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sabato, ottobre 06, 2012

La convinzione della ragione

Ci sono alcune frasi, domande perlopiù, che tendono a spiazzare l'interlocutore: "sei convinto di quel che dici?"; "sei sicuro?" "pensi di sapere davvero tutto?"; "non hai ragione"; ecc. Per l'appunto, convincimenti e ragione afferiscono a una precisa localizzazione anatomica, che è la mente, e quindi avere, o non avere, ragione, fa capo alla razionalità, al pensiero ragionato e a quanto esso riesce a elaborare e a restituirci in termini di memoria e collegamenti. Chi onestamente studia e quindi fa grande uso della memoria e della volontà, sa che è impossibile "sapere tutto" anche di un solo specifico e magari neanche vastissimo argomento; qualcosa sfuggirà sempre alla memoria, qualcosa sfugge e sfuggirà alla ricerca, all'analisi, l'errore, anche stuipido, è sempre dietro l'angolo, e quindi ecco che "sbagliare è umano". Non è propriamente corretto; tutto ciò è giusto e condivisibile se legato all'ambito della ragione e del pensiero razionale. Ma esiste un altro ambito, che è quello della coscienza, dove i parametri sono diversi. La coscienza si rapporta da un lato alla conoscenza, intesa come livello specifico di potenzialità creativa di ciacun singolo essere (quindi un aspetto interiore), dall'altro all'apprendimento esterno. Tra questi due poli c'è un "muro" formato dalle convenzioni, dalle convenienze, dalle apparenze, dalle ambizioni, dai rapporti sociali e commerciali, dalle pulsioni istintive, ecc. La coscienza può arrivare a "sapere di sapere", e non è mediata dalla convinzione mentale, che anzi funge da limite proprio perché limitata dal suo freno istintivo. La coscienza sa di sapere o di non sapere, ma non necessita dello sbocco verbale; l'artista conosce e sa ciò che fa, lo sa fare ma non necessariamente lo sa spiegare; se è maestro lo sa anche insegnare, non necessariamente mediante parole, metodi, spiegazioni. Lo spirito conoscitivo sa dove agire e come, lo ha appreso, e lo fa ogniqualvolta può, senza mediazioni e senza pensieri, pertanto l'artista non è mai "convinto" di ciò che sa o sa fare, ma "sa" che sa fare, e non ha "ragione", ma raggiunge il proprio scopo senza meriti, ma perché è così e deve essere così, e l'oggetto artistico non è "bello", "bellissimo", "straordinario, ecc., ma "giusto", "vero", "proprio così". Quando nel film Amadeus, Mozart viene accusato di aver messo "troppe note", egli risponde semplicemente "ho messo quelle che ci volevano, né più ne meno", e questa è l'unica risposta plausibile. Quando diciamo che "il cerchio chiuso è silenzio" e "chi ha chiuso il cerchio tace", ci riferiamo un po' anche a questo, cioè al silenzio della coscienza, che non ha bisogno di parole per esprimere il proprio equilibrio, la propria raggiunta conoscenza (nell'ambito specifico che ha maturato), e le parole non possono "spiegare", non possono convincere o dimostrare quel risultato di perfezione, che avviene solo attraverso l'atto artistico, ma che, ancora una volta, non è di per sé universalmente riconoscibile se non passa attraverso la bellezza, che è "l'esca" che cattura l'attenzione anche dei meno accorti, ed ecco perché le belle voci la fanno da padrone sulle vere e grandi voci.

2 commenti:

  1. SALVO9:45 AM

    Poche sere fa, sono andato ad ascoltare un amico tenore (sul quale, Fabio, mi hai già espresso un parere) che applica la T.d.A. (tecnica dell'affondo). Certamente una voce interessante all'inizio ma poi sempre più monotona... possente, grossa, insomma noiosa. Grandi applausi, ma poi confidandomi con altri amici presenti, tutto era basato proprio sulla potenza e non sulla bellezza, sull'"avere" e non sul "dare", sul "guarda che ti sparo!..". Per me. si raggiunge la bellezza artistica e quindi la perfezione, quando non ti stancheresti mai di ascoltare quel brano o quella voce... perchè l'ascolto e quindi il cervello e l'anima, raggiungono uno stato di estasi tale da non annoiarsi, cosa che non può accadere per un canto forte indubbiamente tecnicamente pronto ma senza "incanto...".

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  2. Naturalmente è così, però credo che oggigiorno ci sia già da gridare al miracolo quando, in qualche modo, un cantante riesce a cantare qualche brano o un'opera completa in modo, sì magari monotono, ma perlomeno accettabile, e non sembri un urlatore da mercato o non minacci uno svenimento per insopportabilità della fatica. Se, insomma, non sembri una caricatura di cantante, non incespichi ogni volta che la tessitura salga oltre la prima ottava e non emetta rumori di dubbia origine...

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