultati arrivano ben prima dell'atteso.

Microscopio

Prendendo in prestito il titolo di una rubrica radiofonica di lirica per fare un analogo lavoro: analisi di un brano eseguito da una celebre cantante. Nel caso presente, Natalie Dessay, nella celebre aria di Violetta. Non è stata una scelta ponderata, ho preso un brano quasi a caso. So che la Dessay è celebre per un repertorio funambolico, dove ha dato prova di mirabolanti acrobazie, quindi anche se non è un'opera del suo repertorio usuale, l'ho scelta perché è possibile puntualizzare molte manchevolezze sul piano dell'imposto vocale, verso cui questo blog vuole orientare. Quindi ci tengo a precisare che non voglio distruggere un mito ma semplicemente prendere un esempio e analizzare i punti deboli in modo che chi legge può sentire e vedere nel contempo le mie annotazioni e valutare se sente ciò che sento io e quindi verificare lo stato di affinamento dell'udito.

Ovviamente parliamo di una voce splendida per colore, brillantezza, ricchezza.
Primo scoglio: la I di lui. Posso già anticipare che in quasi tutto il brano le I della Dessay sono gravemente difettose. Ho sentito altri brani e non ho colto un livello di difetto così marcato, quindi non so se è legato a quella sera o a quel periodo, però qui è così e ci serve da esempio negativo. Secondo punto: la prima A di anima, dove la mandibola s'inchioda (vedere) e il suono rimane schiacciato. Faccio notare che sarebbe possibile emettere una buona A anche sul sorriso e con la bocca semichiusa, ma deve essere maggiormente sul fiato, cosa che qui non è; notare, invece, come apre e dice bene la seconda A. Poco dopo capita nuovamente qualcosa di analogo: prima di salire alla I di "tumulti", la bocca si serra e il suono rimane schiacciato. Una preparazione del suono acuto che la mette in tensione e spezza la continuità del fiato. Nella ripetizione, il "nei" è decisamente ingolato, così come la I di "tumulti". La seconda frase è tutta sul difetto, con dizione assai sporca, approssimativa e mandibola contratta. E' interessante notare che prima di salire alla I di "occulti", si ripete esattamente lo stesso errore simmetrico notato in "tumulti". "Lui che modesto e vigile" è piuttosto schiacciato in gola. Forse c'era l'idea di dare un colore più scuro, o più metallico, ma il mezzo usato è penalizzante, più o meno la cosa continua nelle parole successive; farei notare che "destandomi", per emissione più leggera, subito migliora, ma sulla A di "amor" la mandibola torna a bloccarsi. Poi un difetto che tornerà anche successivamente: nella O tenuta, l'intensificazione avviene sollevando verso l'alto, al punto che sembra alzarsi sulle punte; un errore perché porta verso lo spoggio. La E di "quel", e la I di "palpito" risultano gutturali e la frase ne risente; idem la E di "intero"; il primo misterioso, piano, è bello e ben proiettato, il secondo nuovamente condizionato dalla I indietro; belle anche le frasi successive, salvo poi rovinare un po' tutto quando arriva "al cor", cui forse vorrebbe dare più corpo, ma lo fa "gonfiando" in gola, e portandosi dietro il suono. Fraseggi strani con spezzettamenti di parole!! Sulla I di delizia, prima della fine della prima parte dell'aria, si sente che quando la attacca piano è abbastanza pulita e corretta, ma cercando di rinforzarla la porta indietro, forse pensando di darle più spazio, ma in realtà ingolandola e imbruttendola. L'attacco e tutta la frase "sempre libera" è mediocre; la foga di voler dar suono, timbro, la porta a irrigidire tutto, quindi togliendo libertà, purezza al suono. Si noti come la mandibola sia perennemente bloccata. E' interessante anche notare che va all'acuto non con la I di "ritrovi" (circa 3'16), che probabilmente le fa paura, ma con la O (che apre ad A, comprensbilimente), ma poi combina egualmente un disastro scendendo sulla I ingolatissima; sembra di vedere chiaramente (io lo vedo dalla postura) come risulti schiacciata sulla parte posteriore della mandibola. Nell'agilità acuta si trova molto a proprio agio, e si rivela il fatto che non stando a lungo sulle note, non dando tempo quindi all'istinto di intervenire, tutto risulti più cristallino e facile; però si nota egualmente che quasi tutte le E che si trovano in fine di parola (pensier) sono "basse"; in linea di massima anche quando scende su note un po' più basse la vocalità ne risente negativamente; il sovracuto è bello, ampio, la bocca ha l'armoniosità che deve avere quando non ci sono problemi. L'unica cosa è che si nota una tendenza ad alzarsi, che non è tra le più sane perché può indurre anche una risalita diaframmatica. Non faccio commenti di sintesi, perché non è lo scopo di questo post.

giovedì, aprile 14, 2011

Natura matrigna...

Leggo e sento parlare di canto "naturale", di lasciar fare alla Natura, di rilassare che la voce vien da sola, ecc. ecc. In linea di principio posso concordare che è sicuramente meglio imparare a rilassarsi, a lasciar fluire il fiato, a non frenarlo, a non trattenere, ecc., rispetto a quanti affondano, torchiano, spingono, tirano, alzano, abbassano, ecc. ecc. però neanche qui sta la soluzione. Ciò che molti insegnanti, in buona, ottima fede, non comprendono, è che il fiato "normale", diciamo così fisiologico, è incapace di alimentare uno strumento, quello vocale, artisticamente inteso. Sappiamo che la Natura può essere anche molto generosa, dunque alcuni soggetti si ritrovano con voci straordinarie (doti) anche senza aver frequentato alcuna scuola, in virtù soprattutto di un fiato particolarmente voluminoso e intenso. Ciò che bisogna sapere, però, è che la Natura, purtroppo, è "matrigna", dunque se questo fiato eccezionale non è subordinato a una disciplina che ne renda cosciente e padrone il soggetto, essa poco alla volta lo sottrarrà a questo uso che, per lei, che concepisce solo il vivere e sopravvivere in relazione alla perpetuazione della specie, è inutile e potenzialmente dannoso. Soggetti quali Di Stefano, la Souliotis, e purtroppo un numero sterminato di cantanti odierni, che hanno impostato la carriera solo su doti di Natura, si sono ritrovati nel corso di pochi anni, se non quasi subito, a fare i conti con una voce ogni momento più usurata, più in difficoltà, più pesante e difficile da manovrare, più limitata in ogni senso. Quindi, occorre fare bene attenzione a questo cambio di prospettiva, che forse è solo della nostra scuola. Quasi tutti pensano che i cantanti danneggino la propria voce cantando con una tecnica sbagliata; le cose non stanno esattamente così; un cantante che a 20 anni ha una voce bella, sonora, facile, potrebbe tranquillamente continuare a cantare così, se non usa con violenza i muscoli, non "tortura" la laringe, ecc.; cioè, se si ascolta il giovane Di Stefano, pur riuscendo a cogliere alcuni difetti, non si possono ritenere così gravi da compromettere una voce in poco tempo. Se questo è accaduto, pertanto, non è da ascrivere particolarmente a danni causati da uno scorretto uso della voce, ma al fatto che l'istinto, o Natura, ha lentamente sottratto al "proprietario" l'uso per fini artistici, quindi non legati alle esigenze vitali del soggetto, del fiato. Quindi occorre ridimensionare il concetto di tecnica, che viene interpretato come un codice di regole meccaniche senza le quali il canto decade. Astrattamente può considerarsi vero, ma in realtà la disciplina educativa dovrebbe tramutare il fiato da fisiologico, cioè "solo" atto alla vita del soggetto, anche se con volume e intensità ragguardevoli, a "archetto" dello strumento vocale, cioè alimentatore perfetto dell'ancia sonora/corde vocali (ovviamente con relativa perfetta forma degli spazi articolatori-amplificatori). Una semplice tecnica non riesce in questo proposito, perché sempre subordinata all'azione naturale degli organi (laringe-valvola), mentre la disciplina, pur non sottraendoli dalla loro necessaria azione fisiologica, ne affianca l'esigenza di perfezione artistica; se questo obiettivo viene raggiunto, ecco che quella indispensabile attività di esercizio quotidiano che grava su tutti i cantanti in carriera, viene meno, in quanto assunta a livello di nuovo senso fonico, cioè una "naturalezza" conquistata, che, ricordiamo, non può MAI esistere a priori.

giovedì, aprile 07, 2011

Del sorriso

Torno ancora una volta su una questione che mi sta molto a cuore, perché vedo troppo poco presa in considerazione sopratutto dai docenti di canto, che riguarda la suddivisione in almeno tre fasi del percorso educativo. Come ho più volte esposto, non si può pensare che un allievo compia nei suoi primi mesi di studio ciò che è destinato a chi è nelle fasi più avanzate. In questo abbiamo criticato anche un trattatista esperto come il Garcia e altri "scienziati" come il Mandl o il McKenzie, sul tipo di respirazione più idonea al belcanto, e non ripeto ora ma rimando ai vari post in merito. Ciò di cui mi occupo ora riguarda il cosiddetto "sorriso", di cui parla lo stesso Garcia e molti insegnanti. Anche questo è un argomento che riguarda le fasi educative. Ho già scritto che i muscoli e le parti mobili del viso, diversamente da quelli interne al cavo oro-faringeo che vanno lasciate accuratamente stare, rappresentano un po' la "tastiera" del cantante, e sono fondamentali nel guidare il fiato-suono alla migliore proiezione possibile. Tra le varie forme-chiave che si studiano nei primi tempi, una importante è rappresentata dalla forma della I chiara, che per l'appunto ci richiama la postura del sorriso. Ora, possiamo dire che sia possibile emettere anche altre vocali su questa stessa forma? Sì, possiamo anche affermare ciò: la E chiara, stretta, la A, e persino la O e la U sono possibili. Occorre però fare alcune precisazioni importanti. Prima di tutto è da notare che sempre di canto CHIARO parliamo, perché quella forma non permette altri colori; questo ci induce a ricordare che il canto chiaro può essere eccellente e anche importante ai fini educativi, ma sempre da utilizzare con attenzione sulle vocali diverse da I ed é, perché nel portare a un sollevamento della laringe è possibile anche uno spoggio. Quando può essere utile questo atteggiamento? Intanto possono esistere esempi di canto chiaro persino nell'opera, ma in fase educativa il sorriso può aiutare a indirizzare meglio il fiato nella parte alta del palato quando l'apertura della mandibola provoca abbandono e caduta del suono. Lo potremmo definire un escamotage per risolvere un problema contingente, dunque non è da ripetere a lungo, ma solo per il breve tempo necessario a far sentire e percepire il fiato più correttamente indirizzato, dopodiché lo si potrà lentamente modificare in favore della giusta ampiezza orale. Quando una vocale ampia, come una A, una O o anche una U si trovano tra I ed E chiara, con svariate consonanti, all'interno di una frase globalmente chiara, può essere conveniente mantenere anche la vocale intermedia di colore chiaro, e dunque atteggiata a sorriso. Queste sono forme che vanno benissimo sia in tempo di studio che per tempi successivi, però quando si arriva a un canto sul fiato consolidato, si potrà lasciare, perché comunque una forma rigida precostituita non è mai favorevole. Però esiste un altro punto importante e poco conosciuto di cui occorre parlare. Il cosiddetto sorriso è possibile mantenerlo e utilizzarlo anche sulle vocali ampie e verticalizzate, e non escludo, anzi lo ritengo assai plausibile, fosse il discorso degli antichi maestri del belcanto. Se si mette in tensione quella linea muscolare che va da zigomo a zigomo passando attraverso il labbro superiore, noi otteniamo sempre una sorta di sorriso che però non obbliga a mantenere anche la parte inferiore della mandibola in posizione chiusa. Quindi pur mantenendo in tensione la muscolatura alta del viso (ma io quando parlo di muscolatura alta del viso arrivo sempre al massimo agli occhi, MAI sopra di essi, anzi, ricordo e sollecito tutti a verificare con lo specchio che la fronte sia sempre distesa e rilassata, e anche le sopracciglia) noi possiamo tranquillamente dire la A, la O e la U con piena apertura della bocca. Nel fare ciò, che è consigliabile nei primi anni di studio, noi non andiamo incontro a pericoli di spoggio, in quanto l'ampiezza orale contrasta il possibile sollevamento del fiato, ma allo stesso tempo riusciamo a indirizzare più efficacemente il fiato verso il cupolino del palato, quindi a dare migliore ampiezza e pienezza di suono con minori probabilità di perdere appoggio.

sabato, aprile 02, 2011

"Per fare un albero ci vuole un seme..."

Come dice la celebre canzone di Sergio Endrigo, per arrivare ad avere un albero, vale a dire un grande, complesso e rigoglioso organismo come può essere un albero, si deve partire da un seme, cioè un minuscolo "esserino" che contiene potenzialmente già l'albero. Ciò che nessuno riesce ad accettare a lezione, o comunque con molta riluttanza, è che suoni apparentemente "piccoli", senza corpo, senza timbro, con poco volume, possano diventare "querce", cioè suoni robusti, forti, voluminosi, ecc. Ovviamente senza travalicare quelle che sono le caratteristiche del soggetto, quindi diamo per scontato che chi ha fisiologicamente voce piccola... voce piccola avrà, l'educazione del fiato che parte dal "seme", cioè dalla voce piccola, potrà sviluppare... il fuscello, poi le foglioline, poi i rametti... e infine il tutto diventerà un frondoso albero. Qualcuno sarà un pioppo, qualcuno un arbusto, qualcuno un olmo, e qualcuno potrà anche essere una sequoia. Nessuno può sperare di diventare ciò che non è, e questo lo si percepisce abbastanza presto, però se il percorso viene seguito coerentemente, ognuno sarà in grado di dare il massimo delle proprie possibilità. Viceversa, chi pensa di fare la quercia quando ancora è un arboscello, non farà che ritardare, che deformare quel piantino, ritardandone e rischiando anche di bloccarne la crescita, che potrà avvenire, anche nel migliore dei casi, non più dritta e robusta, ma contorta e più soggetta a malattie; il tutto senza contare gli aspetti psicologici cui si va incontro. Quindi meglio sottostare prima all'idea di una voce "piccola", col dubbio di come possa trasformarsi in grande, che volere subito tanto suono, e trovarsi poi a mal partito, e doversi curare.