Il sesto senso è quell´istinto che aggiusta la rotta dei nostri comportamenti, che ci fa evitare gli ostacoli, bloccarci quando vorremo partire, voltarci all´improvviso mentre attraversiamo la strada, ma è anche ciò che ci fa sentire conosciute persone mai viste, prendere decisioni contro ogni logica. È l´intuizione rapida che collega in una frazione di secondo elementi distanti e fa dire ad Archimede "Eureka" e a Sherlock Holmes "Elementare, Watson".In un altro sito scrivono: "Secondo voi L'intuito è il nostro sesto senso? secondo me sì..." e poi una pioggia di illazioni, alcune anche piuttosto interessanti, che però non sto a riportare, tranne questa: "ognuno di noi nasce con "doti" (qualcuno direbbe crismi) legati a quando eravamo "uniti" nella luce. ognuno di noi tali "doni" li porta con se quando nasce e le sviluppa in vita (evoluzione) ma di mezzo ci stanno l'ego... e l'Io...". Si può andare avanti a lungo a trovare blog e forum dove si narra di percezioni straordinarie. Poi ecco qualcosa di inatteso: "La bravura in matematica da adulti non si apprende sui libri, ma e' una dote innata." La scienza ha già catalogato un "senso del numero". Ancora: "Il cervello può "sentire" le calorie nel cibo indipendentemente dai meccanismi del gusto, [...] I ricercatori [...] hanno scoperto che il sistema cerebrale della ricompensa è attivato da una sorta di "sesto senso". Un altro sito parla di un sesto senso "magnetico", ovvero una proteina presente nella retina umana sensibile ai campi magnetici. Si potrebbe proseguire; ad esempio molto spazio viene dedicato a una ricerca americana che asserisce che nelle persone cieche si può sviluppare un sesto senso tale per cui riescono a evitare gli ostacoli anche in un percorso sconosciuto (mai visto il film "furia cieca"?). In genere si dice che le persone a cui manca o viene a mancare un senso importante, come la vista, amplificano gli altri sensi (ad esempio l'udito), ma adesso si parla addirittura di sesto senso. Dunque, se leggiamo attentamente, dobbiamo arrivare alla conclusione che di sensi ne esistono a dozzine (effettivamente già gli stessi cinque sensi, a rigore, sono molti di più). La domanda da farsi è: come nascono e come si sviluppano i sensi? Osservazione: se è vero, come è vero (vedi la citazione nel post sull'istinto) che l'uomo è l'ultimo anello dell'evoluzione e come tale ha ereditato qualcosa da tutte le specie animali precedenti, salvo averlo atrofizzato o minimizzato, i sensi sarebbero forse centinaia (pensiamo solo a come si muovono, come cacciano, come si orientano, molti pesci o uccelli). Ma, restando anche solo ai cinque sensi comuni, è evidente che ogni specie animale ha un grado di sviluppo diverso. Addirittura in una stessa razza animale un senso può essere più o meno sviluppato a seconda della "specializzazione". Mi riferisco ad esempio alla vista o all'odorato dei cani, che può variare tantissimo da un cane "da tana" a uno da caccia, o da punta, da combattimento o da guardia. Proverbiale è la vista dell'aquila, a fronte di quella, sempre proverbiale ma in negativo, della talpa. Alle persone piace molto il mistero, l'arcano, e quindi l'idea di un "sesto senso" che ci fa intuire, presagire, profetare, ecc., è molto intrigante, e non si fa caso, invece, a situazioni che, seppur ritenute straordinarie, difficilmente vengono associate a un senso. Facciamo il punto sulla musica, dunque, che è il nostro campo. Quanti, riferendosi a Benedetti Michelangeli, invece che a Arrau o Dinu Lipatti, ritengono che avessero un "senso pianistico"? Non ricordo di averlo mai visto scritto o sentito dire. Ma chiunque si occupi di musica pianistica sa quanto unico sia stato il "tocco" di Michelangeli, o il fraseggio e la dinamica di Lipatti. Dunque, questa rarità, nonostante le migliaia di pianisti in circolazione, a livelli stratosferici, perché non viene riconosciuta come senso? Fare un milione di note in un tempo brevissimo, come scrivere a macchina, cosa che oggi preoccupa maggiormente le aspiranti celebrità della tastiera, in fondo non è così difficile, probabilmente ci riuscirebbe anche una scimmia ammaestrata; ma riuscire, con coscienza, a graduare infinitesimamente il colore o la dinimica di una frase musicale è qualcosa che va molto oltre le pur eccelse doti della stragrande maggioranza dei pianisti. Quindi, come può esistere una vista d'aquila o un udito da gatto o da cane, può esistere una raffinata educazione delle dita, oltre che dell'udito, che permetta di produrre suoni celestiali con uno strumento meccanico. E perché questo senso non dovrebbe coinvolgere la voce? Se esistono uccelli di varie fogge in grado di emettere canti di mirabile bellezza e sonorità, perché tale dote non dovrebbe riguardare anche l'uomo? Tornando alle prime citazioni che ho postato, notiamo due parole: istinto e doti. Esiste un legame tra sensi, istinto e doti? In effetti è così; l'istinto, oltre a controllare le funzioni base della nostra vita vegetativa, controlla i sensi, non solo e semplicemente quelli conosciuti e attivi, ma anche quelli nascosti e dormienti, ed è anche in grado di farne nascere dei nuovi. Qualunque parte mobile del nostro corpo è in condizioni di svilupparsi oltre le normali funzioni conosciute fino a un livello inimmaginabile. Quando e perché? Come condizione essenziale perché ciò avvenga è necessaria una esigenza che vada oltre i normali bisogni esistenziali, ovvero sarebbe necessario un mutamento dell'ambiente esistenziale tale per cui l'uomo, per poter sovravvivere, necessiti dello sviluppo di un nuovo senso. Se ad esempio improvvisamente, pur mantenendosi le attuali condizioni vitali, venisse a mancare la luce, l'uomo dovrebbe sviluppare altri sensi, come l'udito e addirittura un senso radar. Alcuni possiedono già un "dono", una predisposizione particolare (cioè nel loro caso l'istinto ha tenuto le "briglie allentate"), e se la caverebbero meglio e più in fretta di altri; altri riuscirebbero, con l'applicazione, la volontà e lo studio, a sviluppare più o meno questi sensi, molti altri soccomberebbero. Questo vale per tutto. L'istinto è sensibile ai bisogni della specie e del singolo. I bisogni della specie sono contenuti nella memoria storica. Questa è fondamentale per la sopravvivenza di ogni specie. Perché un certo animale caccia certi altri animali? Perché la tartaruga marina, pur in assenza dei genitori, appena uscito dall'uovo va verso il mare e non a zonzo per la spiaggia? E lo stesso vale per migliaia di altre situazioni; evidentemente perché esiste una memoria storica nel cervello istintivo che, fin dalla nascita, guida determinate azioni e comportamenti ai fini della sopravvivenza la più ampia possibile di ogni soggetto ai fini della perpetuazione della specie. Anche l'uomo ha dei comportamenti che possono risultare incomprensibili; paure, riserve, fiducia, ecc., nei riguardi di cose e luoghi, che appaiono strani considerando che possono non averli mai visti e conosciuti, e il motivo di tali comportamenti risiede appunto in quel confronto che la mente svolge di continuo con quanto contenuto nella memoria storica (una parte è anche dedicata alla memoria infantile). Queste memorie non sono trasparenti e coscienti, sono fissate nel profondo, quindi è logico che si ritenga incomprensibile e misterioso ogni comportamento non legato alla razionalità, ma in realtà è razionale, solo che manca alla coscienza e alla pubblica ragione il termine del raffronto. Dunque, l'istinto, che non è da considerare un meccanismo rigido e automatico, ma una mente vera e propria, ha in sé anche i "bottoni" per poter attivare i sensi non attivi o addirittura nuovi. Ovviamente il primo input per poter addivenire a questo incredibile risultato è quello del bisogno, dell'esigenza. Teoricamente dovrebbe essere un bisogno esistenziale, vitale, il che è piuttosto raro (questa è la spiegazione del perché il m° Antonietti ha raggiunto quel livello di arte e consapevolezza, che lui stesso arrivò a comprendere, segno, per l'appunto, di un grado di coscienza strepitosa), ma questo è anche un elemento che può esistere in noi indipendentemente dal contesto esterno. Quando parliamo di "doti", solitamente ci riferiamo alla capacità di svolgere una certa attività anche senza particolari studi, o comunque con molta maggiore facilità rispetto a molti altri (quindi si definisce: capacità istintiva), mentre raramente si parla di doti verso chi, possedendo o meno queste notevoli capacità innate, sente una spinta forte a dedicarsi a una o più attività e fare di tutto e di più per riuscire a conquistare una capacità eccelsa in quella disciplina. Il fatto che queste due doti spesso non vadano di conserva, crea delle situazioni spiacevoli: persone di grande competenza ma poco o nulla popolari e particolarmente piacevoli nell'esternazione di quell'Arte, altre dotate di grandi mezzi ma che restano alla superficie e spesso perdono anche quei doni (ad es. i bambini prodigio). Per poter accedere all'arte è indispensabile la prima caratteristica, cioè il bisogno interiore di promozione a un livello di conoscenza elevato. Questo bisogno però si scontra con un altro, pesantissimo, ostacolo, anch'esso riportato in una citazione sopra: l'ego. E', in fondo, anch'esso una propaggine del nostro istinto, perché noi dobbiamo considerare che l'istinto in fondo basa il proprio funzionamento su pochi semplici elementi; uno di questi, ed è quello che più ci ostacola, è il minimo impegno. L'uomo, in ogni cosa, è guidato a fare la minor fatica, a consumare il meno possibile. Sembra un paradosso, ma l'uomo lavora, contrariamente a tutte le altre specie, per faticar meno! L'uomo produce oggetti e servizi che servono a lavorare e faticare meno; infatti, rispetto al passato, noi abbiamo sempre più macchine e orgazzazioni che hanno fondamentalmente lo scopo di procurarci minor fatica. Siccome questo potrebbe condurci a una atrofizzazione, siamo anche spinti a fare attività fisica, ma nonostante ciò i problemi della sedentarietà sono evidenti e piuttosto seri. L'ego è una sorta di istinto che ci porta a esaltarci per determinate azioni proprie magnificandole come esaltanti e riuscendo, proprio in virtù di questa intima convinzione, a convincere molti altri, ovviamente in condizioni di ignoranza piuttosto evidenti.
Abbiamo quindi da una parte un istinto che ci ostacola nel canto perché questo è visto come una minaccia per la respirazione e una fatica inutile perché non utile alla vita e sopravvivenza della specie, dall'altra parte abbiamo una esigenza interiore (magari non tutti, ma insomma, se si studia canto con volontà e desiderio...) di promuoverci artisticamente a un elevato livello e quindi potremmo attivare quella potenziale possibilità insita in ogni specie vivente di sviluppare un nuovo senso, che nel nostro caso sarebbe il senso fonico. Se riusciamo a superare il grosso ostacolo dell'ego, questa possibilità può entrare nel novero dei requisiti di un individuo e a quel punto sarà fatale un indebolimento e quindi una sparizione degli ostacoli posti dall'istinto, avendo egli riconosciuto una esigenza esistenziale nel canto, e quindi avendo assunto "dalla sua parte" il canto, che a quel punto non avrà più bisogno di allenamento, perché venuti a mancare i presupposti stessi dell'allenamento, che sono quelli di mantenere una condizione che di solito non resta, perché è l'istinto che si riprende il concesso. L'unico elemento che deve essere riportato alla giusta condizione sarà sempre il fiato, perché ogni volta che si smette di cantare l'istinto lo riporta alle condizioni minime necessarie, sempre per il minimo consumo, ma resta un esercizio di pochi minuti.
Vorrei commentare un passaggio di questo post:
RispondiElimina"se è vero, come è vero (vedi la citazione nel post sull'istinto) che l'uomo è l'ultimo anello dell'evoluzione e come tale ha ereditato qualcosa da tutte le specie animali precedenti, salvo averlo atrofizzato o minimizzato"
Per quanto ne so della teoria dell'evoluzione - che non è la Verità, come niente lo è nella scienza moderna, che per definizione è un metodo, e come tale è fondato su assiomi indimostrabili ossia dogmi, e serve a produrre una RAPPRESENTAZIONE, sempre arbitraria in quanto discendente da quei dogmi, della realtà - non si può dire che l'uomo sia una sorta di "ultimo anello" dell'evoluzione (il che implica una considerazione di tipo finalistico che è estranea alla scienza) e che abbia ereditato qualcosa da tutte le forme di vita. Il modello della teoria evolutiva è un albero, in cui il tronco rappresenta il comune antenato ancestrale, e i rami le differenti famiglie di esseri viventi che da quell'antenato si sono via via staccate. L'uomo quindi sarebbe al vertice solo del proprio "ramo" evolutivo, ma non può aver ereditato niente dalle forme di vita che discendono da rami diversi. Sarebbe come se un bambino nascendo ereditasse i caratteri del cugino. No, erediterà i caratteri degli ascendenti. E gli ascendenti dell'uomo non sono i cani o gli uccelli, ma sono le scimmie, stando a quanto sostiene la suddetta teoria. In questa teoria non esiste una sequenza evolutiva piramidale con a capo l'uomo, ci sono invece tanti vertici quante sono le forme di vita oggi presenti sulla terra.
Infatti quella teoria non ci interessa. Noi consideriamo una evoluzione conoscitiva, eternamente finita all'infinito. La verità deve riconoscersi, per non essere fine a sé stessa, e quindi produce diversificazioni graduate che si proiettano in una progressione (temporale) conoscitiva finché si arriva alla forma conoscitiva più elevata (la forma è relativa alla conoscenza, e in ogni tempo può essere diversa), in grado di riconoscere la verità. Solo in questo senso e in questo modo noi consideriamo l'evoluzione.
RispondiEliminaMi sfugge quale sia questo meccanismo che a partire da una esigenza esistenziale o pulsione conoscitiva conduce ad una evoluzione della forma esterna. Nel post sul "pesce artista" si parla di un'evoluzione che rimarrebbe impressa nel DNA per essere tramandata alla progenie. Ora io di queste cose ho sentito parlare solo nella teoria dell'evoluzione, la quale però attribuisce solo al caso la nascita di mutazioni, e non ad una spinta conoscitiva.
RispondiEliminaLe mutazioni non possono essere dovute al caso, come nulla lo è. Ad esempio si è già notato che l'uso intenso del pollice da parte delle ultime generazioni per messaggiare sul cellulare, porterà in breve a uno sviluppo di questa articolazione. Ma è altrettanto noto che molti insetti, la cui breve vita accelera enormemente l'evoluzione, sviluppano nel giro di pochi anni modificazioni esterne per mimettizzarsi meglio nell'ambiente che muta (nota è la farfalla che modificò il proprio colore durante la fase più intensa della rivoluzione industriale quando l'abbondante uso di carbone ingrigì l'ambiente urbano) o controbattere una soluzione conoscitiva superiore. L'uomo inventa gli spry antizanzara, e le zanzare sviluppano una maggiore resistenza alle sostanze. Lo stesso accade per molti ceppi batterici nei confronti di medicine.
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