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lunedì, giugno 02, 2014

Belcanto?

Con questo termine si designa, propriamente, un'epoca e un periodo storico che copre tutta la produzione operistica dagli esordi fino a tutto il Settecento con un'appendice, che possiamo definire post-belcantistica, relativa a gran parte della produzione rossiniana. Qualcuno vuol farci entrare anche Donizetti e Bellini e anche il primo Verdi; non è il caso di disquisirne qui, e comunque è uno di quegli argomenti che forse sarà dibattuto all'infinito senza trovare univoca accettazione. Quindi, come si vede, il termine ha più che altro un rilievo temporale, all'interno del quale si trovano correnti artistiche diverse (tardorinascimento, barocco, classicismo, protoromanticismo); dunque cosa ha fatto sì che un periodo storico così lungo venisse indicato con un unico termine legato al canto? Un modo di concepire il rapporto tra significato e significante, che è andato modificandosi sostanzialmente nel corso dell'8 e 900. Come sarà noto, Monteverdi fu il massimo esponente di un movimento artistico-musicale che privilegiava la parola cantata e fu il più importante artefice della nascita del melodramma; per questo geniale compositore la parola era regina e la musica "ancella". Naturalmente la composizione cantata non è fatta di sole parole, e dunque si possono distinguere i momenti in cui si parla intonando dai momenti "figurati", in cui cioè il parlato si "allunga" in melismi e virtuosismi vari, che esprimono significati, sentimenti, affetti. Per quasi due Secoli, in musica non si è ritenuto che la parola dovesse esprimersi con un'espressione enfatica che caratterizzasse il significato, come si fa nel teatro di prosa, ma che alla caratterizzazione, quindi alla manifestazione più intenzionale del significato, pensasse la musica con vari mezzi espressivi, dal semplice melisma su una o più vocali, all'agilità, ai vari strumenti belcantistici quali trilli, mordenti, volatine, strisciate, ribattuti, ecc. Ogni riferimento espressivo al quotidiano era considerato volgare, banale, ignobile. Era un concetto estetico che non si limitava all'esecuzione musicale ma coinvolgeva anche i protagonisti; il fatto che per molto tempo, appunto fino all'Ottocento, le voci di mezzosoprano e baritono fossero relegate alle parti minori, rientrava nella stessa logica, cioè dare maggior rilievo a ciò che era inusuale, stupefacente, ai limiti delle possibilità.

Molti "puristi" negano che si possa fare un parallelo tra il periodo storico e l'insegnamento del canto. Per costoro si può parlare di B. solo relativamente al repertorio; il fatto che si canti bene o male non c'entra; tutt'al più si può definire cantante belcantista colui che affronta specialisticamente il repertorio belcantistico avendone affinato le caratteristiche stilistiche, quindi sa fare agilità, trilli e quant'altro con precisione anche se la vocalità può essere discutibile. Come è noto, però, esistono alcuni trattati di canto di quel periodo, dunque per altri non basta eseguire musicalmente e stilisticamente bene quelle partiture, ma occorre anche possedere un tipo di vocalità di alto profilo che si possa ispirare ai princìpi e ai precetti presenti in quei manuali. Col trattato del Garcia entriamo in una fase storica nuova e diversa, dove il canto di colore, di timbro, di forza, prende il sopravvento sul canto figurato, di agilità, sugli affetti espressi mediante effetti musicali e non di carattere, dove ogni ricorso al singhiozzo, al sospiro era bandito. Non possiamo, decisamente, ricondurre la scuola Garcia al verismo e forse nemmeno al tardo romanticismo, siamo alla metà dell'800 e non dimentichiamo che Garcia padre, cui si ispira il trattato, è del primo 800, quindi siamo ancora in epoca rossiniana e dunque belcantistica. 
Due quesiti urgono:
1) di che tipo di canto abbiamo bisogno al giorno d'oggi, 2) come e quante scuole possono definirsi e fare riferimento al Belcanto? Già a metà Ottocento si accusavano alcuni cantanti italiani di fare un ricorso eccessivo al colore oscuro, tali da compromettere la giusta pronuncia. Ma a noi francamente questo dato interessa relativamente. Una scuola di educazione vocale, quindi non necessariamente di "canto", che è, quest'ultima, una pratica di affinamento, si preoccupa di fornire all'aspirante cantante tutti i mezzi di cui potrà aver bisogno nel corso della carriera. Ovviamente (e lo sottolineo) NON SI DEVE FAR RIFERIMENTO per nessuna ragione al mondo, a un canto con vocali contraffatte. Una A è sempre una A, così come ogni altra vocale. Non possiamo non considerare che lo studio del canto nel 6-700 (e di cui parlava spessissimo e che avrebbe molto volentieri ripristinato, ma scontrandosi con la realtà della vita d'oggi) considerava tempi che successivamente sarebbero risultati irrealizzabili (lezioni quotidiane mattina e pomeriggio inizialmente di breve durata) e anche con filosofie di vita nonché di coinvolgimenti di strati sociali diversi (inizialmente e per parecchio tempo più indirizzati a strati nobiliari o alto borghesi, successivamente basso borghesi, artigiani e operai) che necessitavano di tempi educativi più rapidi.

Dicevamo: ma gli altri come si comportano? Come può o dovrebbe essere una scuola belcantistica "pura"? Beh, intanto diciamo che proprio pura non può più esistere, o potrebbe esistere per pochissimi soggetti, perché credo che ben poche persone al mondo potrebbero sostenere un'educazione quotidiana per diversi anni, simile, cioè, alla scuola vera e propria. Inoltre dovrebbero far riferimento unicamente a repertorio belcantistico, cioè fino a Rossini e al massimo con qualche "sforamento" bellinian-donizettiano. In terzo luogo si dovrebbe basare giusto su cantanti, esempi quindi, che a tale periodo e stile si riferiscano. Impossibile quindi indicare i Caruso, i Pertile, i Gigli, per non parlare dei Del Monaco, Di Stefano, Domingo, ecc. Un po' forzatamente potrebbe entrare in gioco Schipa, non tanto per il repertorio quanto per la netta inclinazione all'uso della parola, così come alcuni altri grandi cantanti di inizio 900, che comunque hanno avuto scuole di indirizzo belcantistico. Anche la Callas, pur avendo avuto il merito di aver riportato in auge il Belcanto, potrebbe risultare discutibile per un l'uso abbondante del colore scuro. Persino la Horne, che Celletti indicava come l'apoteosi novecentesca del Belcanto, utilizzava quasi unicamente il colore scuro. Anche la Bartoli, che qualcuno indica come ottima belcantista, oscura e manipola le vocali. In ogni caso ci si deve chiedere: il Belcanto riguarda una specializzazione o "può" essere parte del repertorio di un cantante? La Callas spaziò dal 700 al 900, così come molti altri definiti, a torto o a ragione, belcantisti. A mio avviso non esiste e non può esistere una scuola che possa detenere il copyright del belcantismo; tutt'al più possono esserci scuole che si ispirano ai dettami delle scuole belcantistiche, come è anche la nostra, o che si orientano prevalentemente a quel repertorio.

2 commenti:

  1. Ecco.... appunto, parliamo di Bel Canto come quello ascoltato l'altra sera in RAI dalla'Arena di Verona.... I 3 "tenori", il "tenore", i 4 "tenori", ecc.ecc.....
    Un grande spettacolo.................. ;-)))

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  2. Anonimo12:42 PM

    Per me il termine "belcanto" dovrebbe essere utilizzato esclusivamente nella sua accezione stilistica, ossia in riferimento ad un determinato repertorio appartenente un determinato periodo storico. Non mi piace parlare di "belcanto" in termini generici, perché questo implicherebbe l'esistenza anche di altri diversi "canti", quando invece il canto è uno solo. Esistono i diversi stili, ma il canto è uno. Non si può che cantare in un modo. Altrimenti non si canta affatto. Quindi CANTO, stop. Belcanto è pleonastico.
    FrancescoN.

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