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sabato, ottobre 27, 2012

La piccola differenza

Nel post precedente ho cercato di rimarcare la notevole differenza che esiste tra il fare una tecnica e seguire una disciplina. Per la verità, anche se il nocciolo penso che resti ostico da comprendere e accettare, credo che anche qualora la si voglia comprendere, resti vaga la differenza di tipo pratico. Nelle scuole di canto si fanno esercizi con la voce, e questa non è certo diversa dalle altre. Allora cercherò di elencare il più sinteticamente possibile le differenze e i perché.
 - in questa scuola di canto si fanno, preventivamente, esercizi respiratori?
- No.

Prima chiosa: leggo su forum e social network frasi del tipo: "oggi come oggi vai nei conservatori e non dedicano nemmeno alcune lezioni all'apprendimento della giusta respirazione", additando questo come il gran male che conduce alla crisi del mondo lirico.
- Perché? - perché la respirazione per ben cantare si apprende cantando! La respirazione fisiologica è legata al funzionamento fisiologico, quella artistica all'arte che si pratica, pertanto la disciplina crea le condizioni e le esigenze affinché la respirazione si elevi fino ad arte respiratoria. Esercitare la respirazione fisiologica può essere anche utile, ma il più delle volte risulterà "ingombrante", dispersiva, distraente.
- In questa scuola si fanno vocalizzi?
- Sì
- Quindi come in ogni scuola di canto del mondo!
- Sì
- Quindi dove sta la differenza?
- Le differenze sono tante e fondamentali.
- Esempi...?
- Intanto noi distinguiamo tra "esercizi" e "vocalizzi"; come già riportavano i maestri di un tempo, noi dedichiamo molto tempo a esercizi non puramente vocalici (anticamente si studiava con il solfeggio, per unire l'apprendimento della teoria musicale alla pratica, noi oggi preferiamo utilizzare sillabe scelte oculatamente), per motivi già ampiamente spiegati nel blog, e solo in seguito, con cautela, iniziare ad utilizzare vocali pure, le quali comportano comunque differenze, rispetto le scuole tradizionali, enormi.

Seconda chiosa: cosa si fa in una "normale" scuola rispetto ad un vocalizzo? 1) si indica come prendere fiato: respira a fondo, butta l'aria in fondo alla schiena, oppure gonfia in basso, butta fuori il diaframma, espandi la schiena, alza - oppure abbassa - la gabbia toracica, ecc. ecc.; 2) si danno indicazioni fisico-anatomiche preparatorie: pensa al suono che devi fare, alza il velopendolo, apri la gola, abbassa la laringe, ecc.; 3) si danno indicazioni fisico-anatomiche relative all'emissione: pensa "A", oppure "U" o altre vocali diverse da quella realmente realizzata; pensa di avere la bocca in mezzo agli occhi, oppure sulla fronte, o in mezzo al naso, o nella nuca; pensa di tirarlo su come un filo dal centro del cranio; ecc.; 4) si danno indicazioni in itinere sempre di natura fisio-anatomica: tiralo verso di te, alzalo, spingilo, ingrossalo, portalo più verso la A, appoggialo di più, tira in dentro, ecc. ecc. 5) si danno indicazioni negative, cioè: non aprire la bocca, non dire troppo A, non fare la punta, risparmia il fiato, trattienilo, uniforma le vocali sulla U, ecc.  La stragrande maggioranza di queste indicazioni, pressoché tutte, sono bandite da questa scuola, quelle poche che possono assomigliare a esercizi propri anche della mia, hanno motivazioni e andamenti profondamente diversi. .
- Si fa pensare o "portare" al suono in "maschera" per calibrare la giusta qualità?
- no
- Si accenna ad "impostare" il suono?
- no
- Si fa alzare il velopendolo o palato molle?
- no, cioè non volontariamente
- Si fa allargare la gola?
- come sopra, non volontariamente
- si fa abbassare la laringe?
- c.s.
- si fa pensare a proiettare il suono in qualche parte della testa?
- verso la bocca! La bocca è l'unico e indispensabile luogo da cui esce e deve uscire il suono.
- si procede a uniformare le vocali?
- No
- non c'è il rischio che le vocali risultino troppo differenziate tra di loro come colore e intensità?
- certo, quindi bisogna fare in modo che ognuna di esse arrivi ad essere perfetta in sé; ciò farà sì che ciascuna resti perfetta e perfettamente riconoscibile, ma allo stesso tempo si leghi perfettamente con le altre senza scalini e asperità.
- Gli esercizi e il modo di eseguirli sono gli stessi per chi inizia e per chi è già avanti?
- No; ci sono alcuni esercizi semplici che vanno tenuti sempre come "movimento del fiato" (ciò che si dice volgarmente "riscaldamento"), dopodiché le cose cambiano perché il tempo modifica le condizioni di approccio al canto. Man mano che il tempo passa, la respirazione si modifica e anche la risposta fisio anatomica laringea a quel fiato, quindi si devono compiere dei passi avanti, delle evoluzioni, per puntare a obiettivi più avanzati, e questo comporterà un diverso atteggiamento respiratorio (impossibile e dannoso nei primi tempi) e si potranno approcciare anche esercizi più complessi, sia in vista di un canto più professionale sia per affinare ulteriormente le condizioni elastico-mobili degli apparati.
- Qundi qual è il suggerimento più ricorrente quando si fa vocalizzare un allievo, o dire delle frasi o sillabe?
- "parla! cerca di dire questa frase, parola, sillaba, vocale, esattamente come la diresti parlando." Talvolta la si fa dire normalmente e poi intonando.
- Si ottengono subito importanti risultati?
- Non sempre; la maggior parte, direi pressoché tutti gli allievi, sono incapaci di questa apparentemente semplice operazione; chi ha già studiato o ha provato a cantare cercando di imitare i cantanti molto peggio di chi è "vergine".
- Si accetta volentieri questo approccio al canto?
- La accetta volentieri chi ha già studiato parecchio e ha capito di aver fallito perché ciò che ha fatto era solo imitare la voce, costruirsi un qualcosa di artefatto e lontano dal vero. Ciò non significa che però ci riesca! E' però importante che almeno abbia l'animo disposto a provarci. - Questa disciplina è meno faticosa della scuola tradizionale? - No, o per lo meno non è detto. Quando si riesce ad emettere qualche buon suono "parlato", di primo acchito sembra talmente semplice da apparire improbabile; quando però si canta ci si accorge che l'impegno a "reggere" o mantenere quella disposizione è tutt'altro che facile.
- E perché?
- In sostanza, tutte le tecniche, anche le migliori, non riescono a utilizzare la gola completamente aperta e libera e contemporaneamente usare una dizione limpida e incorrotta, quindi diciamo che nel 99% dei casi la gola è in parte chiusa, e ciò provoca uno "spezzamento" della colonna d'aria-suono, che quindi avrà un determinato "peso" o impegno, ridotto rispetto alla condizione in cui la gola risulta completamente libera da interferenze e unicamente "tubo" in cui transita il fiato sonoro. In pratica è come se togliessimo uno o più puntelli che in qualche modo aiutano il fiato-diaframma a sostenere il suono (oppure si riesce a mantenere la gola aperta e rilassata, ma mancando la disciplina, non si riesce a pronunciare correttamente avanti). Nel momento in cui attraverso la nostra disciplina raggiungiamo questo risultato, noi abbiamo un'unica colonna di suono che dal diaframma si espande nell'ambiente, e naturalmente l'impegno per mantenere questa posizione è elevatissimo; risulterebbe impossibile per chiunque, se non ci fosse la possibilità, da parte della disciplina stessa, di andare a rimuovere le cause di questa impossibilità, cioè la reazione biologica da parte del nostro sistema nervoso istintivo, il quale non è che modifica il proprio funzionamento, ma accetta e accoglie il canto come qualcosa di necessario alla vita, se non fisica e di sopravvivenza, relazionale e soprattutto spirituale della persona. Questo richiede non solo esercizio lungo e ponderato, ma pazienza e accettazione di un percorso non facile e non molto soddisfacente per il proprio ego.
- Quindi questa scuola non assicura successo?
- Questa scuola assicura che pressoché chiunque possa cantare al meglio delle proprie possibilità, ma dare il meglio significa anche rinunciare o mitigare le proprie ambizioni e le pretese narcisistiche, perché sono quelle che impediscono alla coscienza di rivelarsi e permettere il passaggio più importante, quello alla manifestazione artistica del vero che c'è in ciascuno di noi. - Ultima domanda: se una persona venisse in questa scuola senza tante pretese, solo per fare "tecnica", cioè per migliorare la propria voce, è comunque costretto a "digerire" tutta la questione filosofica, le differenze tra disciplina e tecnica, ecc.? - No, non è per niente necessario; di solito sarà la curiosità, col tempo, a far nascere domande, oppure col tempo si prenderà coscienza di un livello di scuola incompatibile con le proprie modeste aspirazioni, ma la frequentazione è sempre piacevole e consentita a chiunque, senza tante "pippe" mentali, come usa dire oggi.

- Ci sarebbe ancora una questione: la semplicità del parlar cantando non indurrà molti a pensare che questo non è canto lirico ma "pop", leggero, incompatibile con il canto teatrale? - Certo, questa è una situazione tipica, ma è solo dovuta alla mediocrità del pensiero artistico contemporaneo. Tutti i grandi cantanti fino a pochi decenni fa parlavano cantando e sapevano che era la parola a elevare il canto a arte perfetta, oggi si pensa in modo opposto, ma non ci si può far niente.
- Ma come si spiega che il parlato può essere sentito perfettamente anche in grandi spazi?
- e cosa porta a credere che invece non sia così? E' un orribile luogo comune che si è insinuato nella mentalità comune! La parola "corre", la parola è ricca, sonora, bella, modulabile e portatrice di sincerità, di cose profonde, di vita! Dico e ripeto che il canto, il grande canto, è sviluppo della parola.
- Ma cosa differenzia un canto leggero da un canto teatrale?
- La base respiratoria. Lo studio, o meglio la disciplina, porta il fiato-diaframma a uno sviluppo qualitativo straordinario, in grado di proiettare la parola ovunque le condizioni lo consentano.

venerdì, ottobre 26, 2012

Definizioni - concetti

Tecnica: insieme di esercizi meccanici ripetitivi, metodicizzati, di natura empirica o scientifica miranti al raggiungimento di un determinato obiettivo di tipo artigianale/artistico o sportivo ovvero a superare le difficoltà che si presentano nel corso dello studio. 
Provo a fare un esempio: un tizio vuole studiare pianoforte ma non vuole prendere lezioni; conosce la tastiera dello strumento, ma non acquista libri e metodi e non si informa su quanto esista in merito alla didattica. Cosa fa? prova a eseguire delle note, ma a un certo punto incontrerà difficoltà che gli impediscono di eseguire con sufficiente gradevolezza determinati passi. A questo punto può insistere brutalmente, senza riflettere, oppure può cercare una soluzione. Il tentativo di trovare una soluzione consiste nel provare delle "manovre" fisiche (rotazioni, piegamenti, movimenti, cadute, flessioni,ecc.) fin quando trova una "posizione" che gli permette di ottenere un risultato che ritiene valido. Quindi diciamo che supera una prima difficoltà. Poco dopo ne incontrerà un'altra. A questo punto riprenderà lo studio di "manovre" che gli consentano di superare anche questa difficoltà, e diciamo che dopo un certo tempo può riuscirci. Dopo molto tempo, se armato di intelligenza, pazienza, intuizione, il nostro può arrivare a collezionare un certo numero di tecniche che gli consentono di suonare brani di un certo livello di difficoltà. A questo punto decide di informarsi, acquista libri, fa ricerche, si reca da qualche insegnante, e può constatare: che ciò che ha scoperto lui l'avevano già scoperto altri molto tempo prima; che alcune delle cose che lui applica, dopo essere state prese in considerazione, sono state sconsigliate perché possono procurare danni fisici; che altri didatti hanno trovato o inventato altre tecniche che ritengono, o possono risultare, più efficaci per salire a livelli di difficoltà superiori. Il nostro a questo punto si convince che di tecniche ne possono esistere migliaia e forse non esiste UNA tecnica unica e buona per tutti (e questa cosa, molto diffusa, convince molti studenti a frequentare diverse scuole per prendere "un po' da tutti"). Fin qui credo di aver raccontato una storia semplice e in qualche modo nota, anche se magari non molti ci avevano riflettuto specificatamente. Adesso diciamo che il nostro, confuso e scontento di questa rivelazione, conosce un altro maestro, un po "diverso", il quale, prima di iniziare gli esercizi, fa una premessa: "qui non facciamo tecnica ma disciplina." - "E che vor dì?", cioè, che differenza c'è, visto che entrando nella stanza sente un allievo fare esercizi grosso modo come ha visto scritti in molti libri e sentiti in altre scuole? La differenza è semplice, anche se fondamentale e rivoluzionaria. Ripartiamo da capo: mi metto sulla tastiera e provo a fare delle note, senza nulla sapere del pianoforte; a un certo punto si incontrerà una difficoltà. Il tecnico - artigiano comincerà a studiare le "manovre" per superare la difficoltà. Qui invece capita un'altra cosa: ci si chiede: perché incontro questa difficoltà? Cosa mi impedisce di fare questo passaggio? Perché devo "allenanarmi"? perché devo ripetere innumerevoli volte quel passaggio? Perché piegando un dito, il polso, la mano o altre parti, riesco a superare, almeno in parte, o sufficientemente, o momentaneamente, il problema? Naturalmente questa serie di domande possono rimanere totalmente senza risposta, e quindi non ci resta che proseguire sulla strada tecnica, ma ci può essere, o essere stato, qualcuno che nel tempo, in parte da solo, in parte grazie ad altri, ha potuto scoprire le risposte. Scoprire questi "perché" non è un puro esercizio mentale, non è un'azione filosofica interessante ma intellettuale e fine a sé stessa, sganciata dalla pratica e quindi dai risultati cui miriamo. Scoprire perché esistono delle "resistenze", delle difficoltà più o meno rilevanti all'esecuzione di determinati movimenti aventi fini artistici o perché non si riesce a ottenere quel certo livello esecutivo che riteniamo valido, ci guida non semplicemente al superamento contingente, ma a debellarne LE CAUSE. Esistono effettivamente migliaia di tecniche anche per il canto: chi affonda, chi mette in maschera, chi spinge, chi tira indietro, chi schiaccia avanti, chi fa piano e chi fa forte, chi crede che la voce vada costruita e chi crede che sia naturale e vada solo recuperata. Ma, consci o inconsci (diciamo pure del tutto inconsci) tutti fanno tecnica, cioè tutti cercano modi, più o meno morbidi o violenti, apparentemente naturali o molto artificiosi, di superamento meccanico del problema, dell'ostacolo. La tecnica in realtà l'ostacolo lo sposta o lo attutisce ma non lo supera, non lo debella, pertanto il cantante si troverà momentaneamente nell'illusione di poter fare ciò che vuole, ma in realtà troverà altri ostacoli o anche gli stessi ostacoli creduti superati, ma che hanno soltanto posposto il loro intervento, e solitamente in modo più deciso, e questo per un motivo estremamente semplice, ovvio: che gli "ostacoli" non sono realmente barriere fisiche, ma resistenze biologiche, cioè tensioni muscolari, tendinee, ecc. che prendono ordini da un sistema (quello nervoso centrale) difficilmente controllabile direttamente. Ogni tecnica, ogni attività umana, incontra resistenze e ostacoli di natura e complessità diversa. Questo dipende da come il nostro corpo vive e si relaziona con quella attività. Mi si può dire, ad esempio, che di pianisti con tecniche prodigiose nel mondo ce ne sono a migliaia, quindi la tecnica funziona e non c'è bisogno di una disciplina, come sembrerebbe evincersi dal discorso anzifatto; questo dipende da quanto quella attività collide con funzioni esistenziali. E' evidente che disciplinare gli arti o parti di essi, è meno problematico, ovvero meno contrasta con le funzioni vitali rispetto a disciplinare il fiato! Questo dovrebbe capirlo chiunque, eppure si fa finta di ritenere questa semplice verità una assurdità da visionari, e si preferisce pensare che il fiato o vada manipolato con forza bruta, o vada lasciato "naturale" e "profondo", e non disciplinato, cioè educato al punto da modificarne profondamente il funzionamento, oltre le esigenze di vita vegetativa e relazionale, e che questa, e solo questa, sia la causa di ogni difetto e difficoltà del canto esemplare, che nessuna tecnica è realmente e completamente in grado di eguagliare.
In estrema sintesi: Tecnica: tentativo meccanico di superare un ostacolo di natura biologica-nervosa, con esiti estremamente variabili, che però stimolerà sempre una reazione e quindi richiederà perenne allenamento e andrà incontro necessariamente a decadimento con il venir meno della forza e della prestanza fisica;  
Disciplina: processo pratico che porta a una graduale presa di coscienza dell'attività artistica cui ci si dedica, delle cause che ne impediscono la piena realizzazione e alla scoperta delle relazioni e interazioni che consentono la rimozione o aggiramento di quelle cause, e permettono, infine, di UNIFICARE tutti gli elementi che concorrono al risultato.

domenica, ottobre 21, 2012

Meditazione Osborn

Ieri sera, sabato 20 ottobre 2012, al Teatro Alfieri veniva assegnato dal Club Amici della Musica "B. Valpreda" di Asti, il premio Aureliano Pertile al tenore americano John Osborn. E' stata un'occasione importante per alcune meditazioni non effimere che intendo mettere per iscritto perché hanno un rilievo. Nei giorni scorsi ho letto alcuni attacchi pesantissimi contro questo tenore (per la verità contraltino) asceso agli onori dei grandi teatri ormai da alcuni anni, e non ho voluto intervenire sia perché erano troppo pesanti e al limite del civile, sia perché volevo approfittare dell'occasione per farmi un'idea precisa dal vivo delle qualità di questo cantante, che ascoltai in diretta per radio nell'estate del 2010 in una edizione INTEGRALE del Guglielmo Tell di Rossini che aveva appeno inciso con Pappano. In quell'occasione trovai Osborn all'altezza della situazione e non ebbi particolari rimproveri da fare. Adesso capita un fatto: se, dopo l'ascolto dal vivo, vado su Youtube e provo a fare degli ascolti, non ritrovo NIENTE di ciò che ho sentito ieri sera! E' una cosa incredibile, ma che forse non è del tutto distaccata dal personaggio. La prima meditazione, comunque, è la riconferma che la registrazione vale poco o niente sul piano della valutazione di un cantante. Ci sono sicuramente voci più o meno fonogeniche, e Osborn non lo è di certo, ma comunque stento a capacitarmi che possano esistere divari così importanti tra ciò che si sente dal vivo e ciò che rimane in una registrazione, più o meno buona. Dicevo, però, che Osborne ha una singolarità piuttosto rara: ascoltato in quattro arie, è parso di sentire quattro cantanti diversi! Questo non so fino a che punto possa essere considerato un pregio o un difetto, o entrambe le cose, di sicuro da oggi più che mai prendo le distanze da ogni registrazione nel valutare le qualità di un cantante. Poco fa ho iniziato ad ascoltare un "a te o cara" del 2010, e se mi fossi basato su quello penso che avrei del tutto evitato di andarlo ad ascoltare, tanto la voce appare ingolata. Invece non è così! Oppure, dal 2010, il nostro ha fatto un passo talmente importante da riuscire a eliminare buona parte della gola; mi pare strano ma tutto può essere (non ho trovato registrazioni più recenti), e comunque resta il fatto che il Tell del 2010 in diretta radiofonica non mi pareva male. Comunque sia, la situazione così è apparsa: Osborn, da vero contraltino, tende ad utilizzare prevalentemente, quasi esclusivamente, la corda di falsetto. L'attacco di "una furtiva lagrima", ma posso dire l'intera aria, è stata "soffiata" sulla corda più sottile, senza quasi mai ricorso al rinforzo! Attacco quasi scioccante, che temevo il pubblico potesse contestare o ritenere deludente, invece c'è stata una grande ovazione, anche perché l'americano sa cantare! Ha un legato di gran classe, musicalità, enorme dinamica e un senso teatralissimo del gesto e dei tempi: i silenzi, nella cadenza finale, erano quelli più giusti per creare tensione e aspettativa che non ha deluso nella frase finale, a fior di labbro. Cantare sulla corda di falsetto leggero, senza peso, fin quasi ad azzerare la voce, è un azzardo che solo il coraggio della sensazione di essere udito può dare, e lui questo coraggio ce l'ha, ed è un merito raro. Che poi questo modo di cantare sia da considerarsi ineccepibile ed esemplare non lo posso affermare, perché, pur essendo questa LA SUA VOCE, cioè la voce di quando parla, lascia comunque più di una perplessità. Nel "lamento di Federico" le cose già sono andate un po' diversamente, dove alla leggerezza di alcune parti, espressamente previste dallo spartito (sempre con il dubbio su un falsetto un po' troppo "contro-tenorile") si alternavano parti alquanto sonore, piene, ricche e risonanti, con messe di voce di escursione straordinaria, che non ricordo di aver sentito da altri cantanti maschi. La "bomba", però, giungeva con la terza e più attesa aria, cioè "a mes amis", la "solita" aria dei nove do. Qui Osborn esibiva fin da subito una voce pressoché interamente tenorile, senza falsettini e cedimenti, veramente piena e sonorissima. Alcuni armonici poi sono autentici "fischi", penetrantissimi e "trapananti". A parte i do, che sono sì facili, ma veramente gagliardi (un po' gigionante il finale con un ribattuto sull'acuto che ha portato praticamente a 11 i do dell'aria), entusiasmanti. Molto piacevoli, professionali, le performance, molto simpatico l'uomo; da rigettare sicuramente le accuse di scarsa musicalità o espressività. E' a mio avviso un avversario persino superiore al fin troppo osannato Florez, per ampiezza dinamica, estensione, e capacità di legato. Il punto debole che ho captato è un certo "blocco" che si avverte, ma solo a tratti, quando entra in piena voce. Credo che l'uso disinvolto del falsetto, che come ripeto è la sua voce parlata, sia anche la sua ancora di salvezza, sul cui utilizzo ammetto possano levarsi contestazioni da parte di quanti non ammettono da un uomo una voce poco piena e "androgina", come disse Del Monaco a proposito del giovane Pavarotti. Personalmente sono dell'opinione che, entro un repertorio adeguato, ciò sia non solo lecito ma corretto. Anche Lauri Volpi, Gigli e molti altri hanno fatto ampio uso di un falsetto leggero, e come lui (non Gigli però) sapevano rinforzarlo senza "scalini". Certamente penso sia una voce del nostro tempo e probabilmente del futuro prossimo, nel bene e nel male, ma ciò che conta è che il cantante sappia eseguire correttamente il brano mantendendosi in un ambito di correttezza vocale ed espressiva dignitosa e professionale (nel senso più ampio di questo termine), e direi che Osborn c'è! Non mi pare invece il caso di commentare gli altri cantanti che hanno preso parte alla manifestazione, che, presentati come vincitori di concorsi autorevoli e partecipanti a stagioni liriche di un certo rilievo, ci hanno invece ahimè manifestato il livello di grave decadimento in cui siamo immersi.

sabato, ottobre 13, 2012

Togliere e non togliere

La cosa più difficile da spiegare, che a forza di suggerimenti, esempi, sollecitazioni, a un certo punto si spera che l'alunno scoprirà, è quella semplicità, quella totale mancanza di spinta del suono che innesca l'amplificazione perfetta a cura delle parti ad essa preposte. Sulle prime il suono sembra troppo facile, troppo "banale", e quindi sussiste una certa resistenza a "togliere" pressione, forza, spinta, ma poi, aprendo ben le orecchie (ma ieri ho scoperto che qualche insegnante fa anche tappare le orecchie!) si apprende che invece il suono rimane ben sonoro, anzi prende una corposità, una "profondità" che invece la forza tende ad impedire. Quando finalmente si è raggiunto questo difficile traguardo (ma la cosa stupefacente è che in realtà una volta conquistato uno si chiede: ma come ho fatto a impiegare tanto tempo a capire una cosa così stupida? ma fa parte della disciplina, e dobbiamo arrenderci di fronte al fatto che una stragrande maggioranza di cantanti, anche celebri, non l'ha mai raggiunta, e molti studenti non la raggiungeranno mai!), si può andare incontro a diversi difetti, più o meno gravi, che vanno prevenuti e corretti sul nascere. Il più veloce ad apparire è il trattenere, specie quando si va in zona acuta, ma questo in genere lo si "cura" già durante la fase precedente, perché altrimenti l'obiettivo non si raggiunge. Successivamente c'è la tendenza ad alleggerire troppo tutto! La cosa non va male, si scopre anche il piano e la mezzavoce, però l'allievo può cominciare ad impensierirsi circa l'eventualità che la voce resti poco sonora. Qui subentra la seconda difficoltà, cioè far sì che nella posizione senza pressione sottoglottica si possa far aumentare il volume del suono. Questo, tanto per cambiare, è legato alla pronuncia. Ormai l'allievo dovrebbe aver raggiunto quel sufficiente grado di consapevolezza tale per cui percepisce che la pronuncia è esterna alla bocca (o per meglio dire è un fenomeno acustico che ci fa apparire la pronuncia esterna alla bocca). Pronunciare con estrema decisione le varie sillabe, o parole o vocali, imprimerà a queste quell'intensità che farà scaturire squillo, potenza, espansione. Per l'appunto in generale per avvicinarmi all'argomento, io indico l'aumento di volume non come una pressione o spinta in avanti, ma come se il suono, davanti alla bocca, leggero, scevro da qualsiasi interferenza, sostenuto dal fiato passivamente, cioè senza alcun tipo di attività da parte del cantante (a parte la postura corretta e "nobile"), si espandesse come una sfera (o una palla da rugby) davanti a noi, come se lo gonfiassimo (l'idea di consumar fiato è sempre importante per evitare l'apnea e il ritegno del fiato). Quindi, rispetto all'azione istintiva, che mette in parallelo la forza in gola e la forza sulla bocca, noi dovremo togliere totalmente la forza di gola, e questo risulterà difficile, ma dovremo mantenere, a seconda del tipo di suono da produrre, quindi non togliere, la forza e la precisione della pronuncia. In particolare i problemi nascono nel legato. Quando si legano due o più suoni, c'è la tendenza a "tirar su", a "cucchiaiare" i suoni dalla gola, con gravi ripercussioni, spoggio della voce, sollevamento della laringe e restringimento glottico, e si perde la pronuncia. In pratica questo non è nemmeno un buon legato. Invece una volta pronunciata perfettamente la prima sillaba, escludendo ogni spinta, si andrà a pronunciare il meglio possibile, con decisione (non mollemente o con titubanza) la seconda, quindi la terza, ecc. In questo modo noi recupereremo il giusto piano di emissione (vedere "il tubo diritto") e ci accorgeremo, scopriremo, ... l'acqua calda!, cioè il parlar cantando, la parola cantata con il suo massimo potere di espansione nell'ambiente, la massima omogeneità di suono, con la perdita di ogni "scalino" legato a registri o peculiarità fisiologiche facenti parte delle funzionalità esistenziali comuni per entrare nel regno del "senso" musicale strumentale perfetto di cui è dotata, potenzialmente, la nostra conoscenza.

sabato, ottobre 06, 2012

La convinzione della ragione

Ci sono alcune frasi, domande perlopiù, che tendono a spiazzare l'interlocutore: "sei convinto di quel che dici?"; "sei sicuro?" "pensi di sapere davvero tutto?"; "non hai ragione"; ecc. Per l'appunto, convincimenti e ragione afferiscono a una precisa localizzazione anatomica, che è la mente, e quindi avere, o non avere, ragione, fa capo alla razionalità, al pensiero ragionato e a quanto esso riesce a elaborare e a restituirci in termini di memoria e collegamenti. Chi onestamente studia e quindi fa grande uso della memoria e della volontà, sa che è impossibile "sapere tutto" anche di un solo specifico e magari neanche vastissimo argomento; qualcosa sfuggirà sempre alla memoria, qualcosa sfugge e sfuggirà alla ricerca, all'analisi, l'errore, anche stuipido, è sempre dietro l'angolo, e quindi ecco che "sbagliare è umano". Non è propriamente corretto; tutto ciò è giusto e condivisibile se legato all'ambito della ragione e del pensiero razionale. Ma esiste un altro ambito, che è quello della coscienza, dove i parametri sono diversi. La coscienza si rapporta da un lato alla conoscenza, intesa come livello specifico di potenzialità creativa di ciacun singolo essere (quindi un aspetto interiore), dall'altro all'apprendimento esterno. Tra questi due poli c'è un "muro" formato dalle convenzioni, dalle convenienze, dalle apparenze, dalle ambizioni, dai rapporti sociali e commerciali, dalle pulsioni istintive, ecc. La coscienza può arrivare a "sapere di sapere", e non è mediata dalla convinzione mentale, che anzi funge da limite proprio perché limitata dal suo freno istintivo. La coscienza sa di sapere o di non sapere, ma non necessita dello sbocco verbale; l'artista conosce e sa ciò che fa, lo sa fare ma non necessariamente lo sa spiegare; se è maestro lo sa anche insegnare, non necessariamente mediante parole, metodi, spiegazioni. Lo spirito conoscitivo sa dove agire e come, lo ha appreso, e lo fa ogniqualvolta può, senza mediazioni e senza pensieri, pertanto l'artista non è mai "convinto" di ciò che sa o sa fare, ma "sa" che sa fare, e non ha "ragione", ma raggiunge il proprio scopo senza meriti, ma perché è così e deve essere così, e l'oggetto artistico non è "bello", "bellissimo", "straordinario, ecc., ma "giusto", "vero", "proprio così". Quando nel film Amadeus, Mozart viene accusato di aver messo "troppe note", egli risponde semplicemente "ho messo quelle che ci volevano, né più ne meno", e questa è l'unica risposta plausibile. Quando diciamo che "il cerchio chiuso è silenzio" e "chi ha chiuso il cerchio tace", ci riferiamo un po' anche a questo, cioè al silenzio della coscienza, che non ha bisogno di parole per esprimere il proprio equilibrio, la propria raggiunta conoscenza (nell'ambito specifico che ha maturato), e le parole non possono "spiegare", non possono convincere o dimostrare quel risultato di perfezione, che avviene solo attraverso l'atto artistico, ma che, ancora una volta, non è di per sé universalmente riconoscibile se non passa attraverso la bellezza, che è "l'esca" che cattura l'attenzione anche dei meno accorti, ed ecco perché le belle voci la fanno da padrone sulle vere e grandi voci.

martedì, ottobre 02, 2012

Respiro naturale e canto 2

Arriviamo al dunque: sulla base di quanto esposto nel post precedente, possiamo giungere alla constatazione che il canto presenta un'azione respiratoria doppiamente asimmetrica: è asimmetrica in quanto l'atto espiratorio dura molto più di quello inspiratorio ed è asimmetrica in quanto il condotto respiratorio è libero e aperto in inspirazione e si trova invece un "ostacolo" in espirazione, cioè le corde vocali addotte. Il primo tipo di asimmetria come s'è detto è risolvibile, perché il nostro corpo è predisposto anche per motivi esistenziali a sostenere un lungo respiro (apnea), e ci sono anche alcuni automatismi relativi al mantenimento attivo dei muscoli inspiratori anche in espirazione. Fin qui, quindi, è ancora possibile parlare di un respiro naturale legato al canto. Dove invece ogni discorso cessa di avere consistenza è in relazione alla seconda asimmetria, cioè la presenza di un ostacolo in fase espiratoria. Qui, pertanto, l'atto respiratorio può assimilarsi a quello presentato nello schema 2 del post precedente; la differenza più consistente sta nel fatto che la laringe non offre una barriera totale, ma solo una resistenza, più o meno consistente a seconda delle condizioni musicali (altezza, intensità, colore) del suono da emettere. Ci troviamo pertanto nella situazione illustrata nello schema n. 3.
Dopo l'inspirazione e lo scambio gassoso, l'aria, in fase espiratoria, incontra le corde vocali addotte; questo pone l'organismo in una situazione simile a quella già vista di uno sforzo. Il fatto che non si viva questo procedimento come uno sforzo, non cambia l'oggettiva realtà delle cose: il fiato non può uscire liberamente perché c'è un ostacolo! Nel momento in cui ciò avviene, il cervello manda un impulso al diaframma affinché generi una azione-reazione (reazione all'impedimento) affinché, con una maggiore pressione, il fiato possa vincere la resistenza delle corde ed uscire. A seconda della tensione delle c.v., la pressione sarà corrispondente. Questa azione si ripercuoterà sull'emissione stessa, ovvero nei confronti dell'ossatura e muscolatura sopraglottica, con i noti difetti di difficoltà di apertura orale, inchiodamento della mandibola, risalita laringea, suono nasale o indietro, schiacciato, e soprattutto questa condizione, per quanto poco si realizzi, nelle note più comode, renderà comunque poco precisa l'articolazione impedendone di fatto la libertà. Spero, con questa ennesima illustrazione, di aver fatto chiarezza sul tema e aver posto in modo più oggettivo e argomentato un fatto che induce alcune scuole di canto a percorrere una strada illusoria, e pertanto a riconsiderare i fatti e rimettersi nella giusta prospettiva.

lunedì, ottobre 01, 2012

Il respiro naturale e il canto

Prendo spunto da una recente discussione per parlare del cosiddetto respiro naturale e il suo rapporto col canto artistico. Partiamo dalla condizione più elementare, che è anche la più comune e che esemplifico nello schema 1 (cliccare sopra per vederlo ingrandito), che definisco: respiro "inerte". Come è facilmente intuibile, questa respirazione avviene in modo del tutto istintivo, cioè regolato automaticamente dal nostro cervello funzionale, e prevede una inspirazione, un attimo di trattenimento dell'aria durante il quale avviene lo scambio gassoso polmonare e il rilascio dell'aria che ha ceduto l'ossigeno assorbendo anidride carbonica.
Nulla di particolarmente differente avviene quando si compiono azioni che possono richiedere una respirazione più profonda, come il correre o anche solo camminare rapidamente, o salire su una scala, o trasportare dei carichi, ecc. ecc., perché questo non contravviene ad alcuna naturalezza respiratoria. Aumenterà il ritmo, ci verrà il cosiddetto "fiatone", che poi tornerà regolare quando si cesserà l'attività. Possiamo anche introdurre un concetto di "tolleranza". Se noi compiamo una certa attività in modo brusco, prolungato, ecc. (come ad esempio fare una corsa rapidissima senza alcuna preparazione o allenamento), noi andremo incontro a una respirazione piuttosto faticosa e che ci potrà dare qualche fastidio, come arsura in bocca e in gola e dolori diffusi. Se invece ci abituiamo a compiere quella certa attività con progressione, andremo incontro a una stabilizzazione respiratoria, cioè avrà luogo un'accelerazione del ritmo che però si stabilizzerà dopo poco e non aumenterà di molto, a meno che non subentri qualche ulteriore difficoltà o il tempo di svolgimento duri troppo. Quando la respirazione "inerte" è lenta e tranquilla, quindi quando stiamo svolgendo normali attività sedentarie o camminiamo lentamente, avviene perlopiù attraverso il naso (a meno di qualche condizione che imponga la respirazione orale, tipo un raffreddore o una patologia delle vie nasali); quando invece le attività diventano più impegnative l'uso della bocca diventa prioritario, ed è per questo che quando si corre, specie nei mesi freddi, si avverte fastidio in bocca e in gola fino a provare addirittura dolore tra esofago e laringe. Questo per introdurre il concetto che l'apporto respiratorio attraverso il naso è scarso e quindi appena necessita una maggiore quantità di aria, è indispensabile l'uso della bocca. Questo genere di respirazione col canto non c'entra niente, e lo dimostrerò nel prosieguo. 1^ constatazione. La respirazione inerte avviene in modo simmetrico, cioè il "tubo" respiratorio è libero e aperto sia in entrata che in uscita, non sono presenti impedimenti di alcun genere, e pertanto i tempi di inspirazione ed espirazione sono pressoché identici. Questo, come è facilmente intuibile, nel canto è decisamente diverso! La prima cosa che si può notare è l'asimmetria respiratoria, cioè l'espirazione è molto più lunga. Questo dato però non è "innaturale". I sub, ad esempio, sono costretti a tenere il fiato a lungo sott'acqua. Questo aspetto è rilevante e coinvolge la cosiddetta "tolleranza". Il nostro corpo reagisce quando si trattiene a lungo il fiato in quanto si va incontro a una sorta di "avvelenamento", e questo genera reazione, però con l'allenamento si può ovviare: il corpo si adegua a tempi più lunghi di smaltimento e, in condizione di quiete assoluta può arrivare a tempi anche molto lunghi. C'è però una notevole differenza rispetto al canto, perché "trattenere" il fiato è diverso dal consumarlo lentamente, perché il trattenimento consiste in una "chiusura" del condotto, mentre nel secondo caso il condotto deve rimanere almeno parzialmente aperto. Ma, ancora una volta, ci troviamo di fronte a una contraddizione, perché sappiamo che un canto di qualità non concorda con un restringimento seppur parziale della gola o glottide. Quindi ecco che occorre creare una condizione piuttosto singolare, e cioè consumare lentamente l'aria senza che questo comporti chiusura o restringimento glottico. Su questo problema ci sono diverse teorie risolutive, che non stiamo a ripercorrere, diamole per buone, ma teniamo presente l'esistenza del problema. 2^ constatazione. Questa è quella che realmente abbatte ogni possibile teoria sulla "naturalezza" respiratoria in fase canora. Per introdurla, però, dobbiamo prima accennare a un'altra funzione respiratoria, che è quella erettiva. In pratica si tratta di un'altra forte asimmetria: riferendoci al primo schema, noi dobbiamo rammentarci che la laringe non sta lì per soddisfare le nostre ambizioni canore, o perlomeno non principalmente per questo, ma per adempiere a un'azione "pneumatica". Quando noi ci sottoponiamo a determinati sforzi, abbiamo la necessità di una collaborazione dell'aria all'azione dei muscoli, ed è per questo che quando siamo sotto sforzo abbiamo serie difficoltà a parlare (schema 2).
L'aria inspirata inizia la fuoriuscita ma incontra la glottide chiusa; non potendo uscire il nostro cervello mette in funzione il diaframma che inizia a premere sull'aria per consentirle di vincere la resistenza; si forma, pertanto, nei polmoni una vera camera d'aria compressa, che ci aiuta in alcune funzioni naturali, come la defecazione, ma anche quando solleviamo ingenti pesi o quando cerchiamo di raddrizzarci dopo esserci piegati in avanti. Quando poi termina l'attività, o quando non se ne può più, l'aria esce molto rapidamente. Anche questa è una condizione che possiamo definire "naturale" e di cui dobbiamo tenere molto conto quando andiamo a parlare di respirazione a fini canori. Ci sarebbe un'altra condizione, di cui ho parlato nei post precedenti, ma che per il momento non è indispensabile reintrodurre, lo potremo fare successivamente. Per ora abbiamo tutti gli elementi di base che ci consentono di affermare che il respiro "naturale" non ha niente a che fare con il canto, buono o meno buono che sia. Lo esemplificherò nel prossimo post