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lunedì, dicembre 29, 2014

La rinuncia

Esiste una vita biologica e fisica e una vita "umana" ben più elevata. Non mi sto riferendo a atti eroici, a grandi imprese, benché spesso anche queste possano conferire una dignità e una nobiltà alla vita di alcune persone che le fanno elevare a un rango universale e storico. Ma anche in ambito artistico e meno visibile si può imboccare la strada per una vita più vera, più reale, più interiore e allo stesso tempo più in relazione all'universo e quanto e quanti ci stanno attorno. Purtroppo pur essendo presente in tutti gli umani, la componente predisposizionale riveste un ruolo importante, per cui una gran parte di persone non ci prova nemmeno, non ne sente il richiamo e non si trova nelle condizioni ambientali e sociali per sentirne il richiamo. Poi, però, ci sono le persone che si trovano nelle condizioni giuste: ambiente, comunità sociale, stimoli culturali, ecc., ma... si rinuncia! Sia chiaro, è una difesa. Entrare nella spirale della verità è una incognita, un passo verso un destino ignoto che già sappiamo che non saranno solo gioie, ma anche dolori, anzi, sappiamo prima di tutto che saranno dolori, e forse, solo forse, gioie. In fondo chi ce lo fa fare? Qualunque sia la nostra situazione di vita, possiamo credere che il percorso verso la perfezione possa migliorarla significativamente? Dipende da come consideriamo questa situazione. In genere sì, chi si avventura per questa strada lo pensa, lo crede, per darsi forza e coraggio. Spesso la frustrazione, il desiderio di rinuncia si affacciano prepotentemente. Ovunque ci affacciano "nemici", persone che vorremmo da un lato convincere, dall'altro "sopprimere" per la loro superficialità, per la loro irrinunciabile e imcomprensibile lotta contro le nostre posizioni. Eppure è così, non c'è alternativa. L'unico stimolo importante riguarda una visione della vita che sfugge, e cioè la rinuncia, sì, ma ai bisogni materiali, egoici, apparenti ed effimeri, per entrare nella gioia di un momento, per sentire che qualcuno è entrato con noi nel regno della libertà. Quando finalmente il nostro canto si sarà libeato da ogni ostacolo (ogni tipo di ostacolo) non lo si vive più come "canto", come impegno fisico e mentale per portare a termine una performance, ma come comunione, come raccogliere in un gesto astratto tutti i presenti, rapirne l'attenzione e farli trascendere dal tempo fisico. Non so se questa prospettiva possa essere sufficiente per far scegliere chi si trova sul crinale tra fare arte e fare successo (tentarci), ovvero rinunciare agli allori o rinunciare alla vita. Vedo, sento tante persone, molte delle quali occupano posti importanti nell'opionione pubblica, che vivono una vita più apparente che reale, si nutrono del successo giornalistico, delle medaglie, dei diplomi e dei premi, ma che hanno evidentemente rinunciato al grande passo, quello che li avrebbe condotti a fare realmente arte, quella verso cui erano portati, eletti, eppure si sono accontentati dell'effimero. E quante persone li invidiano! Lui è lì e io sono qui. Come se quello fosse realmente il traguardo della vita. E anche queste parole possono suonare come un ingenuo tentativo di nascondere l'invidia e la frustrazione di non aver saputo o potuto raggiungere un analogo traguardo. Si tratta sempre di scelte, si tratta di sapersi valutare; la cosa più difficile, a volte tremenda, è proprio il dire: io sono capace fare questa cosa a questo livello, non so fare questa cosa, so fare solo molto modestamente quest'altra. A volte è dura ammetterlo con le cose che più ci piacciono, che più ci appassionano e ci coinvolgono, ma se non c'è trasparenza verso sé stessi, non la si può impiegare neanche verso gli altri.

Leggevo all'interno di una discussione una critica al tentativo di mettere in campo criteri per valutare una prestazione e allo stesso tempo guidarci verso una esecuzione all'insegna del vero. Il soggetto a un certo punto diceva che la perfezione poteva risultare noiosa; non solo, ma di fronte a una approfondita disamina di questi, l'interlocutore rinunciava al confronto, dicendo: ognuno ha la propria filosofia di vita. Cioè, replico io, costui ha rinunciato alla vita! Si accontenta dell'illusione. Ma non lo biasimo, se la sua scelta è questa, e non è giusto insistere. Da un certo punto di vista chi ha intrapreso questo studio vede tanti presunti artisti come "zombie" che vagano senza meta, senza criteri, senza bussola, sonnambuli (un noto pianista e ahinoi anche direttore d'orchestra ce l'ha che l'inteprete è come un sonnambulo! ecco, sono d'accordo, è un sonnambulo che ha rinunciato a svegliarsi, sta troppo bene in quel mondo dove pensa che possa far quel che vuole e nulla possa accadergli) e lui che possiede quei criteri non poterli esprimere a una platea più ampia e che potrebbe far contenti tanti. E' giusto provarci, occorre perseveranza, ma a volte è anche giusto rinunciare.

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