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sabato, ottobre 13, 2012

Togliere e non togliere

La cosa più difficile da spiegare, che a forza di suggerimenti, esempi, sollecitazioni, a un certo punto si spera che l'alunno scoprirà, è quella semplicità, quella totale mancanza di spinta del suono che innesca l'amplificazione perfetta a cura delle parti ad essa preposte. Sulle prime il suono sembra troppo facile, troppo "banale", e quindi sussiste una certa resistenza a "togliere" pressione, forza, spinta, ma poi, aprendo ben le orecchie (ma ieri ho scoperto che qualche insegnante fa anche tappare le orecchie!) si apprende che invece il suono rimane ben sonoro, anzi prende una corposità, una "profondità" che invece la forza tende ad impedire. Quando finalmente si è raggiunto questo difficile traguardo (ma la cosa stupefacente è che in realtà una volta conquistato uno si chiede: ma come ho fatto a impiegare tanto tempo a capire una cosa così stupida? ma fa parte della disciplina, e dobbiamo arrenderci di fronte al fatto che una stragrande maggioranza di cantanti, anche celebri, non l'ha mai raggiunta, e molti studenti non la raggiungeranno mai!), si può andare incontro a diversi difetti, più o meno gravi, che vanno prevenuti e corretti sul nascere. Il più veloce ad apparire è il trattenere, specie quando si va in zona acuta, ma questo in genere lo si "cura" già durante la fase precedente, perché altrimenti l'obiettivo non si raggiunge. Successivamente c'è la tendenza ad alleggerire troppo tutto! La cosa non va male, si scopre anche il piano e la mezzavoce, però l'allievo può cominciare ad impensierirsi circa l'eventualità che la voce resti poco sonora. Qui subentra la seconda difficoltà, cioè far sì che nella posizione senza pressione sottoglottica si possa far aumentare il volume del suono. Questo, tanto per cambiare, è legato alla pronuncia. Ormai l'allievo dovrebbe aver raggiunto quel sufficiente grado di consapevolezza tale per cui percepisce che la pronuncia è esterna alla bocca (o per meglio dire è un fenomeno acustico che ci fa apparire la pronuncia esterna alla bocca). Pronunciare con estrema decisione le varie sillabe, o parole o vocali, imprimerà a queste quell'intensità che farà scaturire squillo, potenza, espansione. Per l'appunto in generale per avvicinarmi all'argomento, io indico l'aumento di volume non come una pressione o spinta in avanti, ma come se il suono, davanti alla bocca, leggero, scevro da qualsiasi interferenza, sostenuto dal fiato passivamente, cioè senza alcun tipo di attività da parte del cantante (a parte la postura corretta e "nobile"), si espandesse come una sfera (o una palla da rugby) davanti a noi, come se lo gonfiassimo (l'idea di consumar fiato è sempre importante per evitare l'apnea e il ritegno del fiato). Quindi, rispetto all'azione istintiva, che mette in parallelo la forza in gola e la forza sulla bocca, noi dovremo togliere totalmente la forza di gola, e questo risulterà difficile, ma dovremo mantenere, a seconda del tipo di suono da produrre, quindi non togliere, la forza e la precisione della pronuncia. In particolare i problemi nascono nel legato. Quando si legano due o più suoni, c'è la tendenza a "tirar su", a "cucchiaiare" i suoni dalla gola, con gravi ripercussioni, spoggio della voce, sollevamento della laringe e restringimento glottico, e si perde la pronuncia. In pratica questo non è nemmeno un buon legato. Invece una volta pronunciata perfettamente la prima sillaba, escludendo ogni spinta, si andrà a pronunciare il meglio possibile, con decisione (non mollemente o con titubanza) la seconda, quindi la terza, ecc. In questo modo noi recupereremo il giusto piano di emissione (vedere "il tubo diritto") e ci accorgeremo, scopriremo, ... l'acqua calda!, cioè il parlar cantando, la parola cantata con il suo massimo potere di espansione nell'ambiente, la massima omogeneità di suono, con la perdita di ogni "scalino" legato a registri o peculiarità fisiologiche facenti parte delle funzionalità esistenziali comuni per entrare nel regno del "senso" musicale strumentale perfetto di cui è dotata, potenzialmente, la nostra conoscenza.

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