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lunedì, ottobre 01, 2012

Il respiro naturale e il canto

Prendo spunto da una recente discussione per parlare del cosiddetto respiro naturale e il suo rapporto col canto artistico. Partiamo dalla condizione più elementare, che è anche la più comune e che esemplifico nello schema 1 (cliccare sopra per vederlo ingrandito), che definisco: respiro "inerte". Come è facilmente intuibile, questa respirazione avviene in modo del tutto istintivo, cioè regolato automaticamente dal nostro cervello funzionale, e prevede una inspirazione, un attimo di trattenimento dell'aria durante il quale avviene lo scambio gassoso polmonare e il rilascio dell'aria che ha ceduto l'ossigeno assorbendo anidride carbonica.
Nulla di particolarmente differente avviene quando si compiono azioni che possono richiedere una respirazione più profonda, come il correre o anche solo camminare rapidamente, o salire su una scala, o trasportare dei carichi, ecc. ecc., perché questo non contravviene ad alcuna naturalezza respiratoria. Aumenterà il ritmo, ci verrà il cosiddetto "fiatone", che poi tornerà regolare quando si cesserà l'attività. Possiamo anche introdurre un concetto di "tolleranza". Se noi compiamo una certa attività in modo brusco, prolungato, ecc. (come ad esempio fare una corsa rapidissima senza alcuna preparazione o allenamento), noi andremo incontro a una respirazione piuttosto faticosa e che ci potrà dare qualche fastidio, come arsura in bocca e in gola e dolori diffusi. Se invece ci abituiamo a compiere quella certa attività con progressione, andremo incontro a una stabilizzazione respiratoria, cioè avrà luogo un'accelerazione del ritmo che però si stabilizzerà dopo poco e non aumenterà di molto, a meno che non subentri qualche ulteriore difficoltà o il tempo di svolgimento duri troppo. Quando la respirazione "inerte" è lenta e tranquilla, quindi quando stiamo svolgendo normali attività sedentarie o camminiamo lentamente, avviene perlopiù attraverso il naso (a meno di qualche condizione che imponga la respirazione orale, tipo un raffreddore o una patologia delle vie nasali); quando invece le attività diventano più impegnative l'uso della bocca diventa prioritario, ed è per questo che quando si corre, specie nei mesi freddi, si avverte fastidio in bocca e in gola fino a provare addirittura dolore tra esofago e laringe. Questo per introdurre il concetto che l'apporto respiratorio attraverso il naso è scarso e quindi appena necessita una maggiore quantità di aria, è indispensabile l'uso della bocca. Questo genere di respirazione col canto non c'entra niente, e lo dimostrerò nel prosieguo. 1^ constatazione. La respirazione inerte avviene in modo simmetrico, cioè il "tubo" respiratorio è libero e aperto sia in entrata che in uscita, non sono presenti impedimenti di alcun genere, e pertanto i tempi di inspirazione ed espirazione sono pressoché identici. Questo, come è facilmente intuibile, nel canto è decisamente diverso! La prima cosa che si può notare è l'asimmetria respiratoria, cioè l'espirazione è molto più lunga. Questo dato però non è "innaturale". I sub, ad esempio, sono costretti a tenere il fiato a lungo sott'acqua. Questo aspetto è rilevante e coinvolge la cosiddetta "tolleranza". Il nostro corpo reagisce quando si trattiene a lungo il fiato in quanto si va incontro a una sorta di "avvelenamento", e questo genera reazione, però con l'allenamento si può ovviare: il corpo si adegua a tempi più lunghi di smaltimento e, in condizione di quiete assoluta può arrivare a tempi anche molto lunghi. C'è però una notevole differenza rispetto al canto, perché "trattenere" il fiato è diverso dal consumarlo lentamente, perché il trattenimento consiste in una "chiusura" del condotto, mentre nel secondo caso il condotto deve rimanere almeno parzialmente aperto. Ma, ancora una volta, ci troviamo di fronte a una contraddizione, perché sappiamo che un canto di qualità non concorda con un restringimento seppur parziale della gola o glottide. Quindi ecco che occorre creare una condizione piuttosto singolare, e cioè consumare lentamente l'aria senza che questo comporti chiusura o restringimento glottico. Su questo problema ci sono diverse teorie risolutive, che non stiamo a ripercorrere, diamole per buone, ma teniamo presente l'esistenza del problema. 2^ constatazione. Questa è quella che realmente abbatte ogni possibile teoria sulla "naturalezza" respiratoria in fase canora. Per introdurla, però, dobbiamo prima accennare a un'altra funzione respiratoria, che è quella erettiva. In pratica si tratta di un'altra forte asimmetria: riferendoci al primo schema, noi dobbiamo rammentarci che la laringe non sta lì per soddisfare le nostre ambizioni canore, o perlomeno non principalmente per questo, ma per adempiere a un'azione "pneumatica". Quando noi ci sottoponiamo a determinati sforzi, abbiamo la necessità di una collaborazione dell'aria all'azione dei muscoli, ed è per questo che quando siamo sotto sforzo abbiamo serie difficoltà a parlare (schema 2).
L'aria inspirata inizia la fuoriuscita ma incontra la glottide chiusa; non potendo uscire il nostro cervello mette in funzione il diaframma che inizia a premere sull'aria per consentirle di vincere la resistenza; si forma, pertanto, nei polmoni una vera camera d'aria compressa, che ci aiuta in alcune funzioni naturali, come la defecazione, ma anche quando solleviamo ingenti pesi o quando cerchiamo di raddrizzarci dopo esserci piegati in avanti. Quando poi termina l'attività, o quando non se ne può più, l'aria esce molto rapidamente. Anche questa è una condizione che possiamo definire "naturale" e di cui dobbiamo tenere molto conto quando andiamo a parlare di respirazione a fini canori. Ci sarebbe un'altra condizione, di cui ho parlato nei post precedenti, ma che per il momento non è indispensabile reintrodurre, lo potremo fare successivamente. Per ora abbiamo tutti gli elementi di base che ci consentono di affermare che il respiro "naturale" non ha niente a che fare con il canto, buono o meno buono che sia. Lo esemplificherò nel prossimo post

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